“Nuovi Delitti” di Paolo di Orazio per D Editore: Splatterpunk is not dead.
Questo volume, “Nuovi delitti”, uscito per D Editore in questo 2024, ha dietro di sé una storia lunga e interessante.
Ovviamente, il testo di Paolo Di Orazio ha una immediatezza fulminante, che rende queste storie leggibili senza troppe sovrastrutture, come brillanti esempi di quell’orrore estremo che è lo Splatterpunk.
Tuttavia, come fa presupporre già la definizione “nuovi” compresa nel titolo, l’opera ha dietro di sé una storia. Una storia che affonda le sue radici nel fumetto.
Nel 1989, anche sulla scorta del sempre crescente successo di Dylan Dog, la testata bonelliana che nel 1986 ha rivoluzionato il fumetto italiano, fiorisce Splatter, rivista fumettistica che si rifà al genere che si è ormai imposto nei cinema e soprattutto nelle tv private, specie a orari improponibili. La definizione del genere nasce dal ciclo degli zombi di George Romero, che per primo introduce il termine al grande pubblico nel 1978.
Se Dylan Dog, tramite la penna geniale di Sclavi e le chine nerissime di un pool di disegnatori d’eccezione, a partire da Stano, era lo splatter a dimensione Bonelli, “Splatter” ne era la versione senza compromessi, estrema e radicale come se dagli schermi di cinema e trasmissioni tv proibite della notte più fonda gli orrori si catapultassero tramutati sulla pagina, invadendo le edicole allora onnipresenti.
La rivoluzione culturale dello splatter italiano, portatore sano di una certa distruzione creativa in un’Italia ancora profondamente arretrata e conservatrice (specie in provincia) è forse legata anche alla diffusione del videoregistratore, che permette di far circolare perle d’orrore anche al di fuori degli orari di programmazione impossibili per giovani teenager, favorendone la fruizione anche in orari pomeridiani.
L’altro canale di diffusione, però, per quella fascia d’età per cui lo splatter era proibito (e, quindi, più seducente, è chiaro) è il fumetto, che consentiva di sviluppare appieno, come il cinema, quella dimensione visiva dell’orrore che passava meno per la letteratura scritta (comunque avidamente inseguita, tra King e Clive Barker). Dylan Dog ne è l’alfiere più mainstream – non senza rischi per Sclavi, spiegati nello storico albo “Caccia alle streghe” – mentre Splatter è la rivista più estrema, ma di buona qualità, per la cerchia dei cultori, all’epoca molto estesa.
“Primi delitti” di Paolo Di Orazio matura in questo clima, a dicembre 1989. I protagonisti sono bambini e adolescenti che, per varie ragioni, commettono atroci delitti.
Sono gli anni in cui appare anche Splatterpunk (1990), la raccolta curata da Paul M. Sammon, che amplifica la portata caustica del genere con un riferimento implicito al cyberpunk, che ha analogamente trasformato la fantascienza negli anni ’80 (la definizione nasce nel 1986, nella convention tenuta a Providence). In qualche modo, l’opera di Di Orazio ne anticipa alcune istanze, in una prospettiva personale, in grado di colpire i nervi scoperti della società italiana allora in preda a una convulsa evoluzione nella fine delle certezze da guerra fredda.
L’uscita dell’opera, infatti, fece deflagrare lo scontro contro il nuovo orrore da parte di un fronte parlamentare che vedeva unirsi – nell’anno della caduta del Muro – la classica reazione democristiana con le nuove avanguardie della censura da sinistra, che sarebbero poi confluite negli opliti del politicamente corretto. L’opera toccava un nervo scoperto, probabilmente nell’insistenza sui crimini commessi da ragazzi e adolescenti, forse unitamente alla forma letteraria che più facilmente rientrava nei radar dei censori, certo non avvezzi ai comics (comunque oggetto di strali).
Ne ho parlato più ampiamente qui, in una recensione in occasione della recentissima riedizione da parte di D Editore e in una intervista all’autore:
https://fumettismi.blogspot.com/2022/05/paolo-di-orazio-primi-delitti-torna-il.html
https://n3rdcore.it/primi-delitti-intervista-a-paolo-di-orazio/
Ora Paolo Di Orazio è tornato sul luogo dei delitti, dopo trentacinque anni danteschi. I suoi protagonisti sono ora nel mezzo del cammin di loro vita, e la selva oscura del delitto, come possiamo immaginare, non accenna a diradarsi. Ecco quindi questi “Nuovi Delitti”, in cui il tempo è passato all’incirca come nell’opera originale. Ci sarà ancora spazio per un terzo capitolo di “Delitti Finali”, che si annuncia come una rivelatoria “epifania di sangue”.
I titoli dei nuovi racconti corrispondono a quelli della versione originale, consentendo di stabilire un raffronto e apprezzare al meglio l’evoluzione nell’arte dell’omicidio, oppure, a rebours, come uno psicanalista freudiano, leggere i delitti nuovi e poi andare a cercarne le cause nell’infanzia.
I vari racconti, introdotti da inquietanti illustrazioni sempre di mano dell’autore Paolo Di Orazio, continuano a graffiare ogni possibile perbenismo, con la caustica rappresentazione di una follia e una malvagità estreme, irrazionali, eppure così perfettamente calate negli orrori quotidiani della nostra modernità. È superfluo fare qui la tassonomia dei temi trattati: basti sapere che, naturalmente, ogni opera fornisce una prospettiva diversa sulla mostruosità della porta accanto, esasperata dalla psicopatia del protagonista che, però, è solo una cartina al tornasole della follia complessiva della nostra società. La prima storia, ad esempio, vede il protagonista operatore spietato in una casa di riposo (l’orrore degli ospedali e dei luoghi di cura, caro a Foucault, a Buzzati e a Sclavi); ma la sua perversità si incunea perfettamente in quella di un sistema burocratico delirante e anche nel parossistico garantismo che consente al sadico operatore di continuare ad operare, tollerato dai superiori che bene o male sanno delle sue depravazioni.
Una storia – come le altre – dunque intenzionalmente sgradevole per ogni lettore che, in una prosa perfettamente urticante, ci ritroverà per forza qualcosa di fastidioso – e quindi di positivamente stimolante – per le sue convinzioni.
Ovviamente, in questi trentacinque anni l’Italia è andata avanti: forse (forse?) verso l’abisso, ma comunque ormai profondamente diversa da quella dei tardi anni ’80. C’è forse ancor più bisogno della scossa salutare dello splatter in “un paese di musichette dove fuori c’è la morte”, dove però il rumore di fondo della distrazione di massa si è fatto un ronzio più intenso.
Viene quindi da pensare che l’opera non incontrerà più gli stessi strali censori di allora, anche perché oggi il suo pubblico di riferimento è diverso, parla a un pubblico più adulto (i giovanissimi si riforniscono anche di orrore estremo, ma da fonti – anime e manga scaricati da siti online, per dirne una – che sfuggono alla miopia dei censori parlamentari, brontosauri paralizzati in un mondo che si evolve a velocità cupamente futuristico-marinettiane).
Un’opera, dunque, partendo dalla cultura del fumetto horror italiano anni ’80 ne traspone – di nuovo – con grande efficacia gli stilemi di velocità, sgradevolezza intenzionale, efferatezza e humour nerissimo sulla pagina solo scritta (benché illustrata). Un esempio delle sempre piu’ frequenti sinergie, di varia natura, tra fumetto e pagina scritta, che soddisferà i cultori di allora e i curiosi di oggi, nell’attesa del compimento della trilogia.