“Reparto Macelleria” e il passato che non passa.
“Reparto Macelleria” di Monica Fabbri – in arte Signora B – come autrice completa è un interessante adattamento da un racconto di Marco Vichi, edito da Guanda Editore nella sua nuova collana Guanda Graphic con cui, come ormai pressoché tutti gli editori italiani di varia, si è dotato di una sua collana di fumetto.
Marco Vichi (Firenze, 1957), l’autore del racconto originale, è autore oltre al resto della serie del Commissario Bordelli, pubblicata sempre per Guanda, e di molte altre opere. Qui presenta una storia di resistenza cupa, dura, che l’autrice affronta con equilibrio.
I rischi contrapposti sarebbero quelli di edulcorare la violenza della storia, che rimane invece evidente, oppure accentuarla in modo eccessivo tramite il potere dell’immagine, che mostra ciò che la parola può limitarsi a far capire in modo più astratto.
Già la bella copertina, color rosso sangue, ci mostra il protagonista della storia di primo livello davanti al “Reparto Macelleria” di cui parla la storia (in quarta di copertina lo troveremo invece con gli altri due amici, Camillo e Bepi).
La storia inizia in medias res, anzi, alla sua conclusione. Il protagonista e voce narrante della storia del primo livello ricostruisce il suo incontro con Camillo, il protagonista della storia di secondo livello, che ci riporterà agli anni più cupi della dominazione nazifascista sul Nord Italia e della guerra partigiana.
Anche senza l’indizio fornito dal titolo, intuiamo che l’incontro tra il giovane scrittore anonimo e il libraio antiquario Camillo, accomunati dall’amore per la letteratura, ci porterà a indagare su qualche remoto segreto dal passato, per la sottile tensione narrativa che percorre la storia dell’incontro.
Visivamente, la storia procede con tavole montate secondo una griglia italiana su tre o quattro strisce, interpretata liberamente, con variazioni frequenti e qualche splash page ben calibrata. Il segno è essenziale ma efficace, in mezzatinta acquerellata.
Quando si passa agli anni della guerra partigiana invece si passa a un bianco e nero a contrasto netto, dove alle sfumature delle tavole del presente si sostituisce un fitto reticolo di righe diagonali a suggerire i toni di grigio. La sequenza del passato porta il protagonista di questa parte del racconto, Camillo, nelle mani del famigerato Reparto Macelleria del titolo, dove vengono rappresentati gli orrori delle torture nazifasciste.
In questo viene utile l’essenzialità del segno, di cui abbiamo detto: in tal modo infatti la rappresentazione piena della violenza squadrista viene mostrata senza compiacimento, in una essenzialità grafica che fa capire tutto senza soffermarsi inutilmente su aspetti “splatter”.
Più che l’orrore della violenza fascista in sé, il focus è sulla sua impunità, quando la ricostruzione nazionale spinse a un colpo di spugna su quel passato imbarazzante con l’amnistia di Togliatti e la totale dimenticanza legale dei colpevoli degli orrori compiuti.
Pensiamo a Junio Valerio Borghese, impunito leader della Decima Mas, responsabile di innumerevoli eccidi, stragi e torture, che divenne presidente del neonato Movimento Sociale Italiano e, nel 1970, autore di un famigerato nuovo golpe fascista (nel fumetto, ne fa una caricatura impietosa Magnus in Unknow, “Largo delle Tre Api”, inquietante ma riuscita storia sul terrorismo nero italiano)
Il romanzo a fumetti pare parlare di torturatori di questa risma; ma si possono ricordare anche figure come Gaetano Azzariti, giurista che fu l’entusiasta e zelante artefice delle leggi razziali; non solo impunito, ma anche promosso a Presidente della Corte Costituzionale della neonata repubblica italiana.
Se vogliamo, la parte più disturbante del volume è l’impossibilità delle vittime di ribellarsi ai propri aguzzini, la condanna all’inazione che blocca anche Camillo (viene da pensare al tema ricorrente in Giorgio Bassani, coi suoi personaggi bloccati di fronte ai propri nemici, e all’analoga impunità di “Sciagura”, leader del nazifascismo ferrarese: figura romanzesca ma proiezione di altre ben reali).
Marco Vichi e Monica Fabbri sono, in questo, abili nel lasciare il dilemma al lettore, così come Camillo, che poco dopo il ritrovamento del suo torturatore e la mancata vendetta si ammala e muore, affida al protagonista il compito di “completare le sue navi di fiammiferi”, che indirettamente appare un mandato a fare quel che lui non è riuscito a compiere. Anche il narratore, infatti, non riesce a compiere la vendetta e ritorce ancora una volta la violenza su di sé.
Una narrazione quindi potente, disturbante, che interroga il lettore e che pare adatta per introdurre questi temi nella scuola superiore di secondo grado (mentre nella scuola media certi passaggi possono essere forse troppo duri, sebbene, come detto, mai descritti in modo morboso, ma con asciuttezza).