Il Paradiso Perduto secondo Auladell
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Il Paradiso Perduto secondo Auladell

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Di recente, è uscito per Diabolo Edizioni questo imponente volume dedicato a “Il paradiso perduto” di John Milton dall’artista spagnolo Pablo Auladell, con la traduzione di Francesca Bianchi.

Mi fa molto piacere parlarne su questo blog, dedicato al rapporto tra letteratura e fumetto, poiché si tratta di un notevole adattamento di uno dei grandi capolavori della letteratura occidentale, uno degli ultimi, forse, di tale livello a non essere ancora stato adattato fumettisticamente. L’opera di Auladell in qualche modo completa quindi uno degli ultimi grandi tasselli del canone letterario nella trasposizione a fumetti.

L’opera originale di Milton è indubbiamente un pilastro della storia della letteratura, ma altrettanto certamente è un’opera di non facile adattamento a fumetti. La sua complessità e la sua relativa lontananza dalla nostra sensibilità moderna fa sì che, a livello di conoscenza di massa, l’opera originale in sé sia molto meno nota di quanto meriterebbe, specie al di fuori dell’area anglosassone.

 

Milton

 

John Milton (1608-1674) è l’autore più rilevante dell’area inglese nel periodo immediatamente successivo a quello del teatro elisabettiano e di Shakespeare, nella seconda metà del Seicento. Proveniente da un benestante ambito puritano, critico contro la corruzione della chiesa anglicana, Milton si formò a Cambridge e con numerosi viaggi in Europa, in particolare in Italia, dove conobbe Galileo, avendo studiato con particolare cura i grandi della nostra letteratura, in primis Dante, Petrarca e Tasso, il cui influsso è forte nella sua opera.

Il suo esordio è con l’elegia pastorale Lycidas (1647), in cui affronta il tema della morte in una prospettiva di riflessione religiosa già moderna e complessa; ma la notorietà gli viene appunto dai pamphlet degli anni 1640 di critica alla chiesa anglicana.

Milton tornò a Londra dai suoi tour europei con la repubblica di Cromwell, che appoggiò con i suoi scritti e anche ricoprendo l’incarico, nel 1649, di segretario degli Affari Esteri, venendo quindi incarcerato con la restaurazione, venendo poi scarcerato e tenuto ai margini della politica. Egli si dedicò quindi al suo grande capolavoro, “Il paradiso perduto”, che è indubbiamente la sua Grande Opera (di cui cedette i diritti per 10 sterline, cifra irrisoria anche all’epoca).

La prima edizione è del 1667; ne seguì una seconda nel 1674, l’anno della morte, oltre al “Paradiso Riconquistato” nel 1671 e alla tragedia “I nemici di Sansone”.

 

Poem

 

Poema epico in versi sciolti, il Paradiso perduto, come noto, tratta della caduta dell’uomo secondo il racconto biblico. L’edizione definitiva è in 12 volumi per ricalcare il modello dell’Eneide di Virgilio, già caro a Dante; l’opera pone al centro la figura di Lucifero, colta con una modernità fino allora ineguagliata, nella sua complessa drammaticità. Gli studi letterari hanno colto come vi sia qualcosa del melanconico Satana di Torquato Tasso – molto apprezzato in Inghilterra con la sua Gerusalemme Liberata – e, in effetti, il grande autore italiano tratta con pari complessità il problema del Male nella sua opera. Ma la grandiosità del Lucifero miltoniano è ineguagliata, e William Blake, folgorato, ne testimonia il fascino che ebbe sull’era successiva e su tutto un coté “gotico”: “Milton era un vero poeta, e stava dalla parte del diavolo senza saperlo”.

L’opera infatti si muove ancora in una fervente prospettiva cristiana di condanna di Lucifero; ma, al tempo stesso, appare la fascinazione di un uomo moderno come Milton verso la grandiosità di una ribellione causata da una ricerca di libertà assoluta, da condannare secondo i parametri di allora, ma descritta comunque come eroica e folgorante. Per certi versi, può esserci una analogia con l’Ulisse di Dante, il cui recupero ambivalente – è agli inferi, ma è comunque grande eroe di conoscenza – è certo però molto meno problematico (mentre il Lucifero di Dante è stolido e mostruoso, con una grandiosità fisica di stampo bestiale). Voltaire ne sostenne il plagio da “L’Adamo” del letterato italiano Andreini, che tratta tali temi ma con vigore decisamente minore, anche se indubbiamente un’influenza è possibile.

Composto tra il 1658 e il 1664, negli ultimi anni dell’era di Cromwell (non manca chi ha fatto un parallelo, forse forzato, tra il titanismo di Cromwell e quello di Lucifer), viene pubblicato dopo due anni devastanti, la carestia del 1665 e il rogo di Londra del suggestivo 1666.

Questa trasposizione di Auladell, come vedremo, riesce a rendere conto, in modo non didascalico, della complessità e profondità dell’opera nel suo trasporla in un medium diverso.

Auladell, nato nel 1972, vive e lavora ad Alicante, in Spagna. Il suo esordio fumettistico è nel 2001, con “El camino del titiritero”, per De Ponent. Nel 2005, con “La torre blanca”, sempre per De Ponent, si afferma col prestigioso “Premio al Autor Revelación” al Salone di Barcellona e ottiene una visibilità anche internazionale. In parallelo al fumetto, ricco è il suo lavoro di illustratore per l’infanzia. Su Lo Spazio Bianco, si è parlato del suo lavoro qui,  con una intervista all’autore in occasione di una sua presenza italiana. In generale si tratta di un nome meno noto di quanto meriterebbe qui da noi (pur ferma restando la vastità della scena mondiale del fumetto) e quest’opera ha quindi il merito anche di diffondere ulteriormente la conoscenza dell’autore, che con quest’opera ha vinto il Premio Nazionale dei Comics spagnolo nel 2016.

 

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Il volume si apre fin da subito con una potente copertina in cui appare un ritratto di profilo del Lucifero che apparirà nell’opera, in modo quasi inevitabile data la sua centralità. Si coglie subito l’interpretazione raffinata, lontana da una visione stereotipa, e che pare rimandare a un certo tipo di personaggi maschili melanconici cari all’incisione rinascimentale. L’indice, similmente, ci rivela la scelta azzeccata e significativa di scandire anche questo fumetto in “Canti”, a indicare i vari capitoli, per simmetria con la natura di poesia epica dell’opera originale.

Una nota dell’autore apre e presenta l’opera, spiegandone la genesi, progetto avviato con l’editrice Huacanamo, con cui si pubblica il primo canto, “Satana”. Nel 2012 vi è una ripresa con l’editore Minos, compiuta nel 2015 dopo tre anni di lavoro. Un’opera che quindi mostra i segni dell’evoluzione naturale del tratto dell’autore, verso cui Auladell (come tutti i grandi autori: Pazienza dichiarava di raggiungere un 10% del suo intento, in opere che giudichiamo sfolgoranti per bellezza) esprime – con un pizzico di ironia – una certa insoddisfazione (“solo adesso che l’ho terminato mi sento pronto per il Paradiso perduto”); ma, al contempo, dimostra la consapevolezza di come sia interessante seguire l’evoluzione stilistica di un artista su un progetto così ampio e di lunga durata.

Il primo canto, “Satana”, si apre dunque con una serie di belle tavole mute. L’impostazione prevalente delle tavole è a croce, alternate a splash pages e tavole “tagliate” in due vignette. Più avanti, apparirà anche la classica griglia 2X3, tipica del fumetto italiano, ma la scelta prevalente sarà per un montaggio “largo” della tavola che valorizzi i meravigliosi disegni, esaltato anche dall’ottima resa cartotecnica dell’edizione. Il disegno sfumato si avvale di un chiaroscuro potentissimo, che pare evocare certa grafica rinascimentale, tra disegno e acquaforte, con paesaggi che sembrano richiamarsi al non-finito leonardesco.

 

Tavola A Croce

 

Irrompono poi le didascalie, che introducono l’avvio del poema, mantenendo intatta la bellezza delle singole vignette che si susseguono nelle pagine, in una prevalenza di toni cupi che ben si sposano all’argomento tragico e demonico a un tempo. I personaggi tuttavia sono colti in un segno più essenziale, più aguzzo, più novecentesco.

Dopo altre tavole in didascalia, irrompe la parola, per introdurre il celeberrimo monologo luciferiano che culmina con il famoso “It’s better to reign in hell, than serve in heaven”. La cura dell’opera si coglie anche nella raffinata resa del balloon, che senza soluzioni troppo particolari si adatta bene a un’opera dal segno necessariamente poco cartoonistico, con un disegno che mira a rendere l’alterità del testo secentesco miltoniano.

Lo studio su Lucifero è molto accurato: la recitazione del corpo, ma ancor più l’espressività del volto mostrano bene il conflitto tra l’orgoglio smisurato dell’hybris della sfida a Dio e la sofferenza celata nell’essere cacciato dai cieli nel recesso più lontano dalla divinità, al centro della terra. Le labbra sottili, l’espressione livida e allucinata, il naso aquilino ma, nel complesso, l’espressione pienamente umana (è un Lucifero umano, troppo umano quello di Milton, e correttamente viene reso il tal modo) può ricordare – ma è un caso – al lettore italiano, a tratti, quasi la maschera elegante e perfida dello Zanardi di Andrea Pazienza, un demone molto più terreno ma a tratti altrettanto tormentato sotto la voluta patina di superficialità anni ’80 (senza che il rovello interiore intacchi ovviamente di un millimetro la sua studiata malvagità, ovviamente).

 

Tavola A 2

 

In contrasto con l’umanità di Lucifero, più bestiale è la sua coorte di demoni, anche se non priva di una sua tragicità. Inizia quindi la sua folle ossessione contro l’umano, in fedeltà all’opera originaria che, a sua volta, rielabora i dettami della teologia medioevale (e in realtà, nella sua essenza, della teologia cristiana di stampo tomistico, tuttora centrale) con sensibilità moderna.

Questo contrasto, che è già di Milton (un autore che legge con sensibilità moderna una tematica che nella sua essenza è di un’era ormai giunta al termine, anche oltre la consapevolezza dell’autore) è ripreso da Auladell, che similmente rilegge Milton con un approccio fedele ma, inevitabilmente, fortemente interpretativo. Questo contrasto di necessaria “fedeltà infedele” (propria di ogni transcodifica consapevole) appare nel contrasto tra un segno, come detto, “rinascimentale” (ancor più che secentesco) e una tensione verso sintesi proprie dell’arte novecentesca.

Non vi sono esplicite citazioni (almeno non visibili, “gridate” al lettore), ma si coglie anzi come Auladell abbia fatto propria la complessità di tutta una tradizione delle avanguardie storiche e la fonda con un sostrato tardo-rinascimentale a cui l’opera di Milton rimanda (teoricamente coeva del Barocco, che però in Inghilterra non ha la presa visiva che ha in Italia e sul continente). Talvolta questa tensione tra Rinascimento e Novecento porta a soluzioni che richiamano anche William Blake, che come detto ammirò Milton e ne fu influenzato, specie per le figure di demoni; e i paesaggi, cupissimi, che spesso si fanno quasi astratti nella rarefazione del segno, fanno pensare anche a un William Turner estremamente dark. Certi paesaggi surreali fanno pensare, specie a un lettore italiano, a soluzioni della Metafisica di Giorgio De Chirico e soci (vedi ad esempio p.86), ma come detto non siamo in un ambito citazionista in senso proprio, ma un amalgama originale generato dalla sintesi dell’autore.

 

Splash

 

Su tutto domina una scelta frequente per “l’opera al nero”: paesaggi inizialmente con una luce mediana che si incupiscono fino al nero totale sulla tavola.

Il secondo canto, che introduce anche il campo paradisiaco, nemico di Lucifero, presenta soluzioni di luce più gentile e l’espediente (apparso già nel primo canto) di usare l’azzurro a segnare il mondo celestiale (l’azzurro è colore sempre assente nell’Inferno dantesco; il verde appare solo nel Castello degli Spiriti Magni). Appariranno anche i toni dell’oro, altro attributo tipico della sfera divina, ma non subito e in modo lievemente eclettico: non a connotare il paradiso in sé, ma il momento in cui si sviluppa lo scontro tra angeli e angeli caduti nel Canto Terzo. Le reciproche armate hanno una grandiosità che richiama un esercito di età classica, una legione romana da parte luciferiana, mentre l’arcangelo Michele è catafratto in armatura medioevale.

Anche l’azione di Lucifero si svolge in una luce che contrasta con efficacia con la tenebra del primo canto, dispiegandosi nel Paradiso Terrestre dove prevalgono i toni del verde. Come si è visto, infatti, l’opera è in un bianco e nero sfumato, non quello a contrasti netti del fumetto popolare italiano e argentino, ma in disegni complessi dove il prevalere di un contrasto chiaroscurale tra bianco e nero è spesso corretto da nuances cromatiche che danno il tono preminente della scena.

Particolare è poi la figurazione di Dio. Non se ne sceglie né una figurazione astratta, come pura forma o luce, né una figurazione più classicamente connotata, l’uomo d’età avanzata ma possente, con la barba bianca, derivante da Zeus. Il Dio di Milton è qui un uomo imponente ma glabro, che richiama quasi un imperatore romano o un potente signore rinascimentale (che a Roma guarda nella sua grandezza classica). Una corpulenza forte ma non muscolare, simmetrica alla nervosità segaligna di Lucifero che, pur originale nella figurazione (senza tratti diabolici comuni, come corna, zanne e simili) è particolarmente singolare e, mi pare di cogliere, costruita per contrasto sulla figura luciferiana creata dall’autore.

Il canto quarto effigia la caduta dell’uomo, la seconda perdita del Paradiso (dopo quella di Lucifero) che connota l’opera. Tornano spesso toni cupi, a punteggiare emotivamente le drammatiche fasi della caduta. Ma, nel complesso, non si torna a toni uniformemente scuri, bensì vignette più nere punteggiano altre in cui resta la luce. In qualche modo, la colpa è drammatica, e produce anche conseguenze disastrose: ma, come inizia a dire il Rinascimento, è anche una “felix culpa”, perché il lavoro è labor, fatica e maledizione biblica, ma anche lo strumento di grandezza dell’Homo Faber rispetto all’aurea oziosità dell’età dell’oro. Milton e Auladell, entrambi fabbri magistrali nelle rispettive arti, ne dimostrano piena consapevolezza.

 

Esercito

 

Appaiono come spesso soluzioni molto eleganti, che usano al meglio il linguaggio del fumetto: ad esempio, a p. 278, il momento archetipo della caduta (Eva che offre la mela ad Adamo, eternata in mille opere rinascimentali e non) vede le figure scisse nelle sei vignette della griglia 2X3, a indicare come la caduta è uno spezzarsi dell’uomo dalla sua integrità primigenia.

Magistrale è la resa espressiva sia di Lucifer, sia di Adamo ed Eva, soprattutto quando la caduta spiega su tutti e tre la propria distruttiva potenza. Anche qui, molteplici le suggestioni di echi rinascimentali, come dal Masaccio, ma come già detto più volte in una resa globalmente autonoma dell’autore. Impassibili invece gli arcangeli aquilini, compresi nel loro ruolo di pura manifestazione della volontà divina.

Si esce dalla lettura storditi dalla grande bellezza visiva che le pagine inanellano. Perfettamente funzionali alla narrazione fumettistica, anche grazie a un segno che non è affatto sovraccarico nonostante la ricchezza dello sfumato, le singole vignette risaltano anche come riquadri che meritano ognuna un suo apprezzamento, con una rilettura più “degustativa” dell’opera dopo una prima lettura che ne segua il normale ritmo fumettistico (o viceversa, magari, a seconda delle scelte individuali).

Se è percettibile l’evoluzione stilistica di cui parla Auladell, l’opera ha comunque, agli occhi del lettore, una forte coerenza visiva, che non viene affatto inficiata dalle evoluzioni che, comunque, mostrano semplicemente una naturale maturazione di segno in un autore già pienamente giunto ai vertici dell’arte.

 

Agnus

 

Il volume è quindi di grande bellezza e fascino per il lettore colto, magari anche come stimolo a scoprire (o ri-scoprire, per i più colti…) l’opera di Milton in originale, magari con testo a fronte.

Per la stessa ragione, appare un’opera preziosa sotto il profilo didattico (che da insegnante di lettere mi è caro su questo blog), specie laddove l’insegnamento della letteratura inglese è diffuso, nei licei in generale e ancor più nei licei linguistici. L’opera è in sé leggibile anche senza rimandi specifici, come ogni adattamento pienamente riuscito, ma appare particolarmente adeguata a una ricezione liceale per la presenza di un curriculum di storia dell’arte. Come detto, non vi sono esplicite “citazioni”: ma una consapevolezza e una comunanza di temi di Auladell con tutta un’alta tradizione dell’arte sacra occidentale, che si è cimentata ampiamente col tema della caduta. Un buon lavoro didattico potrebbe venire quindi non solo dal confronto tra il testo di Milton (anche per brani antologici) e quello di Auladell, ma anche con la diversa resa di scene simili nella grande tradizione artistica.

Insomma, un testo prezioso per la biblioteca scolastica di fumetto che, da tempo, consiglio a ogni scuola di istituire. Ma anche semplicemente una meraviglia per gli occhi del lettore, anche non specificamente appassionato di fumetto.

 

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