Storia di cani, storia di rabbia disegnata
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Storia di cani, storia di rabbia disegnata

La prima volta che lessi Storia di cani di Giuseppe Ferrandino e Giancarlo Caracuzzo avevo 18 anni e non avevo idea che si potessero fare fumetti a quel modo. Ricordo ancora lo stato di “spaesamento” in cui mi lasciò la lettura dei primi capitoli su Nero, la rivista di Granata Press dove il racconto, che oggi Editoriale Cosmo ha riportato in edicola, fu pubblicato (a puntate) la prima volta.

Sarebbe facile attribuire l’effetto disturbante dell’opera alla violenza rappresentata ed esibita nel racconto, ma quelli erano gli anni di riviste fumettistiche sanguinolente come Splatter  e Mostri – per non citare i vari “bonellidi” nati per imitare il successo di Dylan Dog –  e certo non si può dire che Storia di cani proponesse in confronto chissà quali eccessi “ematici”.

Storia di cani

Semmai quello  che trovai davvero sconvolgente delle tavole di Ferrandino e Caracuzzo era la loro potenza espressiva. I gangster guappi di Napoli, truci e tronfi protagonisti della storia, maltrattavano il dialetto esattamente come maltrattavano i loro simili nella vicenda. Masticavano il linguaggio parlato così come quello fumettistico e lo risputavano addosso a noi lettori con malcelata disinvoltura, con una rabbia drammaturgica che non avevo mai percepito così forte, fino ad allora, in un fumetto di casa nostra.

Il problema non era (tanto) capire le parole pronunciate, quanto intuire quelle non dette. Le battute sospese nei balloon, le espressioni troncate dagli sguardi, i pensieri appesi alle labbra dei personaggi, sembravano altrettanto importanti degli enunciati e, al tempo stesso, molto più difficili da cogliere.

Oggi ne sono più consapevole da lettore: lo straniamento che Storia di cani  produce – o almeno produce su di me, tutt’ora, dopo oltre vent’anni – è figlio della scrittura fumettistica di Giuseppe Ferrandino. Una sceneggiatura particolare, quasi jazzistica, capace attraverso i dialoghi e la regia scenica, di dare un ritmo sincopato all’azione. Caracuzzo, da nitido artigiano della matita, sa che rispetto a una scrittura così debordante e dissonante, il disegno ha l’onere e l’onore della misura. E lui la trova: nella caratterizzazione sintetica di volti e ambienti, nel bilanciamento dei bianchi e dei neri, nella scansione serrata dei layout con sequenze stipate di vignette alternate ad ariose splash page.

Storia di cani

Ed è tutto un rincorrersi di situazioni incalzanti, oltre che di segni intensi, che inchiodano l’occhio del lettore alla trama disegnata. Una vicenda di cinica (dis)umanità, con personaggi randagi ai margini della società, portatori (in)sani di rabbia feroce che li  conduce a sbranarsi l’un l’altro nel contesto malativoso e che non può non farci pensare, per esempio, a certi esiti espressivi (ed estetici) attuali dell’universo “Gomorra”.

In questo senso Storia di cani rappresenta un’opera seminale e forse non a caso parlandone con diversi autori – per esempio Ratigher , Giulio Antonio Gualtieri e Alessandro Bilotta – vengono sempre fuori parole di particolare apprezzamento.   Storia di cani  è senza dubbio uno dei vertici della produzione fumettistica di Giuseppe Ferrandino, uno scrittore (a suo modo) unico nel panorama dei comics italiani di quegli anni che ha, poi, lasciato per dedicarsi in toto alla letteratura.

L’editore, scrittore e critico Luigi Bernardi, che di Ferrandino è stato il principale estimatore e patrocinatore artistico, sosteneva che lo scrittore di Ischia avesse le carte in regola per regalare al fumetto italiano un nuovo “grande fumetto nero” seriale, degno erede della Kolossale stagione “K” degli anni Sessanta. Così non è accaduto, ma è indubbio – leggendo Storia di cani – che le premesse ci fossero tutte.

Storia di cani

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