Il Corazzini Punk di Lucciola e Andromalis
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Il Corazzini Punk di Lucciola e Andromalis

Corazzini cover

Su questo blog dove mi occupo di letteratura e fumetto non potevo fare a meno di parlare di questo interessante fumetto edito da Barta Edizioni, “Poeta a vent’anni”, disegnato da Andromalis su testi di Simone Lucciola, che affronta con piglio innovativo e punk la figura centrale dei crepuscolari, Sergio Corazzini.

“Vita breve, opere e scorribande”, recita il sottotitolo: e in effetti brevissima fu la vita di Corazzini (come poco più lunga quella del crepuscolare forse più noto, Guido Gozzano), nato a Roma nel 1886 e morto prematuramente nel 1907 a soli ventuno anni. “Poeta a vent’anni”, quindi, poiché la sua esperienza poetica si avvia e si chiude in questo arco brevissimo di vita, che sarebbe oggi al massimo tardoadolescenza. Gozzano, a margine, è qui omaggiato da una apparizione non centrale, ma ottenendo le uniche righe scritte in corsivo per far risaltare il “guidogozzano” tutto in minuscolo con cui il poeta denuncia la propria orgogliosa insignificanza crepuscolare.

Si tratta, a mio avviso, di un bel recupero, che dimostra la forza del fumetto nel confrontarsi anche con la tradizione poetica, e non solo col romanzo (e principalmente col romanzo di avventure), riuscendo spesso a dare (come in questo caso), nella transcodifica dell’adattamento letterario, una nuova lettura vivificante dell’originale. Come dice giustamente Andromalis, “Per sua doppia natura, il fumetto ha capacità di dilatazione immaginifica infinita e pescaggio sentimentale abissale. Perciò è la disciplina narrativa più adatta al naufragarsi con dolcezza nella poesia.” E qui cercherò di mostrare – seguendo anche cosa hanno già detto i due autori nel presentare la loro opera – come l’adattamento in questo stile punk, tipico del disegnatore, sia ottimale per portarci nel mondo crepuscolare. Ma, prima, è necessario spendere due parole sul perché i crepuscolari sono importanti, per quanto marginalizzati nel canone (come forse essi stessi vorrebbero, nella loro tradizione dolcemente nichilistica).

Il moto crepuscolare.

Siamo nell’Italia della prima decade del ‘900. Tra i due regicidi, quello di Umberto I che apre il Novecento italiano, e quello che scatena la Grande Guerra nel 1914, come ricorda anche Lucciola nella sua postfazione. All’apparenza siamo ancora in una sorta di Belle Epoque, ma sottotraccia vi sono fermenti di inquietudine che percorrono l’Italia (e il mondo) di allora. Uno di questi fermenti è il frammentario, pulviscolare movimento dei crepuscolari. Si tratta di una definizione che sorge nel 1910, ed è curioso esplorare il percorso in cui lo colloca il critico Borghese, nel fissarlo su La Stampa, citando tre nomi ancor più minori in cui non appare Corazzini, ma nemmeno Gozzano e Palazzeschi, bensì Moretti, Martini e Chiaves, che in seguito sono passati più in seconda fila.

Borghese muove da una desolata riprovazione per una poesia italiana che ha un mattino inciso nel granito delle tre corone (Dante, Petrarca, Boccaccio), un mezzogiorno grandioso nel rinascimento (Boiardo, Ariosto e Tasso), un primo meriggio ancora signorile nel settecento (Goldoni, Parini e Alfieri; il seicento di Marino e di Galilei viene eliso perché non poetico o deteriore), un vespro ancor degno nell’Ottocento con Foscolo, Manzoni e Leopardi, e infine un «mite e lunghissimo crepuscolo» (con l’elisione, nel suo percorso critico, delle coeve tre corone, ben più note, del Decadentismo: Carducci, D’Annunzio, Pascoli). Insomma il crepuscolarismo nasce in contrapposizione, ma anche in collegamento, a un generale “ritratto di famiglia” affollato di riferimenti (se vogliamo, saranno poi le “tre corone del Novecento”, Ungaretti, Montale e Quasimodo, a riprendere in modo differente una poesia antiretorica, contraria ai “poeti laureati”, anticipata per molti tratti dai crepuscolari).

E Corazzini, come spiegato anche da Lucciola nell’intervento di chiusura del volume, in questa vita velocissima è il fulcro aggregativo di una scena romana crepuscolare, che si sviluppa attorno al Caffè Aragno e altri snodi di un rizoma culturale estremamente labile ed effimero. Tuttavia, è importante per capire questo periodo, le sue inquietudini, e come sempre in storia e storia della letteratura, le inquietudini dei tempi che verranno. In qualche modo i Crepuscolari, e Corazzini in primis, fondano il nostro Novecento antiretorico, a fianco dei primi inetti pirandelliani, in altri ambiti e altri modi (il Fu Mattia Pascal è del 1903) e, forse non a caso, del nostro fumetto, che nasce sul Corrierino nel 1908.

La copertina di Mali(nu)s

Corazzini2

Questa mappatura inquieta di luoghi e di nomi condotta da Lucciola e Andromalis con perizia filologica, apertamente rivendicata, rende il fumetto un ottimo punto d’accesso al movimento crepuscolare, con indicazioni minuziose e precise che il lettore potrà ampliare, in una divulgazione ovviamente per nulla seriosa e anzi come diremo coi ritmi del punk, ma con una accuratezza che sfida tranquillamente una possibile saggistica divulgativa narrativa (tra l’altro, ad ora, sui crepuscolari direi inesistente o estremamente liminale).

Una mappatura anche fisica di luoghi romani seminali del movimento, intrecciati con la storia che si sviluppa sullo sfondo, a volte anche proprio con cartografie degli spostamenti corazziniani o, comunque, rendendo in modo quasi analogico la griglia delle vignette una mappa analogica, gli spazi bianchi come strade tra le isole del testo. Ma anche soprattutto una mappatura di nomi, che si riflette nella copertina, lavoro eccezionale che ben riflette il lavoro del testo.

La copertina infatti, che si estende non solo sulla prima, ma anche sulla quarta di copertina e sui due risvolti, è una perfetta rappresentazione non solo dello stile di Andromalis, non dissimile da quello usato anche in altre opere, ma anche della enorme ricchezza visiva con cui quest’opera è affrontata, in tavole fastosamente sovraffollate.

Corazzini poeta

In questo gigantesco “ritratto di famiglia” corazziniano troviamo rispettivamente, basandomi sulla catalogazione offerta dagli stessi autori: “Metà di un carabiniere, Pinocchio, Edward mani di forbice, Francesco Baracca in picchiata, Guido Gozzano e il suo gatto, Umberto I, Ian Curtis, la mano armata di Gaetano Bresci, Giosuè Carducci, Corrado Govoni, Alberto Tarchiani con il “Piccolo libro inutile”, Marino Moretti e il suo gatto, Alfredo Tusti, Gino Calza-Bini, Giovanni Pascoli col suo fanciullino in braccio, Robert Smith, Aldo Palazzeschi, Gualtiero ed Erberto Corazzini, mamma Lina, Fausto Maria Martini, Sergio Corazzini, Siouxsie, Donatello Zarlatti, Dolcezza, Enrico Corazzini, Dio, Gabriele D’Annunzio, un dito nel suo occhio e l’altra metà del carabiniere.”

Andava a mio avviso riportata integralmente per dare l’idea di questo affastellato affollamento alla Sgt Pepper Lonely Hearts Band. Da notare che l’immagine è pure circolare, in quanto la foto di gruppo si apre con un mezzo carabiniere e si chiude con l’altro mezzo, divenendo un infinito nastro di Moebius.

Oppure, se teniamo i carabinieri come due figure identiche, abbiamo una ripresa ampliatissima della illustrazione di Attilio Mussino, padre del fumetto italiano e illustratore più autorevole del Pinocchio di Collodi (“zio di Pinocchio”, viene definito, per la sua importanza), dove il burattino simbolo dell’Italia postunitaria appare chiuso tra due guardie dopo le sue prime imperdonabili monellerie (non a caso Pinocchio è la prima figura che appare a sinistra dell’immagine dopo il primo carabiniere dimezzato).

Corazzini cover 1

Corazzini Little Nemo

Corazzini si definisce “piccolo fanciullo che piange”, e proprio in questa dichiarazione si concentra il nucleo della sua poetica: il poeta non è più vate, ma un essere fragile, malato, restio alle norme sociali, un fratello diverso ma simile, verrebbe da dire, nono solo a Pinocchio, ma anche al Fanciullino pascoliano, a Gian Burrasca, ai primi adorabili monelli del fumetto anche nostrano, da Bilbolbul a Quadratino. Il piccolo Sergio esordisce con aspetto da fumetto d’antan, mentre spera di “perdersi fra le nuvole”: gemello di tanti “Little Nemo”, “piccoli nessuno” che sono i protagonisti del fumetto di allora, che siano monelli borghesi o sottoproletari, rappresentazione di una infanzia che si affaccia a essere concepita nella sua esistenza freudiana ma ancora apertamente marginalizzata salvo appunto concessioni come “Il corriere dei Piccoli”. Non so se il gioco è così raffinato, ma nel “perdersi nelle nuvole” che il piccolo Sergio non può fare potrebbe esserci un rimando di un fumetto che, all’epoca e in Italia, non ha appunto il “fumetto”, il balloon che gli dà nome, e deve esprimersi con poesiole in ottonari a rima baciata. Forse Corazzini, avesse avuto il fumetto, sarebbe divenuto un altro enfant terrible punk come Tamburini e Pazienza.

Corazzini gian burrasca

L’opera prosegue alternando tavole di impianto tutto sommato tradizionale a splash page o altre dal montaggio meno regolare: tutte però sono rese particolari, visivamente, da questo gusto dell’affollamento dell’immagine, in un segno generoso che non si risparmia nel ricostruire con puntiglio l’affresco di un’epoca. Le scene debordanti come i dialoghi e i testi creano un tessuto narrativamente densissimo, volutamente “troppo ricco”, che crea un paradosso: la percezione di un certo stile di fumetto punk, underground, è evidente, ma al tempo stesso è potremmo dire un “caos calmo”, ordinato, in quanto l’effetto di sovrabbondanza non è ottenuto con gratuite invenzioni surreali ma partendo dal dato reale, come nelle scene al Caffè Aragno dove, come detto, si sviluppa quella scena crepuscolare di cui Corazzini emerge come uno dei migliori interpreti. Uno stile che guarda con evidenza, in perfetta coerenza col percorso di Andromalis, allo spirito del punk anche fumettistico degli anni ’70 e dintorni, e che è ottimale per raccontarci della “avanguardia” crepuscolare (che non si definiva ufficialmente tale).

CrepuscolarPunk

Corazzini1

Il Punk, nato alla metà dei ’70 come definizione, si sposa paradossalmente in modo perfetto al crepuscolarismo. Di fatto, anche oltre forse all’intento iniziale, -punk è divenuto un suffisso che ben si sposa anche a elementi contrastanti, col cyberpunk indubbiamente, ai primordi degli ’80, ma anche retrospettivamente, ai primi anni ’90, con lo steampunk ambientato a fine secolo XIX, e poi tutta una pletora di “generi punk” (horrorpunk, splatterpunk, dieselpunk, atompunk) condizionati dall’estetica nichilistica e da un diverso scenario di cultura pop.

Anche il crepuscolarpunk quindi funziona bene: anche la galassia crepuscolare, come spiega anche Lucciola nel suo commento finale, è un pulviscolo di nomi, rimandi, connessioni spesso vaghe, fumose, a geometrie eternamente variabili, e che si esprime principalmente con autoproduzioni povere, dal basso, un po’ come la galassia punk italiana che vede la fioritura, anche e specie nel fumetto anni ’70, di fanzine, riviste autoprodotte, un humus da cui emergono poi gemme come l’avanguardia dei Cannibali (che non a caso si ritrae riprendendo a disegno una foto dei futuristi del 1909, così come il nome rimanda a un concetto già dei surrealisti). I crepuscolari aggiungono il gusto per una poesia che, sotto l’apparenza meno di rottura e più convenzionale, esprime però uno struggente, sentito nichilismo.
Corazzini, nelle sue liriche, si nega come poeta, consapevole che nell’età dannunziana servirebbe “altra vita” per dirsi tale, quella “inimitabile” propugnata, con crescente successo, dal superuomo-D’annunzio.

Conclusioni e nota didattica


Corazzini tito marrone


Quest’idea di una fitta foresta simbolica (baudelariana, quasi) in cui i vari impulsi crepuscolari si corrispondono e si fondono è sottolineata anche dalla densa onnipresenza di elementi vegetali tentacolari che si infiltrano in ogni spazio rafforzando ulteriormente l’horror vacui autoriale già presente; il nichilismo sanguinante che rende Corazzini e i suoi così moderno è rafforzato dal tema ricorrente del “sacro Cuore”, il cuore sanguinante del poeta e di chi sa capirlo e apprezzarlo (il “cuore peso di punk” di cui parla con ironia dolente Andrea Pazienza).

Frequente qui è anche l’espediente di “tavole rovesciate” (un elemento poco usato nel fumetto, e che quindi spicca ancor di più) che costringono il lettore a un costante cambio di prospettiva anche fisica nella lettura dell’albo. Mi pare un rimando, se non sovrainterpreto, di questa lettura volutamente “moderna” del crepuscolarismo come controcultura punk anni primo Novecento, in una estetica del ribaltamento dei punti di vista che torna nell’ultima sequenza di tavole rovesciate, e ultima sequenza in assoluto, quella che ci mostra la pur labile sopravvivenza dell’eredità corazziniana, a cui si connettono anche i due autori.

Nella sua conclusione, come già detto in vari passaggi, Simone Lucciola sottolinea ancora questo discreto ma evidente parallelo tra la Lost Generation italiana crepuscolare, sorta tra il regicidio e la grande guerra e l’universo punk che avrà in Italia una sua stagione tellurica particolarmente intensa nei ’70: movimenti accomunati dall’autopubblicazione e dalla marginalità, da un ripudio radicale della (quasi sempre stantia) Italia ufficiale.

Da queste contaminazioni proficue emerge questo libro, che ricostruisce nel segno di un fumetto punk questa “stramba costellazione poetica” che aveva Corazzini come stella polare, destinata a disperdersi (alcune figure sono effigiate senza volto, non ne resta fotografia) con qualche flebile eco. Il volume è denso, ricco, ma tutt’altro che facile, agli antipodi dell’idea deteriore del fumetto (solo) come “semplificazione scolastica” della “alta letteratura”.

Per chiudere con la nota didattica che mi è propria, da prof di lettere delle superiori, il suo uso scolastico mi pare ottimale “for mature readers”, per gli ultimi anni delle superiori di secondo grado, quando in effetti, tra quarta e quinta, si può accennare ai Crepuscolari. Quindi un fumetto che dovrebbe esser presente nella biblioteca scolastica di fumetto di una scuola superiore come possibile base di un approfondimento per qualche allievo affascinato o seducibile dalla parola poetica nelle sue varie sfumature, incluse tutte le declinazioni musicali. Il vantaggio è che una riflessione sulla transcodifica da letteratura a fumetto, che è il lavoro a mio avviso più proficuo che si può chiedere di fare, in questo caso parte da una mole relativamente esigua di testi di partenza, ricchi di profondità poetica ma complessivamente accessibili.

Il testo è comunque ampiamente godibile ancor di più da un pubblico maturo, che potrà volendo anche trovarvi un rimando per riscoprire una delle radici del rizoma delle controculture italiane, una “stramba costellazione destinata a disperdersi” ma che forse ha sparso alcuni fertili semi, benché poco riconoscibili, nell’immaginario collettivo.

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