Il Cuore nero di Torino batte ancora: Lombroso e De Amicis secondo Barzi e De Stena
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Il Cuore nero di Torino batte ancora: Lombroso e De Amicis secondo Barzi e De Stena

Davide Barzi è meritoriamente responsabile di aver adattato a fumetti due importanti autori del canone letterario. L’opera più vasta è il cospicuo adattamento integrale del Mondo Piccolo di Giovanni Guareschi a fumetti, un’impresa imponente che Barzi coordina con passione e precisione filologica (sul blog ne avevo parlato qui); altri due autori che ha voluto omaggiare (assieme al disegnatore Francesco De Stena) invece in quest’ultimo numero 63 de Le Storie sono due nomi torinesi, quindi a me – da buon piemontese – campanilisticamente cari.

Il primo è evidente fin dal titolo: Cesare Lombroso, il padre della moderna criminologia (di recente citato anche in una ottima serie americana come Mindhunter, nella prima puntata). Le sue teorie, figlie di quell’epoca degli albori delle scienze umane moderne, gli sono valse più di una condanna da chi non ha saputo contestualizzare Lombroso nella sua epoca, con tanto di richieste – per fortuna, per ora sventate – di cancellare il bel museo torinese che porta il suo nome.

Barzi, va detto, giustamente non celebra affatto in modo acritico il Lombroso personaggio, e non manca di marcare le distanze dalle sue posizioni oggi inattuali; ma ne riconosce lo spessore culturale e l’opera pionieristica e – celebrando così l’uomo di scienza – fa sì che sia lo stesso Lombroso a rendersi conto della fallacia di alcune sue posizioni, una volta coinvolto in una vera indagine.

Perché questo Il cuore di Lombroso è un giallo ambientato nella Torino del 1889, e Lombroso indaga su una terribile catena di omicidi, il primo dei quali apre il romanzo a fumetti. E a questi delitti si collega il secondo rimando, quello più letterario, con una citazione in realtà anch’essa presente fin dal titolo ma non immediatamente intuibile: Cuore di Edmondo De Amicis, uscito nel 1886 ma ambientato in una terza elementare dell’anno scolastico 1881-1882.

Se Lombroso mi è sempre stato caro come uno dei tanti volti della Torino “diabolica” e oscura, per Cuore l’interesse si lega anche alla mia professione in ambito scolastico: il professore di lettere negli istituti tecnici è in fondo abbastanza vicino a una specie di Perboni, che nel romanzo vediamo insegnare molto più storia e lettere (diciamo: patriottismo narrativo) che le altre materie di contorno. Curiosamente, come Lombroso e Guareschi, anche il De Amicis di Cuore è a suo modo un “autore proibito”, stucchevole e buonista per il cattivismo scolastico da Paola Mastrocola in giù, e paternalistico e in fondo autoritario per il pedagogismo progressista (si veda la stroncatura eccelsa di Umberto Eco ne L’elogio di Franti). Barzi sembra avere una predilezione per gli irregolari del canone (si veda anche l’adattamento di Giorgio Gaber, sia pur oggi più sdoganato di un tempo).

(Lo studio di dettaglio – nei vestiti e nelle uniformi, come qui, ma anche sugli altri aspetti – è minuzioso)

Ma veniamo al fumetto in questione: l’apertura con un bel colpo di scena mostra subito la declinazione nerissima che Barzi darà di quel mondo sabaudo fin du siecle. I disegni di Francesco De Stena, con la loro minuziosa e fin paranoica precisione retrò, seguono perfettamente Barzi in questa discesa La Bàs nella città delle lingere, che confina così da vicino, nel Cit Turin, con le vetrine scintillanti dei caffé del centro e il salotti perbene colmi di buone cose di pessimo gusto. Il gusto per la precisione nella ricostruzione dei due autori è perfetta per uno scenario come la Torino dell’Ottocento, che è impossibile rendere con una sbrigativa “soluzione di sintesi”.

L’impietosità dell’esame autoptico di Lombroso con cui entra in scena il personaggio è una prova indiscussa di bravura di disegnatore e sceneggiatore, che ci caratterizza subito il personaggio senza nemmeno farlo apparire, prima di una bella e fosca quadrupla introduttiva (p.8). La griglia sarà poi quella bonelliana classica, che ben si presta a una storia dalle atmosfere volutamente antiquate. Fin da subito l’apparire in scena dei vari ragazzi cresciuti del romanzo ci mostra il declino delle speranze di quei fanciulli un decennio dopo, circa, la loro scuola elementare (Barzi, legittimamente, mi sembra dilatare i tempi, perché altrimenti non potrebbero essere in terza elementare nel 1882, a otto-nove anni, e così adulti sette anni dopo).

(la filologica ricostruzione di Barzi e De Stena della scuola elementare Moncenisio, ispiratrice della scuola Baretti del romanzo).

La narrazione prosegue col ritmo cupo e angoscioso del noir, mentre i vari personaggi ritornano in scena per mostrare ognuno il proprio declino, vivisezionati impietosamente da Lombroso con i ferri del mestiere delle sue teorie scientifiche. Inevitabile la citazione di Arthur Conan Doyle, di  Sherlock Holmes e del suo Uno studio in rosso (1887), opera che segue solo di un anno il romanzo di De Amicis che, in un lungo “racconto interno”, lo anticipa. De Rossi infatti indaga su un mistero relativo al padre di un compagno di classe con l’aiuto di un Enrico perfettamente calato nella parte del modesto Watson. Appare altamente probabile che la cosa derivi da una fonte comune, da quel Dupin di Edgar Allan Poe cui Conan Doyle doveva molto, e che con ogni probabilità anche De Amicis conosceva.

Ma più ancora che questo esplicitato riferimento giallistico, inevitabile, colpisce il rimando al clima del decadentismo, che nasceva proprio in quegli anni in Francia (la rivista del movimento, Le Decadent, è perfettamente parallela a Cuore, 1886) e che appare soprattutto in un personaggio centrale, degenerato da bravo ragazzo ad artista maledetto e scapigliato (della Scapigliatura il fumetto cita esplicitamente, del resto, il versante artistico). I tatuaggi vagamente massonici del giovane bohemien sono vagamente depistanti (tornano anche nel finale, su un povero demente nell’ospedale psichiatrico). Interessante il 1875 tatuato (vedi p.22), potenziale data di nascita di Enrico (in terza elementare nel 1882).

A parte questo piccolo mistero, la storia è un ingranaggio perfetto, in cui Barzi gioca al gatto col topo, riservandosi anche l’apparizione clou del colpevole che tutti ci attenderemmo a metà albo, ovviamente scagionandolo. Dopodiché, l’albo procede implacabile verso la sua sanguinosa conclusione, fino all’inevitabile “Elementary, Garrone!” con cui tutti i tasselli vanno al loro posto.

Insomma, un rovesciamento cupo del capolavoro del De Amicis tramite la lente sulfurea di Lombroso, seguendo una ricca tradizione letteraria: “Pancreas” (1993) di Giobbe Covatta, o in fondo – come citazione ossimorica – una rivista come “Cuore” di Michele Serra; ma anche il bel dramma televisivo di Luigi Comencini, nel 1986 (dove i ragazzi finiscono per perdersi nella “inutile strage” della Grande Guerra). Il migliore a mio avviso è “La scuola si diverte” di Virgilio Budini (che, come tutto l’umorismo surreale, è anche puro realismo); ma in fondo aveva iniziato lo stesso De Amicis a ribaltare la propria opera, con quel capolavoro misconosciuto di “Amore e ginnastica” (schernito anche dalla sua coeva nemesi, Attilio De Inimicis). E ci si era cimentato – non a caso – il grande autore adattato da Barzi: Guareschi, che aveva fatto una parodia-omaggio su “Candido” di un Cuore riscritto nei tumultuosi giorni della “Italia provvisoria”, dal 1945 al 1948. Questa ennesima riscrittura si colloca perfettamente nella scia di questa vasta tradizione; e se vi sono vari fumetti che hanno adattato “Cuore” in modo “rispettoso” (tra tutti, purtroppo, secondo me spicca l’anime nipponico: delle versioni nostrane non ne ricordo nessuna notevole, magari per distrazione mia) questa riscrittura insieme affettuosa e sulfurea di Barzi e De Stena fa la sua bella figura a fianco degli illustri precedenti letterari.

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