Caro Sergio…
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Caro Sergio…

Darkwood, 16 febbraio 2025



Caro Sergio,

ti scriviamo con il cuore colmo di nostalgia e con un pizzico d’amarezza, nel rispetto di quell’affezione che ci hai insegnato a provare per i tuoi eroi e il medium fumetto.
Che poi in realtà chi di noi, incontrandoti a una fiera o a una conferenza, avrebbe mai avuto lo spudorato ardore di darti del tu? Per tutti tu eri il Sciur Bonelli, una leggenda vivente, il fratello minore di Aquila della Notte, quella testa bianca, da re senza corona, riconoscibilissima anche negli affollati padiglioni di Lucca…
Ma saranno gli echi dei tamburi in lontananza nella foresta in questa notte senza luna, o sarà solo che ci manchi tanto, che ci prendiamo questa libertà… E allora, caro Sergio, permettici di chiederti:

Che fine ha fatto la tua fabbrica dei sogni?

… perché le preoccupazioni sul presente e sul futuro della casa editrice che ancora oggi porta il tuo nome si fanno sempre più pressanti.

Newsstand [day 129]

Qui una volta era tutta edicola

Ti ricordi quando le edicole erano il cuore pulsante del fumetto popolare?
I tuoi albi occupavano gli scaffali come fieri cowboy nel saloon di Gallup. Tu e tua mamma Tea ci eravate arrivati da pionieri su quegli scaffali, con una carovana di speranze e quel formato inedito, frutto del genio e della fortuna, che all’inizio serviva a ristampare solo i fumetti scritti da papà e, poi, è diventato un marchio di fabbrica, un modo unico di raccontare l’emozione disegnata.
Novanta e più pagine in bianco e nero, 6 vignette per pagina, montate su tre strisce, e via lì da quasi 90 anni, ogni mese lì, cascasse il mondo. Una mole sterminata di tavole disegnate, migliaia di grandi autori coinvolti, per un patrimonio espressivo che non ha eguali nel panorama del fumetto occidentale e che può misurarsi solo con la sconfinata vastità editoriale dei manga giapponesi.
Ecco perché anche se le costolette delle tue pubblicazioni cambiavano più volte marchio, frutto del tuo pudico riserbo a firmarle con il cognome anagrafico, erano però sempre riconoscibilissime per qualità e identità. Così che fosse Cepim, o Daim press, Isola trovata o Edizioni Nemo, comunque per tutti gli addetti ai lavori erano sempre, semplicemente e inequivocabilmente “i fumetti di Bonelli”.
Grazie a questa colossale produzione, hai per anni contribuito a riempire le edicole di segni e colori: per noi lettori il primo contatto con mondi lontani e avventure mozzafiato.
Oggi, però, quei chioschi sono desertificati dalla crisi e dall’indifferenza. La tua casa editrice, che aveva saputo adattarsi perfino all’avvento della famigerata/temuta tv, mantenendo un rapporto saldo di consumo con i rivenditori e i lettori abituali, ha ormai da una decina d’anni scelto la via della fuga. Nessun nuovo guerriero sul campo, solo i “vecchi” gloriosi Tex, Zagor e pochi altri a presidiare la riserva Navajo, in attesa dell’ultima, imminente, carica delle giacche blu.
Si dirà che la fine è ineludibile, che i costi della carta, l’avvento del digitale, la crisi della lettura, la rendono una battaglia culturale già persa… Ma perdonaci, Sergio, se abbiamo l’ardire romantico di pensare che tu artefice, oltre che dei più grandi successi popolari del nostro fumetto, anche di avventure editoriali meno fortunate ma ricche di valori espressivi come Pilot, Un uomo un’avventura, e Orient Express, questa battaglia saresti rimasto comunque lì in trincea a combatterla, assieme ai tuoi affezionati lettori, assieme a quei disperati edicolanti. O almeno l’avresti chiusa con la stessa dignità e rispetto per i lettori, con cui mettesti fine alle avventure di Mister No qualche anno fa.

Sergio Legge

Lost in Publication

Che bello, quando leggendo Zagor, lo vedevamo saltare sui rami della foresta di Darkwood, tra avventura e mistero, incontrando alleati improbabili e affrontando nemici spietati.
Con lo stesso scanzonato coraggio, caro Sergio, speravamo che si sarebbe mossa la tua casa editrice, una volta approdata nelle librerie. E invece “l’Audacia” promessa è rimasta solo un marchio su carta patinata e pretenziose costolette. Con l’atteggiamento da autentico parvenu editoriale per quel settore, che bastasse mettersi “il vestito da signori della domenica” per fare bella figura coi nuovi e vecchi lettori.
E così un mondo suggestivo che, senza dubbio, potrebbe essere un’oasi per il fumetto è diventato invece un altro terreno di battaglia mal gestito. Le tue storie a volte ci arrivano tardi, altre volte in edizioni troppo costose e non curate come si potrebbe, rispetto agli standard del lettore di graphic novel.
Dove sono le ristampe da collezione, curate nei dettagli, che sappiano valorizzare le saghe storiche dei tuoi eroi popolari? Senza contare le ristampe lasciate a metà strada o le nuove proposte che, quand’anche di qualità, non sembrano avere ordine o logica, spesso prive anche del necessario supporto promozionale per farle volare con le proprie ali. Nessuna divisione in generi, formati e collane o strategia chiara per conquistare questi diversi territori del consumo fumettistico. E dove sono le scommesse su autori giovani e promettenti, per progetti che magari esulano dai generi e dalle strategie codificate, come accadde in quel lontano 1991 con Nathan Never?

Forever Jung?

Non era un Patto con Mefisto e la sua magia nera, Sergio, semmai era la tua magia bianca e quella dei tuoi bravi apprendisti riuscire ad attraversare i decenni ricalibrando gli archetipi junghiani dell’Avventura con l’A maiuscola con personaggi che sapessero ogni volta cogliere lo spirito del tempo.
Certo, per un Ken Parker o un Dylan Dog, assurti all’Olimpo della letteratura disegnata, ci sono anche i Bella e Bronco ed i Judas che giacciono sulla collina degli eroi dimenticati. Ma questo tu stesso lo consideravi fisiologico: la formula magica ogni tanto poteva fare cilecca, ma questo non ti impediva di provare, ogni volta, a lanciare un diverso incantesimo.
Perché, invece, da ormai diversi anni, a via Buonarroti si è smesso di farlo? Persino il tentativo (promettente all’esordio) di rinnovare il personaggio più iconico e istituzionale della casa editrice, Tex Willer, creando una nuova serie, svincolata da quella tradizionale, si è tradotto alla lunga in una riproposizione dei moduli originali, senza alcuna innovazione sostanziale.
Per certi versi è anche fisiologico che una grande casa editrice con quasi nove decenni alle spalle, e un pubblico ultra-fidelizzato, coltivi un certo gusto nostalgico e uno sguardo rivolto (almeno in parte) verso un luminoso passato, ma la mancanza che si avverte, oggi, è proprio quella di una visione ben pianificata per il futuro.
Mentre altri editori mainstream costruiscono (o almeno tentano di farlo) ponti verso le nuove generazioni, Bonelli sembra aver scelto di affidarsi sempre più ai personaggi storici e alle ristampe – che coinvolgono giocoforza un pubblico di lettori avanti con l’età.

Cosa è successo alla volontà di attrarre gli under 20, un tempo dichiarata priorità? Gli esperimenti rivelatesi effimeri come la linea Young non hanno lasciato grandi eredità ad eccezione delle sole avventure giovanili di Dragonero – guarda caso, le uniche a germinare uno spin-off multimediale – , lasciando aperta una voragine. Ci sono serie, che probabilmente non leggeremo mai, nelle quali il pubblico più giovane avrebbe potuto identificarsi, ritrovare temi affini e un gusto e una sensibilità contemporanei, nonché uno stimolo per avvicinarsi alle pubblicazioni della casa editrice e magari scoprire un catalogo ricco di migliaia e migliaia di pagine di avventure.
Secondo alcuni degli stessi collaboratori che stanno cercando faticosamente di raccogliere il tuo testimone, Sergio, il problema è anche il formato. Quelle mitiche novanta pagine, che per decenni hanno garantito alle tue serie quella “leggibilità” così distintiva e che pretendevi sempre, sembrano oggi accusare il peso del tempo. Il ritmo compassato, che un tempo cullava il lettore, ora rischia di farlo scivolare altrove.
Ma possibile che il limite sia tutto lì, in una gabbia grafica? Se guardiamo al mondo dei manga, dove i volumetti non sono molto più brevi delle classiche uscite Bonelli, ci accorgiamo che pulsano un ritmo diverso, un’energia narrativa che cattura e trascina il lettore, pagina dopo pagina. Forse, Sergio, la risposta non sta nel numero di pagine, ma in quel coraggio di innovare, reinventare e sperimentare che da tempo sembra mancare e che, invece, in passato Sergio Bonelli Editore sapeva inseguire. Perché il futuro, dopotutto, non si aspetta. E i lettori di domani nemmeno.

U

Il fiume digitale senza ritorno

Jerry Drake, il tuo Mr. No, esplorava territori selvaggi, sfidando il Rio Delle Amazzoni, senza promessa di ritorno. Ci piace pensare che tu, oggi, avresti saputo affrontare con lo stesso spirito avventuroso anche il fiume del fumetto digitale. Purtroppo, Bonelli Digital Classic, iniziativa promettente al principio, è rimasta solo una canoa abbandonata sulla riva: il digitale non è mai stato pienamente integrato, né pensato come uno strumento per portare i tuoi eroi verso nuove generazioni, con quel termine “Classic” che risulta peraltro poco appropriato quando al viaggio si uniscono personaggi e serie più recenti come Dragonero e il suo Erondár.
Certo, nemmeno colossi come Marvel e DC Comics hanno saputo ancora trovare la chiave giusta per renderlo un settore di profitto, ciò non toglie che nel caso della tua casa editrice non c’è stato nemmeno lo sforzo di sperimentarla qualche possibile soluzione.
In un’epoca in cui tutto è a portata di clic, è triste vedere quanto poco spazio venga dato all’innovazione, che non può essere solo lo “scan” delle vecchie tavole. E dire che le tue storie potrebbero viaggiare nel tempo e nello spazio, raggiungere lettori ovunque e in ogni momento, ma l’attuale Sergio Bonelli Editore sembra fermarsi sempre un passo indietro. Forse il genio informatico di Sigmund Baginov prima o poi suggerirà ai manager di via Buonarroti la cyber-via giusta, ma ad oggi il digitale resta, anche quello, un’occasione persa.

Una lunga notte multimediale

Ti ricordiamo appassionato e curioso di ogni forma narrativa, dalla letteratura al cinema. Tant’è che sappiamo con quale misto di entusiasmo da aficionado e impeto da imprenditore, avevi colto l’opportunità di far trasporre sul grande schermo i tuoi eroi. Poi certo, ti eri ritrovato a rigettare, con l’ardore dell’amante tradito e del cultore deluso, lo strazio di quello “Spaghetti” Tex così dimesso e di quel B-Dylan, altrettanto improbabile… Per decenni, abbiamo pensato assieme a te che solo uno Steven Spielberg o un George Lucas avrebbero avuto lo spessore cinematografico e la potenza visiva per restituirci sul grande schermo l’emozione del fumetto bonelliano.
L’avvento del digitale ci ha fatto sperare (illudere?) che si potesse colmare il gap sino… a Dampyr. Il film non ha trovato il pubblico che avrebbe meritato, anche per il bizzarro e per certi versi incomprensibile media planning con cui Via Buonarroti l’ha accompagnato nel lancio.
Icaro di un BCU solo possibile, Dampyr non è riuscito a far volare e rilanciare nemmeno il franchise cartaceo d’origine, che anzi, a leggere i rumors in giro, ha oggi le stesse prospettive incerte del suo spin-off cinematografico. Ma al di là degli esiti espressivi ed economici del botteghino, Dampyr sembra mostrarci, caro Sergio, quanto sia difficile imporsi in un contesto industriale, tecnologico e finanziario così complesso.
Dopo Dampyr, salvo le serie animate per ragazzi, Sergio Bonelli Editore sembra aver rinunciato a qualsiasi ambizione multimediale. Dove sono i progetti che potrebbero generare nuova linfa a un Nathan Never o dare una dimensione cinematografica o televisiva a Dragonero? In quale universo parallelo, verrà mai prodotta la serie tv su Dylan Dog? In quale territorio impervio si è perso il progetto televisivo de Il Confine?
Le tante domande inevase suggeriscono che, prima ancora che nei vincoli finanziari o artistici, il nodo irrisolto sia strategico. C’è una scarsa vocazione a leggere il mondo contemporaneo e le dinamiche della multimedialità, con la stessa sensibilità e lo stesso coraggio con cui tu, per decenni, hai saputo leggere quelle del fumetto. È come se la casa editrice attuale facesse fatica a sintonizzarsi pienamente con lo spirito del tempo.

Giornale

C’era una volta un Giornale

Nella memoria dei lettori di un tempo è scolpito in maniera indelebile il tuo Giornale, quell’inserto a colori in appendice agli albi che periodicamente, anche grazie ai tuoi editoriali, agli approfondimenti e alle anteprime, ci permetteva di dare uno sguardo oltre l’orizzonte, ma soprattutto di sentire un legame tangibile con una casa editrice che in certi casi percepivamo un po’ come una famiglia allargata. Se aumentava il prezzo delle pubblicazioni, un tuo articolo ci faceva capire che era il momento di stringere la cinghia, ci riportava brevemente alla realtà prima di riprendere a cavalcare nelle praterie della fantasia da pagina 5 con l’inizio dell’episodio del mese.
Non era dunque solo il rapporto tra un professionista e gli acquirenti dei suoi prodotti. Era un legame anche spirituale ed emotivo, tra un pubblico di lettori ed un editore, lettore lui stesso, che eravamo certi avrebbe continuato a mettere tutta la passione del mondo nelle sue pubblicazioni. Quell’editore era capace di leggere ogni pagina che mandava in stampa, a ricevere e dedicare tempo a ogni singola lettera giunta in redazione. Una figura romantica di un tempo ormai andato, certo, ma al contempo anche un interlocutore affidabile che di certo avrebbe ascoltato e tenuto conto sia delle lodi che delle lamentele, come ancora continuava a fare nei primi anni duemila stampandosi e leggendosi ogni mattina, perfino gli articoli della (neonata) e poco disciplinata critica online.
Quella comunicazione romantica, da tempo superata a causa della velocità della rete, ha lasciato spazio oggi a una distanza siderale tra la casa editrice e i lettori. È paradossale, ma sembra che in via Buonarroti la moltiplicazione delle piattaforme e dei canali di comunicazione sia interpretata oggi come un canyon del West, da attraversare, ogni giorno, con la dannata paura che un indiano youtuber ti tiri una freccia nella schiena o una banda di haters desperados, dalla tastiera facile, sia pronta a impiombarti mediaticamente per una storia sbagliata.
La risposta sono iniziative, troppo spesso fabbricate in casa, in cui persino le soluzioni più contemporanee come podcast e video, vengono tradotte in anacronistici segnali di fumo e messaggi del telegrafo. Peccato, perché un piano comunicativo incisivo su questi canali digitali permetterebbe di essere capillari e tempestivi, di mostrare la capacità di creare una community salda con la quale instaurare un rapporto duraturo, ma anche e soprattutto per dimostrare una certa considerazione verso chi segue le pubblicazioni nel tempo.

Cico e il mistero degli annunci segretissimi

Perdonaci, Sergio, non siamo bravi come soggettisti, come quel tale Nolitta che lavorava per te, ma questa proviamo a raccontartela così. Immaginati il tuo Cico che, lasciato Zagor a Darkwood, si trova coinvolto in una delle sue improbabili avventure. Nell’inseguire un tesoro leggendario, stavolta si addentra nei meandri di una misteriosa cittadina, “Buonarrotowns”. Qui, un tempo, gli annunci rimbombavano come rulli di tamburi, attirando un pubblico in trepidazione come pirati intorno a un forziere appena dissotterrato. Invece, Cico si trova un forziere chiuso a doppia mandata, con solo una criptica mappa a disposizione e un cartello che dice: “Scoprilo passo dopo passo… forse”.
È quello che è accaduto con le politiche di promozione e comunicazione della tua casa editrice. Si è passati nel giro di pochi anni da conferenze e keynote nei principali festival, attesissime e ricche di annunci, a una linea ultra-prudenziale con l’obiettivo principale di non sbottonarsi troppo, di non raccontare anticipatamente le novità ma di farle scoprire man mano.
Se da un lato questa prudenza è chiaramente figlia dell’esigenza di cambiare i piani in corsa in base al successo delle varie iniziative, dall’altro trova poco spazio la possibilità di solleticare la fantasia del lettore e stimolarne il desiderio.
Ciò è evidente anche tra le anteprime di inizio anno sul sito, sempre meno cariche di dettagli e sempre più vaghe circa le effettive novità (anteprime peraltro inspiegabilmente riservate solo alle pubblicazioni da edicola e che tengono fuori le – pur interessanti – anticipazioni sul mercato librario).

Oltre l’oscurità

“Per tutti i diavoli, che manica di jettatori pesta tasti, e meno male che siete degli aficionados!”

…potresti rispondere, citando il tuo fratello maggiore Tex.

Ma, caro Sergio, l’intento di questa lettera, scritta a più mani e a più cuori, è proprio la preoccupazione per il futuro della casa editrice che tanto amiamo. Tex, Zagor, Dylan Dog e tutti gli altri personaggi che ci avete regalato rappresentano un patrimonio inestimabile, non solo per il fumetto italiano, ma per la cultura popolare del nostro Paese. Le nostre parole, talvolta forse dure, sono mosse solo dal desiderio di vedere la realtà editoriale che tu hai affermato, tornare a innovare, senza perdere quel cuore che l’ha resa e, ancora talvolta la rende, una straordinaria fabbrica dei sogni.
Certo che non tutto è così negativo: la realtà è fatta di sfumature e anche in questo caso ci sono vari aspetti che vanno in controtendenza rispetto a quanto rilevato sin qui.
C’è il lavoro, ad esempio, che da anni porta avanti con umiltà e al tempo stesso sincero divertimento, Moreno Burattini su Zagor: un “rinnovare nella tradizione” che seppure suona come un proclama della Democrazia Cristiana degli anni Ottanta, è il compromesso necessario per tenere in piedi gli stilemi del fumetto popolare in un mondo in costante cambiamento e, in quell’edicola, da cui altri sono colpevolmente fuggiti. C’è ancora la capacità di costruire saghe solide e di qualità di Luca Enoch e Stefano Vietti, coadiuvati da un manipolo di interpreti grafici strepitosi su Dragonero, l’ultima vera serie popolare della casa editrice.
C’è la novità più significativa degli ultimi tempi, forse perché arrivata senza tanti annunci enfatici o promesse roboanti, ma alzi raccogliendo un ingombrante e, al tempo stesso, deludente testimone. Parliamo della gestione di Barbara Baraldi di Dylan Dog che, pur nella difficoltà di traghettare un personaggio ormai codificato e con decenni di pubblicazioni alle spalle e nella complessità di esprimere al giorno d’oggi ciò che è l’orrore in una storia a fumetti, prova ad andare verso direzioni interessanti. La Baraldi sta coinvolgendo anche nuove voci autoriali e prova a instaurare un contatto diretto con i lettori attraverso i social, una comunicazione che (come abbiamo detto) sembra spesso mancare nella Bonelli odierna. Il suo lavoro dimostra che, più ancora che di sbandierate rivoluzioni, il fumetto popolare ha bisogno di interpreti che lo amino e che ne amino gli eroi al punto di anteporre il loro racconto al proprio ego autoriale.
C’è poi la piccola oasi di alcune delle pubblicazioni più interessanti proposte negli ultimi anni nel mercato librario, come Eternity, serie raffinata che si è rivelata una sorpresa continua e ha ottenuto un notevole riscontro di critica e, sebbene forse poco pubblicizzata rispetto al suo livello qualitativo, rappresenta un importante passo verso direzioni differenti rispetto all’avventura “classica”, un po’ come lo sono stati negli scorsi anni altri esperimenti come la miniserie Simulacri o il volume unico Riflesso perfetto.
Non abbiamo la controprova, caro Sergio, ma siamo convinti che questi fumetti ti sarebbero piaciuti, perché quand’anche lontani dalla tua sensibilità personale, ne avresti rispettato l’alto valore espressivo.
Ecco, Sergio, è questo che ci manca più di tutto: il tuo sguardo lungimirante, la tua capacità di cambiare senza rinunciare a essere autentico.

Fa male scrivertelo, ma oggi, più che mai, ci mancano il rispetto e la fiducia che avevi per noi lettori.

Con affetto,

I Vecchi cammelli de Lo Spazio Bianco


One thought on “Caro Sergio…

  1. Che bella lettera aperta. E, aggiungerei, finalmente. Finalmente una voce autorevole che dice le cose come stanno. La SBE è patrimonio culturale di tutti e la stanno distruggendo. Cerchiamo i colpevoli, intervistiamoli, diciamo loro come la pensiamo noi. Smettiamola di fare i fighetti postando su Instagram l’albetto fuoriserie autografato. Boicottiamoli. Attacchiamoli pubblicamente. Diciamo loro che non è colpa dei tempi se la Bonelli è al tracollo: è colpa loro.

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