"Il fumetto cinese" di Martina Caschera

“Il fumetto cinese” di Martina Caschera

Il fumetto giapponese, o manga, è notoriamente di grande influenza e interesse in occidente, dove si è imposto a partire dagli anni ’90 sulla scorta del grande successo, negli anni ’80 (in Italia, dal 1978, per la precisione) degli anime televisivi. Oggi però si stanno affacciando con sempre più forza in occidente anche i Manhwa, i manga sudcoreani, anche in virtù di una indubbia nuova forza di proiezione culturale della Corea del Sud nella cultura pop, da “Parasite” a “Snowpiercer”, fino al grande successo dello scorso anno, “Squid Game”. Ma una indubbia importanza hanno anche i Manhua, i “manga cinesi”, anche solo perché dietro di essi vi è la prima nazione al mondo, per popolazione e non solo.

“Il fumetto cinese” di Martina Caschera, edito da Tunué,  è un ampio lavoro di ricognizione di questa tradizione, che pur senza ovviamente essere esaustivo – sarebbe impossibile – costituisce una panoramica affascinante e molto istruttiva per chi si avvicini al tema da vari punti di vista: o per interesse verso la Cina, o partendo piuttosto in particolare da quello per il fumetto. L’opera è impostata con rigore accademico, ma al tempo stesso resta chiara e leggibile a chiunque voglia approfondire la tematica, pur essendo al tempo stesso un testo abbastanza impegnativo, come del resto necessario per non trattare superficialmente la questione.

 

 

L’opera mi pare interessante da segnalare in questo blog che si occupa di fumetto in ottica didattica, con uno sguardo di preferenza – ma non esclusivo – per la letteratura. La Cina è infatti un tema macroscopico in Storia, specie in correlazione alla storia del ‘900, oltre che in geografia ma, in realtà, in tutte le materie perlomeno umanistiche, se si vogliono trattare con sguardo non eurocentrico. Pertanto, nell’ottica di eventuali approfondimento sul tema usando il fumetto, può essere utile per il docente (e per la biblioteca scolastica, magari) un volume di questo tipo, per fornirsi di una cornice generale e di uno strumento di contestualizzazione di comprovata validità.

Il volume tra l’altro evidenzia, oltre al resto, un aspetto interessante e solitamente poco considerato: quella del fumetto cinese può essere anche ritenuta una delle più antiche tradizioni fumettistica, dato che qui nasce la stampa tipografica. Ovviamente anche la Cina vanta un proto-fumetto pre-tipografico, ma la svolta verso la stampa e il libro illustrato interviene qui già nel secolo X, giungendo poi in Europa solo diversi secoli più tardi. Per cui, l’importanza della tradizione cinese del fumetto va probabilmente rivalutata specie in questa prospettiva storica.

 

 

Come inoltre spiega la stessa Caschera, citando Goodrich, tutto questo “portò alla Cina un grande primato: prima del xix secolo, la produzione totale di testi a stampa in Cina superava, molto probabilmente, quella di tutto il resto del mondo“, e tra i più antichi testi stampati pervenutici integri, il Sutra del diamante fornisce anche la più antica prova del connubio parole-immagini su testo stampato. La rivoluzione che porta alla caduta dell’Impero, nel 1911, viene anche definita “Rivoluzione d’Inchiostro” per il grande ruolo della stampa al suo interno.

Il testo prosegue seguendo lo sviluppo della stampa, e quindi dell’illustrazione, del fumetto e del proto-fumetto cinese. La stampa illustrata, in particolare, aveva dato vita a una “comunità mondiale”, un immaginario globale condiviso, similmente a quello che sarà poi, in occidente, il “Sistema Hollywood”. Dal 1900 al 1920 il bacino di lettori si decuplica poi a Shanghai, culla della stampa moderna: e qui nasce anche il fumetto cinese in senso moderno, all’interno dei periodici illustrati. Stilisticamente nell’illustrazione ci sarà una grande influenza, tra altri spunti, della xilografia di Grosz, di grande efficacia nella satira del militarismo (come la vignetta antinazista su “Il generale bianco”, vedi immagine 1 qui sotto). Non mancano anche rimandi alle correnti liberty e art decò in voga al periodo anche nel mondo occidentale (vedi qui sotto) e addirittura curiose influenze della Divina Commedia, probabilmente mediata dalla lezione del Dorè (vedi blocco d’immagini successivo).

 

Grosz

La grande portata sociale che i fumetti raggiunsero negli anni Quaranta fu così descritta Shen Ji (1924- 2016), scrittore e drammaturgo di Shanghai: “I miei genitori furono grandi commercianti nati in famiglie molto povere, si sono arricchiti con il lavoro. Ma erano analfabeti. Nella Shanghai dell’epoca le opportunità di divertimento non erano meno di adesso, i miei genitori amavano assistere alle rappresentazioni teatrali, ma non potevano andare ogni giorno a teatro o al cinema a guardare i film. L’unico modo per alleviare la noia era andare […] a noleggiare i «fumetti» (xiaorenshu)”.

Insomma, il volume argomenta bene l’idea di una importanza del fumetto cinese anche prima dell’arrivo del maoismo, che ovviamente lo riprende e lo modifica profondamente. Un discorso interessante, che viene documentato con ricchezza di esempi e ragionamenti, mostrando la ricchezza di questo fumetto.

 

 

Influssi del liberty, dell’art decò, di Doré, di Dante.

 

Di particolare interesse è però ovviamente il ruolo del fumetto all’interno dell’era maoista. Caschera ricostruisce poi con cura come, con la salita al potere del regime comunista, il fumetto, così come altre espressioni dalla forte componente visuale, viene incanalato nella propaganda del regime. Mao Zedong in persona affermò infatti che il lianhuanhua fosse letto da bambini e da adulti, da analfabeti e da persone istruite, e dunque «perché non fondare una casa editrice per dare alle stampe una serie di nuovi lianhuanhua?»

Il volume spiega come viene quindi preferita questa forma di arte sequenziale, anche perché il manhua è ritenuto troppo vicino alle influenze straniere. Inoltre si ritiene più chiaro di lettura per una popolazione ancora grandemente analfabeta (85-90 per cento). Il fumetto venne ritenuto, in quanto forma d’arte popolare, “prodotto artistico” e “opera d’arte”, e favorito rispetto anche alla pittura tradizionale, in quanto vista sia come retaggio dell’era feudale.

 

 

I temi sono sia quelli della storia rivoluzionaria e della vita della nuova Cina, ma anche la rielaborazione dei temi classici. Vi furono inoltre molte persecuzioni censorie contro gli intellettuali durante il dominio maoista, e anche i fumettisti furono colpiti dalla repressione. Quelli sopravvissuti vennero in parte reintegrati dopo la fine del Maoismo, dal 1977 in poi.

Una altra svolta fu segnata dai nuovi obiettivi assegnati al fumetto. Spiega Caschera: “Nel 1953, la ratifica dell’eliminazione del conflitto di classe ebbe ripercussioni anche nel modo di rappresentare i personaggi nelle opere letterarie e artistiche. (…) Per quanto riguarda i linguaggi del fumetto, si è detto come il primo passo per la costruzione del nuovo lhh dovesse essere compiuto sulle macerie del vecchio lhh: nel 1949 fu portata avanti un’investigazione sui nuovi prodotti del primo biennio, per assicurarsi che non riproducessero vecchi schemi, e campagne contro i lhh nocivi dal punto di vista ideologico ed estetico. Il passo non fu compiuto molto facilmente e, ancora nel 1951, su 200mila lhh solo il 20-25 % era «rivoluzionario». I lhh definiti anticomunisti e capitalisti furono subito censurati, mentre a quelli di arti marziali e agli adattamenti di film degli anni Trenta fu concesso ancora del tempo. Anche il manhua più popolare, quello di San Mao (1935), avvicinato talvolta a Tintin, di poco precedente (1929) o al successivo Charlie Brown (1950), un ragazzino con le classiche avventure e disavventure di questi fumetti, fu soggetto a una “critica” e costretto a correggersi ideologicamente.

 

 

All’indomani della morte di Mao (1976), molti autori di manhua furono riabilitati, anche se non tutti ripresero a lavorare. Interessante anche come il volume ricostruisca il fatto che vi fu una produzione letteraria volta a descrivere le persecuzioni sofferte dal popolo cinese durante il maoismo, che sarebbe indubbiamente molto interessante approfondire.  In seguito, nel corso del 1979, si ebbe un ritorno all’Art Deco nella produzione commerciale, e un nuovo realismo dedicato alla critica delle persecuzioni avvenute durante la Rivoluzione culturale.

Il saggio ricostruisce con cura anche l’età più recente del fumetto cinese. La libertà consentita porta negli anni ’80 a stili più liberi, in parte più disimpegnati e, soprattutto, a un grande successo dei cine-fumetti, con la ripresa anche di film occidentali che vengono resi così disponibili al vasto pubblico, spesso con riscritture radicali, come nel caso delle opere dedicate a Star Wars. Vi è inoltre un grande successo della fantascienza, anche per lo scopo governativo di “popolarizzare la scienza”.

 

 

Nel corso degli anni ’90, le riviste a fumetti ufficiali hanno poi iniziato a entrare in crisi; dopo la violenta repressione di Piazza Tan’anmen si accentua il rifiuto da parte del pubblico della propaganda ufficiale. L’arrivo dei fumetti manga, poi americani ed europei, suscita un notevole entusiasmo in autori e appassionati per la grande libertà espressiva che portano. Grande successo hanno Atom (Astroboy) e Doraemon, poi i Cavalieri dello zodiaco, Dragon Ball, City Hunter e Ramna 1/2. In tempi recenti, un grande sviluppo ha avuto anche qui il fenomeno del webtoon, ed è presente anche un fumetto cinese underground e indipendente, lontano dalle case editrici maggiori comunque soggette a un certo controllo del regime, identificato con dixia manhua e duli manhua.

Il saggio ricostruisce poi anche l’interesse sempre crescente in Occidente – e, nello specifico, in Italia – per il fumetto cinese, documentandone lo sviluppo qui da noi e dando anche utili spunti di lettura a chi voglia avvicinarsi a questo argomento.

Nel complesso, quindi, un’opera introduttiva ampia ed esaustiva, che permette di farsi un quadro di notevole chiarezza sul fumetto cinese nel suo complesso, e resta – per chi sia appassionato di studio del fumetto – come un volume di consultazione potenzialmente di grande utilità come primo viatico all’esplorazione del fumetto cinese. Per certi versi, l’opera si inserisce nella generale prospettiva di uno studio del medium che deve divenire, in futuro, forse meno occidente-centrico, tenendo sempre più conto, ai vari livelli, di una vasta produzione all’esterno dei paesi usualmente considerati, spesso di grande interesse e livello qualitativo.

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Rispetto all’utilità didattica, il tema di riferimento di questo blog, vale quello che abbiamo argomentato all’inizio: il testo è sicuramente utile per integrare e storicizzare alcuni riferimenti sul fumetto cinese, consentendo magari di proporre alcuni spunti di approfondimento storico ad allievi che abbiano un interesse relativamente alle nuove varietà del fumetto orientale (attualmente, nelle scuole superiori, si nota una tendenza degli allievi più “aggiornati” al manwha coreano).

Naturalmente, data la natura comunque accademica – seppur accessibile con un certo impegno – del saggio, lo riteniamo ideale soprattutto in scuole dove l’approfondimento sul manhua possa avere una valenza “professionale”, come un istituto grafico o artistico, dove può avere più senso e più forza un approfondimento dell’interesse da parte di un allievo, unendo le discipline umanistiche a quelle di indirizzo.