Il “Topo” di maggio 2023
Bentornati su Lo Spazio Disney!
Un maggio complicato anzichenò: climaticamente, il primo scampolo d’estate e di caldo che si era affacciato tra la fine di aprile e l’inizio di questo mese si è velocemente ritirato per tornare ad abbassare le temperature. Purtroppo gli scherzi del clima non si sono limitati a rovinare la primavera, ma si sono tramutati in un disastro di proporzioni epiche per la regione dell’Emilia-Romagna, in buona parte violentemente colpita da una pioggia torrenziale e continuata che ha portato a frane, esondazioni di fiumi e intere città allagate. Ma allagate nel vero senso della parola: tra case e cantine inagibili, persone sfollate, ricordi di una vita ormai da buttare e chi purtroppo ha perso la vita, la situazione da quelle parti è tutt’ora tutt’altro che semplice.
Le immagini trasmesse dai telegiornali mi hanno atterrito, e con il cuore e il pensiero non posso che essere vicino a tutti coloro che hanno vissuto sulla propria pelle questa tragedia e che sono ancora alle prese con le conseguenze di tale disastro.
Come sempre, fin dalla sua nascita, questo blog vuole essere una specie di “safe space” nel quale rifugiarsi – io per primo – dalle brutture della vita, divertendosi a commentare con gusto critico e appassionato il fumetto disneyano, infinito bacino di divertimento e sensazioni rassicuranti.
Anche in questo caso, spero che Lo Spazio Disney possa contribuire in qualche modo ad alleggerire l’animo di qualcuno.
Per quanto, anche relativamente al Topolino settimanale, non sono state tutte proprio rose e fiori…
Vediamo insieme cosa ci ha offerto il nostro magazine del cuore!
Maggio 2023: le storie da Topolino
Il piatto forte è stato sicuramente Le isole della cometa, di Alex Bertani, Pietro B. Zemelo e Nico Picone (nn. 3518-3519-3520-3521-3522-3523), lunghissima storia in sei parti che si è snodata per tutto maggio, esordendo in realtà con il primo episodio a fine aprile.
Il protagonista, tale Mick, è precipitato su un misterioso arcipelago dal quale appare difficile andarsene; deve quindi abituarsi alla vita delle isole, facendo amicizia con alcuni locali come Dippo e suo zio Salud, e invaghendosi della figlia del governatore Minerva. Ma c’è un mistero che riguarda quel luogo e il suo passato, ben custodito da Salud e da altri, tra cui un ambiguo e scontroso topo dal pelo rossiccio.
Le isole della cometa è senza dubbio un progetto ambizioso, per lunghezza innanzitutto ma anche per cura della “confezione”: diversi editoriali hanno posto l’accento sull’opera, è stata realizzata una mappa dell’arcipelago e ogni puntata era preceduta da un articolato riassunto di Marco Nucci.
A tale attenzione non è corrisposta altrettanta cura nella resa effettiva della storia, che, peraltro, è solamente la prima stagione di un racconto più ampio. La direzione Bertani ci ha già abituato a prodotti strutturati in questa maniera, ma inizialmente ogni troncone aveva perlomeno una sua indipendenza. Con Gli Evaporati prima e questa Isole della cometa ora, la velleità si è fatta ancora più marcata, rendendo difficilmente valutabile una storia che ha evidentemente delle mancanze, le quali però sono volute perché siano sanate nel seguito.
A questo punto viene però da chiedersi se le sei puntate (di cui l’ultima divisa addirittura in due parti) non fossero eccessive, a fronte del fatto che si è raccontato davvero molto poco.
La prima stagione è servita sostanzialmente a presentarci i personaggi e poco altro: il cuore narrativo, cioè il significato della cometa e il ruolo delle pedine in gioco, è stato appena accennato nelle ultime pagine senza spiegare granché, rimandato alla prossima stagione, lasciando quindi un senso di inappagatezza vagamente frustrante.
Le tantissime pagine a disposizione avrebbero potuto avere senso se utilizzate per approfondire le isole che compongono questo arcipelago, spiegandoci le peculiarità di ciascuna; la verità è che di questi territori sappiamo tutt’ora poco e niente, le poche location visitate da Mick non mostrano chissà quali caratteristiche di spicco per distinguerle le une dalle altre e in buona sostanza, dal punto di vista del lettore, il protagonista non fa che girare in tondo.
Questi problemi strutturali mi spiacciono molto, perché la storia aveva un grandissimo potenziale: l’aura di mistero è stata ben giocata per quasi tutta la durata del racconto, i personaggi sono ben descritti e intriganti, il disvelamento di alcune verità e informazioni viene distillato con i giusti tempi e modi per colpire il pubblico e il plot di base, che partiva occhieggiando alle atmosfere di Lost, se ne distaccava con un’interessante variazione sul tema. Le sensazioni spaesate di Mick, poi, sono un buon sottotesto tematico che ha regalato profondità a questa figura.
Altro pregio è l’ultimo episodio, dove l’azione viene messa ottimamente su carta con ottime sequenze – davvero ingaggianti e coinvolgenti – che si incastrano bene anche con i confronti “umani” tra i personaggi.
Ma la somma di questi elementi risulta essere meno delle sue parti, invece che di più: dal puzzle mancano inevitabilmente alcuni pezzi, rendendo questa prima incursione nell’arcipelago delle comete monca, e anche se sussiste la curiosità di vedere il seguito rimane comunque il dispiacere di avere in mano qualcosa di parziale e non autonomo.
Inaspettatamente, il quid dell’opera è dato dai disegni di Nico Picone: l’artista ha fatto veri e propri passi da gigante, realizzando tavole magistrali, con panorami mozzafiato e una griglia dalla struttura ardita, fantasiosa e cangiante che ha giocato molto con i tagli delle singole vignette.
Ottimo lavoro anche con il design dei personaggi: i topi sono tutti meravigliosi, gradevolissimi anche i pippidi e i comprimari. Un lavorone encomiabile che costituisce più di metà del valore positivo di quest’opera, da cui mi aspettavo di più ma che mi “costringe” ad aspettare il sequel per poter dare una vera valutazione.
Maggio ci ha portato anche Archimede e l’antistress Bum Bum, di Corrado Mastantuono (n. 3520), che segna il ritorno sulle pagine di Topolino di Bum Bum Ghigno: la creatura del Masta scopre le sue abilità “diplomatiche” che gli permettono di tenere a bada gli assillanti clienti di Archimede, pronti ad approfittare della sua bontà per stargli addosso. L’inventore ora può lavorare sereno, ma anche un piano perfetto nasconde controindicazioni inaspettate… l’autore distilla una morale semplice e di stampo quotidiano, che può anche permettere di riflettere su come vivere meglio i propri “sbattimenti” se visti sotto una certa ottica, e lo fa senza rinunciare alla comicità che contraddistingue la sua scrittura e il personaggio di Bum Bum, che funzione sempre dannatamente bene nella sua sfaccettata personalità, sempre sorprendente senza andare mai off character.
Molto bene anche sul piano grafico, visto che il segno morbido e vivace di Mastantuono rimane tra i migliori della sua generazione e del panorama attuale, particolarmente efficace su trame del genere.
Zio Paperone e il troppo vero storico, di Alessandro Sisti e Paolo Mottura (n. 3521), è la storia che celebre i 150 anni dalla scomparsa di Alessandro Manzoni. Per l’occasione lo sceneggiatore riprende il cast delle tre precedenti avventure storiche su suolo italiano per poter indagare sulla figura del grande romanziere e scoprire se esistesse un suo manoscritto inedito con cui Paperone potrebbe inanellare nuovi guadagni. Sisti, che aveva già lavorato su questi personaggi nell’avventura dantesca, mostra di padroneggiarli bene e di saper evolvere in maniera interessante anche idee già introdotte, come i retrocchiali che qui acquisiscono una nuova, determinante proprietà.
La storia si rivela davvero piacevole e scorrevole, restituendoci peraltro un ritratto piuttosto fedele di Manzoni oltre che ottime e fresche dinamiche tra i Paperi.
Paolo Mottura ai disegni si conferma la scelta su cui la redazione opta nel momento in cui vuole dare una patina di eleganza e raffinatezza al prodotto finito.
Le tavole si rivelano infatti sontuose, il tratto appare ricercato e ne guadagnano in particolare le ambientazioni e gli interni, oltre che la figura del Manzoni “beccuto”. Rispetto ad altre prove recenti non ho ravvisato “sbavature” o vignette meno riuscite di altro, bensì un lavoro omogeneo nella sua alta qualità.
L’ombra di Ducktopia, di Francesco Artibani, Licia Troisi e Francesco D’Ippolito (n. 3521), stupisce i lettori che pensavano che Ducktopia fosse un’opera non destinata ad avere un seguito, compiuta com’era nella sua struttura “rotonda” che giocava tutto il suo potenziale sul ribaltamento di prospettiva conosciuto tra secondo e terzo atto.
Artibani e Troisi scombinano le carte con questa breve appendice che non rovina la memoria della saga fantasy del 2021, ma che non aggiunge niente di particolare. Con una modalità simile ai ritorni nell’Argaar della saga della Spada di Ghiaccio, Topolino e Pippo tornano nell’universo di Ducktopia per aiutare una delle creature che lo popolano e contemporaneamente il povero Pluto, suo malgrado “connesso” con l’altra realtà. Onestamente questa incursione non mi ha comunicato granché, al netto dei dialoghi frizzanti e di una buona componente action, e a poche settimane di distanza non ricordo già più i contorni dell’operazione, nata come evidente traino per la riedizione cartonata della saga. Anche D’Ippolito ai disegni, che tanto mi aveva entusiasmato in Ducktopia, non mi ha ammaliato allo stesso modo in questo mini-sequel.
Peccato.
A proposito di imprevedibili ritorni, riecco anche Cronache dal Regno dei Due Laghi con la particolare Il mistero degli gnomi invisibili (n. 3521), di Tito Faraci e Silvia Ziche, anche in questo caso una palese mossa per pubblicizzare il nuovo volume che raccoglie le precedenti storie del ciclo.
Strutturata a one-page concatenate a formare un’unica trama, la storia non è veramente nulla di che, una sequenza di gag da “cavallo di battaglia” faraciano (quante volte l’autore ha sfruttato la comicità sull’altezza degli gnomi?) che giocano tutto sulla dabbenaggine di Manetta e sul ritrovato tormentone della muffa canterina. Un divertissement e nulla più che, rispetto alle origini della serie, abbandona qualunque pretesa di complessità di trama per concentrarsi solo sul divertimento immediato. Insomma, va presa per quello che è.
Adeguati come sempre i disegni di Silvia Ziche, graziati dalla sua efficace sintesi stilistica.
Topolino & co.: Un viaggio TREmenDamente reale, di Claudio Sciarrone (n. 3522), è la storia sperimentale del mese. Intendiamoci, i fumetti 3D non sono nulla di innovativo essendo una tecnica già utilizzata nel medium da diversi decenni e che in anni recenti è stata sfruttata in Italia da Leo Ortolani per Avarat e in America da Alan Moore e dal compianto Kevin O’Neill all’interno della loro Lega degli Straordinari Gentlemen. Anche Topolino non era stato completamente estraneo a tale moda, per quanto mai in maniera così esplicita e pensata fin dall’ideazione di una storia.
Ci pensa quindi Claudio Sciarrone a rispolverare l’approccio alle tre dimensioni, che a ondate sembra voler sempre tornare sotto i riflettori delle arti visive più pop come fumetto e cinema, e lo fa omaggiando contestualmente l’epoca d’oro dei cortometraggi animati con il Trio protagonista, a riprova di come quelle dinamiche e interazioni non invecchino mai.
Il rapporto tra Topolino, Paperino e Pippo funziona molto bene e in maniera naturale, dimostrazione di quanto l’autore conosca questi personaggi e la chimica che sussiste tra di loro; la trama è invero pressoché inesistente, e il setting che si è deciso di utilizzare – una specie di mega-giostra inquietante da parco divertimenti – mal si presta anche a una certa varietà di gag che invece erano proprie di quei cartoni animati a cui pure il fumettista lombardo si richiama. C’è però da dire che l’ambientazione, di contro, funziona molto bene per giocare con i “trucchi” di profondità, resi accessibili grazie al disegno digitale e alla conseguente possibilità di lavorare su livelli: i binari che si intersecano, i carrelli della giostra uno dietro l’altro, la prospettiva dell’ingresso nei tunnel, gli stessi ambienti claustrofobici sono tutti accorgimenti che danno un senso allo sfoggio del 3D accentuandone gli effetti mostrati dagli appositi occhialini.
Insomma, un’opera interessante prettamente dal punto di vista tecnico, che per ovvi motivi si è volutamente concentrata poco sulla narrazione in sé, che si “piega” alle possibilità visive dell’idea.
Il tratto di Claudio si conferma sempre fresco e dinamico, ed è bello vederlo occupasi contemporaneamente di paperopolesi e topolinesi per poter osservare l’approccio estetico attuale dell’artista su un universo e sull’altro.
Non sono mai stato un grande fan del 3D, ma come trovata d’eccezione ci può stare e devo ammettere che, nonostante il mio iniziale scetticismo, il risultato finale è stato più che buono e mi sono trovato davvero catapultato dentro le tavole e immerso nell’azione. Quindi missione compiuta, direi 😉
Topolino e la via della storia – Un messaggio dal passato, di Francesco Artibani e Alessandro Perina (n. 3522), rappresenta il secondo capitolo della lunga avventura a supporto della candidatura della Via Appia a patrimonio dell’Unesco.
Come già per la prima parte, anche in questo caso mi ritrovo ad apprezzare il fatto che la storia si regga perfettamente sulle sue gambe, al di là del collegamento extra-fumetto che ne sta alla base: l’avventura è godibilissima di per sé, scritta molto bene e con una trama convincente e interessante che non rinuncia a spiegare ed “educare” su alcuni elementi storici, artistici e architettonici del luogo e del periodo di riferimento, ma all’interno di una narrazione davvero solida e coinvolgente.
In questo rivedo la lezione delle storie “sponsorizzate” realizzate da Massimo Marconi tra gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, che seguivano esattamente questa impostazione e che restano quindi assolutamente godibili a distanza di decenni.
La stessa considerazione varrà anche per questa Via della storia: la missione di salvataggio di Topolino e Pippo nei confronti di Zapotec, disperso nel passato, ha un ritmo elevato e tiene incollato alle pagine il lettore, assolutamente coinvolto nell’avventura di Topolino e Pippo, e il contesto realistico e storicamente accurato accresce lo spessore della vicenda.
Ottima scelta quella di Perina ai disegni: l’artista è ormai un classico e con il suo stile morbido e cavazzaniano offre l’estetica più adatta per il tipo di storia.
Artibani è di scena anche in Once upon a mouse… in the future – Squadra antincendio, di Francesco Artibani, Carlo Panaro e Donald Soffritti (n. 3520), con il veterano Panaro a sceneggiare su suo soggetto. Come d’abitudine per l’operazione Disney 100, lo spunto di partenza è un cortometraggio animato storico, in questo caso Mickey’s Fire Brigade del 1935, e devo dire di aver apprezzato di buon grado questo remake in chiave moderna. Carina la visione del futuro per cui la maggior parte degli edifici è in legno rendendo i pompieri un corpo molto più blasonato di quanto non sia già tutt’ora nella realtà, e anche le gag funzionano molto bene, così come le dinamiche tra i tre protagonisti. Soffritti, nella vocazione allo sperimentalismo grafico che è sotteso al progetto, ci sguazza alla grande e tira fuori delle soluzioni veramente spettacolari e funzionali, con un approccio molto moderno e cartoon che si presta benissimo alla sceneggiatura imbastita.
La serie Newton e Pico in viaggio nel sapere torna in gran forza sul settimanale per la corsa verso le pagelle di fine anno scolastico: Che numero!, Pane al pane, L’erba del vicino, Spegni e riaccendi, (Non è) la solita storia, di Danilo Deninotti, Giorgio Fontana e Simona Capovilla (nn. 3519-3520-3521-3522-3523) segnano un fuoco di fila, quasi un’indigestione di questo ciclo, in precedenza distillato al massimo in tre storie consecutive.
La cadenza ravvicinata non fa benissimo al progetto, in realtà, rendendo fin troppo evidente la ripetitività insita nell’idea di base e qualche soluzione meno brillante.
Il duetto composto da Pico e Newton ad ogni modo continua a funzionare e a reggere anche quando si trovano a recitare in trame meno ispirate; tutto sommato restano storielle indolori, a volte migliori, a volte più dimenticabili, ma tutte si fanno leggere senza drammi.
Simona Capovilla è ormai stata insignita del ruolo ufficiale di disegnatrice della serie: succedere a un Soffritti molto in parte non era cosa semplice, già lo scrissi a inizio anno, ma episodio dopo episodio l’artista ha dimostrato di prendere sempre più la mano e le misure con i due protagonisti e con il contesto, trovando una sua strada rispetto a quella battuta precedentemente dal collega e realizzando vignette apprezzabili e soddisfacenti. Il suo stile è fresco e morbido, esaltando in particolare le espressioni vitali dei personaggi e la loro recitazione.
Sogna, sogna, Paperoga e Diringo dirango…, di Enrico Faccini (n. 3522-3523), sono due classici esempi di faccinismo ermetico che più ermetico non si può 😛 mentre nel primo caso, in realtà, il finale si rivela un po’ anticlimatico rispetto alle tavole che hanno portato a quella conclusione, la follia della seconda si rivela più centrata e in qualche modo intellegibile, in questo caso proprio grazie alla gag dell’ultima pagina.
Zio Paperone e l’appiattificatore 2D, di Giovanni De Feo e Francesco Guerrini (n. 3519) e Zio Paperone e la palandrana del sartomante, di Pier Giuseppe Giunta e Francesco Guerrini (n. 3520), sono due storie che mi viene da accomunare per almeno un paio di motivi: i sontuosi disegni di un Guerrini sempre meraviglioso e le trame, che pur senza chissà quali ambizioni rendono un buon servizio a Paperone riconducendolo alla semplicità delle sue sfide quotidiane.
Nel primo caso l’ennesima invenzione di Archimede, un fantasioso marchingegno capace di rendere in due dimensioni ciò che è tridimensionale per facilitarne lo spostamento, si ritorce prevedibilmente contro il miliardario: le armi segrete dello sceneggiatore per non risultare ridondante sono imbastire conseguenze spassose nel loro catastrofismo e la matita di Guerrini, che sa sempre come rendere efficaci questo tipo di scene con inquadrature ben giocate e quadruple ad effetto.
Il tratto del disegnatore è determinante anche nella riuscita della Palandrana del sartomante, un’idea forse meno suggestiva di quella di Di Feo, ma comunque scorrevole e ben scritta da Giunta: sicuramente però sono le tavole a farla spiccare, in particolare in certe vedute del Deposito e nel design della palandrana del titolo.
Il personaggio può godere di un altro momento di gloria, in questo maggio: Zio Paperone e l’affare in ballo, di Carlo Panaro e Valerio Held (n. 3523), è infatti la storia-che-non-ti-aspetti del mese!
Non avevo grandi attrattive verso quella che sembrava essere una riempitiva qualunque, ma Panaro affila la tastiera per mettere in scena una trama sicuramente lineare, senz’altro semplice e decisamente classica, ma in grado di sfruttare a proprio vantaggio tutti questi elementi per renderla interessante. Si tratta di piccoli tocchi, soprattutto nella caratterizzazione di Paperone e di Brigitta, vera co-protagonista della vicenda, che si rapportano nel modo naturale che mi sono scoperto ad approvare, dopo tutti questi anni. Lo Zione rimane giustamente reticente verso le avance della bionda papera, ma non nasconde l’ammirazione che prova verso di lei e anche una certa predisposizione d’animo. Lo sceneggiatore sembra guardare alla sua Formula della ricchezza per muovere i due personaggi, pur in una situazione totalmente diversa e più “urbana”, e non nascondo di aver apprezzato certe vibes.
Per una storia dall’impianto così standard Valerio Held è l’artista perfetto, pur continuando una fase di ricerca sul suo tratto; risulta comunque sempre riconoscibile ma con un’apprezzabile quanto sottile apertura a nuovi segni, probabilmente in concerto con Andrea Freccero.
In chiusura spendo due parole per Gambadilegno e la settimana del cittadino modello, di Davide Fortuna e Mattia Surroz (n. 3519), una breve senza grandi velleità ma che sa divertire con efficacia grazie allo spunto paradossale e allo svolgimento azzeccato, che costringe il vecchio Pietro a rimanere onesto per sette giorni al fine di propiziare la riuscita di un colpo grosso.
Apprezzabile l’inizio del racconto per il realismo del ristorante sushi in cui cenano Gamba e Trudy, così come il tratto fresco e dinamico di Surroz.
Bene, credo di aver detto tutto.
Grazie come sempre a chi mi ha letto, e alla prossima!