
Letture con/divise: Richard McGuire e i Tralfamadoriani
Letture con/divise è uno spazio in cui, da lettore onnivoro, provo a tracciare nuovi ed inediti percorsi, collegamenti, anche labili, fra un libro e un fumetto, che possano dare spazio ad una riflessione più ampia sulle opere.
Un tentativo pratico di mostrare come questi due mondi, che coinvolgono fette di pubblico spesso reciprocamente aliene, siano in realtà profondamente collegati; ma soprattutto un’opportunità per esaltare la diversificazione, posto che la confidenza con mezzi comunicativi differenti costituisce sempre una chiave di volta per approcciarsi più consapevolmente ai più disparati campi artistici.
Qui: la struttura dell’Esserci
Inauguro la nuova rubrica con un argomento che mi sta molto a cuore, dato che per la seconda volta torno a parlare di Qui, la grandissima opera di Richard McGuire che sul finire degli anni ’80 ha cambiato per sempre il modo di concepire il fumetto ed i suoi presunti limiti strutturali, e che ancora oggi, con un rinverdito e non inutile ritorno, continua ad affascinare autori e lettori, nonché il sottoscritto.
Nella sua opera, di cui potete leggere qui una mia esaustiva analisi, McGuire compie delle precise scelte per mostrare la sua idea di tempo e imbastire una sorta di teatro dell’umanità, ma anche dell’intero universo, visto dalla piccola e atomistica prospettiva dell’angolo di salotto in cui l’autore è cresciuto con la sua famiglia.
L’intuizione è stata quella di organizzare le tavole in doppie splash page con sfondo fisso focalizzato sull’angolo del soggiorno in cui, dall’interno di alcuni riquadri, finestre su svariate epoche passate, presenti e future, vediamo svolgersi un continuum temporale che coinvolge dinosauri, pellerossa, uomini di ogni epoca, catastrofi nucleari, alluvioni, incendi, momenti intimi familiari ecc…
l’idea è fondamentalmente accostabile a due grandi cifre stilistiche del fumetto, che possiamo ricondurre a Gianni De Luca e alla ligne claire di Hergé.
De Luca nella sua trilogia shakespeariana tentò una trasposizione a fumetti di opere teatrali che fosse quanto più fedele possibile: ecco allora che le pagine sono strutturate in doppie splash a fondo fisso, come delle quinte teatrali, in cui i personaggi vengono letteralmente riprodotti “in serie” nei vari movimenti e nello svolgimento delle scene, a sottolineare la staticità e immutabilità del fondale rispetto al movimento degli attori su carta.

Raw #2 – 1983, cover di Joost Swarte
La ligne claire di Hergé era invece basata su un disegno pulitissimo, privo di ombre, e soprattutto sull’eliminazione del concetto di piani focali: Nelle Avventure di Tintin non esistono primo e secondo piano, ma un’unica continuità di spazio.
Questa idea è stata ripresa da molti autori, in particolare da Joost Swarte per comunicare un’idea di azione simultanea e di spazio-ambiente nella vignetta; proprio in quegli anni Swarte lavorava su Raw, la stessa rivista su cui fu pubblicato Qui per la prima volta.
Dall’unione di queste due anime, cioè un unico spazio-mondo in cui vari attori ed eventi si avvicendano senza soluzione di continuità in un verso privo di direzione, nasce concettualmente l’idea di Qui.
Slaughterhouse-Five: uno, nessuno e centomila viaggi
Mattatoio n. 5 o La crociata dei bambini viene pubblicato nel 1969, ed è il romanzo in cui Kurt Vonnegut riversa la sua intera esistenza. Dopo esordi nella fantascienza più pura, Vonnegut si avvicina a quella fantascienza che nasconde critica e allarme sociale che è tipica di opere fondamentali di grandi autori come Shelley, Wells, Dick, Ballard ecc…
L’autore fu prigioniero in Germania durante la seconda guerra mondiale, ed assistette in prima persona al bombardamento di Dresda, uno degli eventi più catastrofici della guerra, in cui morirono più di 135.000 persone e l’intera città, una delle più belle d’Europa, fu completamente rasa al suolo.
Mattatoio n.5 è un’opera pacifista, in cui si mette in risalto l’inconcepibilità di conflitti in cui vecchi stanchi mandano giovani uomini, veri e propri bambini, al macello al loro posto.
Vonnegut presenta la sua storia con un’ironia accorata e disarmante, proverbiali sono divenuti i suoi “così va la vita”, che si susseguono a centinaia fra le pagine del libro, dopo gli accadimenti più terribili.
Eppure, dietro questa amara resa di fronte alla natura effimera dell’esistenza, Vonnegut sembra aver in mente un responsabile. È raro che “la vita vada così” per mezzo di vere casualità e non di esseri fatti di carne ed ossa, seppur questi episodi vengano integrati alla perfezione nell’enorme mosaico di insensatezza in cui in continuazione esseri viventi muoiono per cause naturali.

La foto di Richard Peter divenuta simbolo del bombardamento di Dresda nel ’45. Una veduta dalla torre del municipio
Ma Mattatoio n. 5 è soprattutto un viaggio, o tanti viaggi, quelli del protagonista, Billy Pilgrim, un pellegrino appunto, che viene sballottato in continuazione fra salti temporali dal passato in Germania, al presente, fino anche ad un mondo lontanissimo: Tralfamadore.
È proprio in questi viaggi che Billy incontra i Tralfamadoriani, creature aliene che spiegano al personaggio la loro concezione del tempo: un tempo circolare, in cui tutto, dal passato, al presente, al futuro, esiste contemporaneamente.
La stessa idea di tempo che Richard McGuire presenta nel suo Qui, uno svolgimento che non ha direzione, ma che è tutto allo stesso tempo, e sempre sarà.
Lascio alle parole di Billy, di certo più preparati di me, la spiegazione della percezione del tempo narrata dai Tralfamadoriani:
La cosa più importante che ho imparato a Tralfamadore è che quando una persona muore, muore solo in apparenza. Nel passato essa è ancora viva, per cui è molto sciocco che la gente pianga ai suoi funerali. Passato, presente e futuro sono sempre esistiti e sempre esisteranno. I tralfamadoriani possono guardare ai diversi momenti come noi guardiamo un tratto delle Montagne Rocciose. Possono vedere come siano permanenti i vari momenti, e guardare ogni momento che loro interessi. È solo una nostra illusione di terrestri quella di credere che a un momento ne segue un altro, come nodi su una corda, e che una volta che un istante è trascorso è trascorso per sempre.
Quando un tralfamadoriano vede un cadavere, tutto quel che pensa è che il morto è, in quel particolare momento, in cattive condizioni, ma che la stessa persona sta benissimo in una quantità di altri momenti. Ora, quando io sento che qualcuno è morto, alzo le spalle e dico quel che dicono i tralfamadoriani dei morti, e cioè “Così va la vita.”
[…] I tralfamadoriani non vedono gli esseri umani come creature a due gambe. Li vedono come grandi millepiedi – “con delle gambette da bambini a un capo e delle gambe da vecchi all’altro.”
Un viaggio personale
Quando lessi Qui per la prima volta, però, non potei che pensare in particolare al brano che sto per riportarvi, che mi spinse in tutta fretta ad accostare mentalmente i due volumi e ricercare febbrilmente quello specifico passaggio dalle pagine di Mattat0io:
Chiese se c’era altra roba da leggere.
«Solo romanzi tralfamadoriani, e temo che non potrebbe capirli» disse l’altoparlante alla parete.
«Lasci che ne legga uno, comunque.»
Così gliene misero davanti parecchi.
[…] Billy non era capace di leggere in tralfamadoriano, naturalmente, ma poteva almeno vedere in che caratteri erano scritti i libri: erano dei blocchetti di simboli separati da stelle. Billy osservò che i blocchetti potevano essere telegrammi.
«Esatto» disse la voce.
«Sono telegrammi?»
«Non ci sono telegrammi su Tralfamadore. Ma lei ha ragione: ogni blocchetto di simboli è un breve messaggio urgente, che descrive una situazione, una scena. Noi tralfamadoriani li leggiamo tutti in una volta, non uno dopo l’altro. Non c’è alcun rapporto particolare tra i messaggi, salvo che l’autore li ha scelti con cura in modo che, visti tutti insieme, producano un’immagine di vita bella, sorprendente e profonda. Non c’è principio, mezzo o fine, non c’è suspense, non ci sono morale, cause o effetti. Quel che ci piace nei nostri libri è la profondità di molti momenti meravigliosi visti tutti in una volta.

La versione a colori di Qui apparsa nel 2000 sulla rivista Strapazin
Nessuno avrebbe potuto dirlo meglio. In quelle poche righe erano spiegate le sensazioni, le fascinazioni e le idee che l’opera di McGuire mi aveva suscitato alla lettura, spalancandomi un intero mondo, e mostrandomi pragmaticamente ciò che fino a quel momento avevo solo saputo immaginare maldestramente, senza mai avere davanti a me un’immagine chiara. McGuire, con la sua opera, mi aveva fatto vivere il tempo in maniera totalmente nuova e impersonale, in una prospettiva sovraindividuale e universale che mi mostrava finalmente come doveva apparire lo scorrere, o meglio il restare, del tempo, dal punto di vista dell’eternità, di una sorta di intelligenza panteistica, o del demiurgo platonico.
Con quella lettura ho vissuto un’esperienza paranormale che va oltre la percezione umana, molto simile a quella che Billy Pilgrim aveva dovuto provare durante i suoi incontri e viaggi nel tempo con i Tralfamadori: con Qui avevo letto, insomma, un romanzo del pianeta Tralfamadore.
Folgorato da questa intuizione, fui però colto dal disincanto tipico di chi pensa di aver corso troppo, come quando si esagera col credere che alcune opere siano state ispirate da altre, troppo lontane e differenti.
Quando incontrai l’autore a Napoli Comicon 2016, ed ebbi l’onore di moderare una sua conferenza, con molta timidezza, e con la consapevolezza di ricevere di contro una sonora risata, dissi a McGuire che la più bella recensione del suo fumetto la aveva scritta Kurt Vonnegut in Mattatoio n.5, e che certamente sarebbe stato molto in accordo con l’autore, per via delle loro affini concezioni del tempo.
Al posto di una risata, e con mio stupore, McGuire non si scompose, e capì al volo cosa intendessi, dicendosi sorpreso che qualcuno gli avesse fatto notare per la prima volta questo rimando.
Mi spiegò che Vonnegut fu una grande fonte di ispirazione per lui, e non a caso uno dei personaggi della prima versione di Qui comparsa su Raw nel 1989 si chiama Billy, come suo fratello, e come anche il protagonista di Mattatoio n.5 (cosa che credo nessuno avesse notato, nemmeno io); azzardare collegamenti, insomma, non è mai un errore, poiché spesso ci nutriamo inconsapevolmente da un patrimonio culturale che è comune anche a molti autori, e comunque, alla peggio, il rischio è solo quello di arricchire l’opera di nuove vedute.

Dettaglio di un originale di Qui in cui viene citato il personaggio di nome Billy
È stato sorprendente quindi vedere come due creazioni così distanti fossero in realtà così vicine.
Da un lato Qui, che è riuscita ad innovare totalmente l’idea di gestione del tempo all’interno di un fumetto, e ha saputo ribaltarla – da gabbia in cui si soffre di costrizione a strumento sovversivo con cui spiegare l’essenza del tempo – in una maniera efficacissima e con una perfezione che solo ed esclusivamente ad un fumetto sarebbe stata possibile.
Dall’altro lato Mattatoio n.5, con una narrazione anch’essa priva di direzione, che salta incessamente da un luogo all’altro dell’universo e del tempo. Vonnegut architetta una struttura narrativa triturata, un gorgo in cui il lettore perde totalmente le coordinate delle vicende raccontate e non può far altro che affidarsi all’autore. Una realtà narrativa, insomma, in cui non esiste più il “quando”, e non resta nient’altro che il Qui.

Una foto della conferenza che ho moderato a Napoli Comicon 2016. Da destra: Richard McGuire, la sua traduttrice, Francesca Riccioni (autrice) e il sottoscritto