I 10 migliori fumetti del 2018

I 10 migliori fumetti del 2018

Non ho mai amato le classifiche e i voti in relazione al fumetto e all’arte in generale, e alcuni ritengono persino dannose le liste di questo tipo.
Dal mio canto però, se prese e redatte col giusto spirito, ho sempre apprezzato questo tipo di “classifiche” e le ho sempre consultate con divertimento: è un modo come un altro, pratico e immediato, di confrontarsi con altri lettori, di scoprire o riscoprire qualcosa che si è perso strada facendo, ma soprattutto è un’istantanea, certamente non esaustiva, ma nemmeno inutile, sull’andamento delle pubblicazioni durante l’intero arco dell’anno.

Intonarumori di Andrea De Franco (De Press)

Se c’è qualcuno che merita di stare in cima a questa classifica, quel qualcuno è proprio Andrea De Franco: autore eclettico che con De Press ha saputo esprimere, tramite ogni suo esperimento narrativo e spingendosi sempre oltre nella ricerca, passo dopo passo, un fumetto totalmente innovativo e peculiare.
Intonarumori è un progetto ispirato dal complesso di strumenti creato dal futurista Luigi Russolo, che intendeva dar voce nel piano musicale alla complessità e alle infinite possibilità delle nuove sonorità che il moderno, coi suoi sintetici ecosistemi urbani e industriali, stava imponendo nella quotidianità dell’epoca.
L’opera di De Franco è da sempre permeata dall’evoluzione materica dei suoi personaggi, vere e proprie entità multiformi e carnali, dall’essenza fisica evanescente e mutevole. Il viaggio interiore, la mutazione, gli ambienti caotici, il senso di inadeguatezza e la ricerca spasmodica della propria genuina dimensione personale, sono il fulcro di questo viaggio grafico, narrativo, sonoro e sensoriale che è Intonarumori: una macchina schiacciasassi che decompone il lettore stesso, ne rende liquide le forme dell’autodeterminazione e lo accompagna verso nuovi piani di consapevolezza e coesistenza positiva con la propria realtà effimera e mai cristallizzata.
Il fumetto che De Franco sta portando avanti è pionieristico nella ricerca di un’empatia attualissima e commovente. Una ventata d’aria fresca costituita da un raccontare già sapiente e maturo.

Pompei di Frank Santoro (001 Edizioni)

Ennesima piacevole sorpresa del ricco catalogo 001 Edizioni, Pompei è una perla grezza, fumetto allo stato puro.
Il racconto di Frank Santoro è basato su una storia d’amore sullo sfondo dell’eruzione del Vesuvio che distrusse la città di Pompei (e non solo). Oltre ad una rappresentazione non banale della vicenda e dei rapporti umani, Santoro convoglia in questo fumetto i risultati di una ricerca formale che porta avanti dall’inizio della sua carriera. La narrazione, asciutta ed essenziale, è focalizzata su una elaborazione e costruzione meticolosa della tavola tutta volta all’esaltazione dell’elemento narrato. In quest’ottica le forme restano abbozzate, primitive, passano in secondo piano e si sprigionano attraverso la semplicità di pochi segni, dalla forza evocativa primordiale. Ciò che preme è l’urgenza narrativa, lo sfruttare al massimo le potenzialità compositive della tavola a fumetti e della sequenza narrativa, con un’organizzazione della tavola basata su un’armonia euclidea che ha del magico: Santoro ha fatto di questa ricerca e riflessione quasi una religione pitagorica.
È sbalorditivo assistere a tutto questo, e all’ossimoro della complessità preparatoria di un racconto che, poi, nell’atto si scarnifica e mostra scoperta la sua essenza.
Per saperne di più sulle idee di Frank Santoro sulla narrazione a fumetti potete consultare questo lungo ciclo di Layout workbook dell’autore.

Slasher di Charles Forsman (001 Edizioni)

Charles Forsman ci aveva già lasciati stupiti con il suo breve e folgorante The end of the fucking world, e stavolta si è spinto ancora oltre, decidendo di giocare con la coscienza stessa del lettore.
A partire dalla scelta del segno, in questo caso più realistico e simile a un filone grafico a capo del quale potremmo porre Daniel Clowes, Forsman adotta un approccio senza filtri per la rappresentazione di una attuale “disavventura” umana. Il paragone dell’essere umano con la carne da macello è in effetti chiaramente evidente fin dalle primissime pagine, in cui le inquadrature indugiano sulle striature e i solchi di alcuni tagli di carne confezionati in un supermercato nel quale la protagonista lavora, come vittima alienata di una routine asfissiante e di un datore di lavoro che la molesta apertamente.
Da qui ha inizio un viaggio in un buco nero senza speranza di ritorno, che attraverso situazioni legate all’alienazione moderna, al peso che la morale religiosa ha ancora nella società occidentale e relazioni virtuali sempre più schizofreniche, conduce il lettore in un inevitabile vortice tritacarne e lo costringe a sporcarsi le mani nel sangue, negli arti mozzati e nella miseria dei tentativi di mantenere rapporti familiari profondamente malati, ma pur basati su elementi di estrema tenerezza, complicata da una totale incomprensibilità e incomunicabilità.
Se il nichilismo avesse un volto, se la voragine febbrile del vuoto della società moderna avesse un nome, questo sarebbe Charles Forsman.

Mister Miracle di Tom King e Mitch Gerads (RW Lion)

Tom King, dopo Visione, prosegue il suo percorso fra i meandri interiori dei suoi supereroi. L’approccio è psicanalitico, a tratti filosofico, e porta agli estremi limiti l’idea – ancora vincente – di Lee e Kirby di super eroi con super problemi.
Ne deriva un’opera dal gusto raffinato, che prosegue un discorso in cui la componente supereroistica resta molto marginale.
King riflette sugli elementi familiari, e se vogliamo anche lavorativi, di una più o meno normale famiglia americana, con “ordinari” problemi a latere, quali la schizofrenia e le tendenze suicide del protagonista.

Su tutti, ciò che colpisce però è il tema della Fuga, indissolubilmente legato alla realtà del Labirinto che è ormai divenuta la vita contemporanea, un misterioso poliedro pieno di bivi insidiosi, di strade senza uscita e di risoluzioni inerpicate.
Mister Miracle è l’uomo della fuga, il miglior escapista che il mondo abbia mai visto.
Mister Miracle PUÒ sempre fuggire, ma non è detto che egli DEBBA sempre farlo. È su questa dicotomia che King intesse la trama del racconto: eventi su più piani narrativi, in cui non è facile ristabilire una precisa linea temporale ed è quasi impossibile discernere il reale dalle allucinazioni del protagonista.
Per un supereroe la cui peculiarità è la fuga perfetta, la scelta risolutiva della sua più importante e difficile impresa è quella di rimanere volutamente in trappola, nonostante i dubbi, nonostante il dolore, nonostante i fantasmi del passato, nonostante tutto.
Quello di Mister Miracle è un atto di fede, un’immobilità religiosa, in virtù di un attaccamento a un’esistenza che, seppur mendace, lo realizza al di là delle sue responsabilità e forse anche al di là della sua morte stessa.
A coronare il tutto la meravigliosa gabbia fissa a nove vignette di Mitch Gerads, con uno storytelling a orologeria e una disciplina siberiana nel gestire perfettamente il ritmo delle tavole, intensificando la preparazione di quella che è la trappola più complessa e letale che il nostro super eroe debba affrontare: l’esistenza e la sua negazione.

4 Vecchi di Merda di Marco Taddei e Simone Angelini (Coconino Press)

La coppia Taddei e Angelini torna ad affondare le mani nella materia melmosa della quotidianità e dei reietti della società.
Il racconto è un continuo scambio generazionale allo specchio fra vecchie generazioni che invecchiano e ricercano la giovinezza e giovani generazioni annichilite e putrescenti, in un persistente gioco ironico di critica e amara autocoscienza.
L’elemento ieratico, il punto di rottura, la corsa forsennata verso una congiunzione che pare inevitabile, è di nuovo fulcro del racconto – come lo era già stato in Anubi –, attraverso il collegamento con oscuri mondi inferi.
4 Vecchi di Merda ha la potenza dirompente di un racconto fulminante e senza requie, una galoppata forsennata fino al finale, che ricorda – per l’impressionante ritmo a perdifiato – Trama di Ratigher.
Segnalo infine l’enorme coraggio degli autori nel proporre un’opera totalmente priva di filtri e indulgenze, che letteralmente tira la merda addosso ai suoi lettori, e si compiace, anche sghignazzando, nel farlo; degna di nota è anche la sequenza d’apertura, probabilmente l’avvio più fulminante, divertente e geniale che abbia mai letto in una storia a fumetti.

Il giovane Yoshio Di Tsuge Yoshiharu (Canicola)

Una selezione di racconti brevi del maestro Yoshiharu Tsuge, che risulta nella sua essenzialità addirittura più consistente del seminale Uomo senza talento.
In questa serie di racconti Tsuge abbandona ogni codificazione simbolica, come avveniva invece nella complessa e raffinata storia Nejishiki. Il suo piglio verista, da romanzo sperimentale incentrato sui ceti più bassi della società giapponese postbellica, si esprime in maniera efficace in questi brevi spaccati di vita.
L’occhio di Tsuge è un testimone diretto, privo di filtri e riflessioni morali o giudizi etici.
Nei racconti non c’è spazio per l’induzione di sentimenti o richieste di empatia al lettore: Tsuge si limita a constatare la realtà in maniera asettica. la sua narrazione, proprio in quanto non ricerca alcuna partecipazione morale, riesce a giungere all’anima in maniera ancor più affilata.
Fra gli aspetti più spaventosi della depressione (di cui l’autore è chiaramente stato vittima, a più riprese), non vi sono certo l’umiliazione, né l’impulso suicida, né il dolore dell’isolamento e dell’alienazione, quanto piuttosto l’apatia.
La totale apatia per qualsiasi traccia di sentimento, che porta a reagire passivamente ad ogni tipo di accadimento, appiattendo e percependo allo stesso modo quanto di “negativo” ma anche “positivo” la vita pone di fronte; la scomparsa di ogni stimolo verso le proprie passioni; la spinta nichilista di fronte alla banalità e insensatezza del quotidiano, sono tutte componenti che conducono l’individuo a un unico risultato: la completa spersonalizzazione di fronte all’esistenza, come se la si stesse vivendo dal di fuori e senza potere d’intervento.
È questo il “dolce” sentimento di indolenza, così terribilmente attuale, così umano, troppo umano, che serpeggia fra le pagine dei racconti di Tsuge. Un sentimento che si insidia fra storie in apparenza così spoglie e dirette, ma che al contrario comunicano – con la semplicità di un oggetto puro e rudimentale quale potrebbe essere un sasso –, gli stati interiori che un uomo può giungere a (non) sperimentare di fronte a situazioni totalmente disumanizzanti, in cui la grazia è rimpiazzata da una nera e ferrosa fuliggine industriale, impossibile da mondare.

Storia della Santa Russia di Gustave Doré (Eris Edizioni)

Finalmente viene riproposta in una meravigliosa edizione quest’opera quasi perduta di Gustave Doré.
Sin dalle prime pagine colpiscono la raffinatezza e la brillantezza con cui Doré affronta l’argomento. Con estrema arguzia si parla delle origini della Russia, sin da tempi remoti, in un equilibrio perfetto tra serio e faceto: un vero e proprio antenato del mockumentary dai toni sagaci, senza mancare di una certa irriverenza avverso la storiografia più accademica (ad esempio tramite l’utilizzo di finti riferimenti bibliografici ed un’accozzaglia di abbreviazioni di latinismi inseriti in nota).
Doré imbastisce uno spettacolo satirico di storia, usi e costumi, fra sperticate trovate grafiche – che mostrano una consapevolezza inaudita del mezzo fumetto per l’epoca, che definirei quasi oracolare – e comiche soluzioni narrative, in un costante e vivo dialogo col lettore, attraverso provocazioni, ammiccamenti e un coinvolgimento diretto (come l’invito a riempire egli stesso alcune pagine lasciate vuote per noia).
Certamente l’operazione filologica di restauro (per recupero delle bicromie e tavole inedite) più felice dell’anno.

Super Relax di Dr. Pira (Coconino Press)

Non mi dilungherò su questo titolo del Dr. Pira, che a mio avviso funziona sotto ogni punto di vista: a partire dalla sfavillante veste editoriale, dalla grafica vaporwave e i dettagli specchiati color argento.
Super Relax è una riflessione per nulla banale sul raggiungimento del Relax, attraverso vari gradini di profondità, fino ad arrivare alla trascendenza.
Tempi comici perfetti, una coniugazione mistica e coerente fra ascetismo zen e bisbocce da bar e bordo piscina, tenute assieme in un oggetto libro davvero prezioso.

Atto di Dio di Giacomo Nanni (Rizzoli Lizard)

Giacomo Nanni è un autore che seguo con interesse da molti anni. Finora le principali opere pubblicate in Italia (escludendo La vera storia di Lara Canepa e Cronachette) erano dei riusciti adattamenti – molto liberi e mai sterili – di alcuni celebri racconti (l’uno dei fratelli Grimm, Storia di uno che se ne andò in cerca della paura, e l’altro di Jack London, Prima di Adamo).
Questa è dunque stata la “prima” fra le opere più importanti in cui l’autore ha agito con maggiore autonomia, e il risultato non è scevro di imperfezioni.
Nanni adotta per larga parte una narrazione di impostazione tecnico-scientifica, come del resto era stato in parte con Prima di Adamo; sebbene da un lato la scelta risulti perfettamente coerente con il distacco e l’annullamento che l’autore vuole operare su se stesso, regalandoci un racconto direttissimo e puro, narrato in una progressione sempre più impersonale da un animale, un oggetto (fucile), e un evento (terremoto) – per poi sorprendere con un narratore d’eccezione –, il tono è fin troppo freddo ed asettico, e in alcuni momenti non si distacca dal pedissequo nozionismo e dall’eziologia naturalistica.
Atto di Dio è però, senza alcuna ombra di dubbio, uno dei fumetti italiani più interessanti pubblicati nell’anno precedente, caratterizzato da uno sperimentalismo grafico virtuoso e ben equilibrato, attraverso l’utilizzo inusuale di retini sovrapposti e texture, oltre che a delle palette cromatiche sensazionali che ben rispecchiano i toni dei vari passaggi del racconto, denotando un attento studio del colore.
La narrazione procede meticolosa e misurata, priva di sbavature, incedente nel mostrare la totale indifferenza del rapporto uomo-natura, ma anche la dimensione magica e l’elemento inaspettato di questo ancestrale connubio. Resta peculiare, inoltre, l’uso di registri narrativi provenienti dal fumetto, ma anche dal libro illustrato, mettendo chiaramente in luce le cesure e le differenti possibilità narrative di entrambi i mezzi.

La Galaverna di Marco Corona (001 Edizioni)

Marco Corona sembra aver realizzato questo fumetto in una sorta di stato di trance: le sue parole, mediate nel tramite dei personaggi, i suoi disegni, gli stessi gesti e movimenti che hanno condotto a liberare le linee sul foglio, provengono da un universo sommerso ed arcaico, profondamente esoterico.
La Galaverna è un’opera impregnata di folklore e leggende popolari, favola nera e sentimenti dolci e umani, ed è palpabile, quasi terrificante, la paura trasmessa dalle sue pagine, e soprattutto lo scorrere incessante del tempo. Uno svolgimento martellante in cui i personaggi e le pagine si disfanno sotto gli occhi del lettore, una sfida esistenziale che si realizza attraverso le tribolazioni di una madre per la sua prole.
La Galaverna racconta una storia e nel tempo stesso mille storie; la sua evoluzione avviene in maniera rizomatica, in una dimensione inedita per un racconto a fumetti: non esiste un’unica linea narrativa, ma una miriade di dedali che si sviluppano, mostrando potenziali racconti che nascono e muoiono, sensazioni, paure, in un continuo flusso di coscienza che infine si ricollega alla storia di base che è paradigma universale e metafora, e in cui la donna ha il ruolo unico di attrice protagonista.


Come al solito, sarebbe stimolante il confronto, nei commenti, con i titoli del 2018 che voi avete preferito. 
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La selezione (riporto solo alcuni titoli, anche quelli che ho meno apprezzato):

– Tex Situazionista (AFA Autoproduzioni)
– Teratoid Heights (Hollow Press)
– Kin-der-Kids (Oblomov Edizioni)
– Fiori rossi (Oblomov Edizioni)
– Barbara (J-Pop)
– Il mondo degli insetti (Coconino Press)
– Ragazze cattive (Canicola)
– L’incanto del parcheggio multipiano (Oblomov Edizioni)
– Aquatlantic (Oblomov Edizioni)
– Il futuro è un morbo oscuro Dr. Zurich (Becco Giallo)
– Sabrina (Coconino Press)
– Una sorella (Bao Publishing)
– La mia cosa preferita sono i mostri (Bao Publishing)
– Crawl Space (Eris Edizioni)
– I flinstones (Rw Lion)
– Klaus (Oblomov Edizioni)
– La lingua del diavolo (Oblomov Edizioni)
– L’attrazione (Coconino Press)
– La fidanzata di Minami (Coconino Press)
– Sofia dell’oceano (Tunuè)
– Tokyo Zombie (Coconino Press)
– Tramezzino (Canicola)
– Fumettibrutti (Feltrinelli Comics

I 10 migliori fumetti del 2017 (per un confronto):

– Paesaggio dopo la battaglia (Coconino Press)
– Stupor mundi (Coconino Press)
– Il cacciatore Gracco (Coconino Press)
– The end of the fucking world (001 Edizioni)
– Luna del mattino (Coconino Press)
– Quimby Mouse (Oblomov Edizioni)
– Colville (Coconino Press)
– La trilogia (Coconino Press)
– 676 Apparizioni (Coconino Press)
– Infetto (Hollow Press)