Dal fumetto popolare al fumetto popstar.
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Dal fumetto popolare al fumetto popstar.

Di recente, ho avuto modo di leggere una interessante disamina sul fumetto popolare ad opera di Michele Ginevra, uscita su “Quasi” (qui la prima parte, con i link ai due sequel). Una corposa analisi in tre parti, che parte da uno spunto di Alessio Bilotta e lo sviluppa in una ricognizione a tutto campo su uno dei grandi temi del fumetto: il fumetto popolare.

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Il concetto stesso di “popolare” è ovviamente complesso e meriterebbe uno studio per una accurata definizione. Una base può essere la voce Treccani sul concetto di popolare, che ne evidenzia la duplice natura: arte prodotta “dal” popolo, specie in una fase più arcaica, e arte prodotta “per il” popolo, ma da un sistema industriale (e in questo casi altri hanno proposto il concetto di letteratura di consumo).

Il pezzo di Ginevra è un’indagine accurata del “rise and fall” del fumetto popolare, dall’esplosione nel secondo dopoguerra con il western (da cui emersero poi come prodotti durevoli Tex e Zagor) fino alle ultime, consistenti fiammate con Dylan Dog negli anni ’80 e ’90 (al proposito, mi pare di ricordare che l’ultima testata bonelliana nettamente sopra le centomila copie, agli esordi, fu Nathan Never, nei primissimi ’90). E ovviamente gli altri fenomeni che attraversarono questa stagione, dal fumetto comico e umoristico nelle sue molteplici declinazioni, al fumetto nero (sopra, la bella immagine usata da Bilotta per il suo “processo al popolare” su FB). In seguito, il fumetto seriale da edicola, pur spesso con puntate qualitativamente alte, andò incontro a una trasformazione per cui, ad oggi, non esistono più quelle vette assolute. Per cui, forse, più che di “popolare”, è giusto trattare di “seriale” puro e semplice.

Non ho molto da aggiungere alla “trilogia” di Ginevra, ben condotta e che sintetizza, comunque, considerazioni diffuse nel mondo del fumetto. In qualche modo, una mia analisi sul fumetto popolare e sulla sua ricezione nei tempi del suo splendore l’avevo condotta qui, con riferimento al fumetto Bonelli, che è il mio principale campo di indagine nel popolare (al fondo dell’articolo i link a tutte le puntate precedenti), e qui, dal punto di vista particolare dei suoi critici, o almeno di uno dei suoi massimi critici in Italia: la galassia stampa cattolica (anche qui, in fondo si trovano i link alle puntate delle altre decadi).

Nel dibattito, ho trovato interessante la posizione di Giorgio Trinchero (di cui, come fumettista, ho scritto qui) che evidenzia come ormai il vero “nuovo fumetto popolare” sia la memetica più i webcomics, in un continuum in fondo privo di una soluzione nettissima dal punto di vista dei fruitori (su meme e webcomics avevo condotto qui un dibattito che mi è parso interessante), e con una vasta offerta di materiale gratuito. Questo come “concorrente interno” al medium; in generale, anche altri nel dibattito hanno segnalato le solite cause della disaffezione verso i comics, “concorrenti esterni” afferenti a ogni tipo di intrattenimento che si sono sempre più moltiplicati, anche in offerta gratuita su internet o a costi bassissimi, da Netflix in giù.

Il fumetto popstar

Al di là di segnalare un articolo notevole (e di rispondere a Bilotta, che gentilmente mi suggeriva di articolare un mio parere), la questione che trovo più interessante – già in parte evidenziata da Ginevra – è quella che mi pare l’altra principale evoluzione di un “nuovo fumetto popolare” assieme al webcomic: ovvero quello che potremmo definire il “fumetto popstar”, intrecciato ma non totalmente sovrapposto al webcomic stesso.

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Negli ultimi giorni, si è molto parlato di tale tema in riferimento alla recente conquista, da parte di Fumettibrutti, della copertina di 7, il magazine culturale del “Corriere della Sera” (la principale testata italiana) su cui è presente una sua intervista. Si tratta probabilmente della prima copertina di una rivista in edicola dedicata a una fumettista, e anche in precedenza mi pare rari siano stati i casi del genere.

 

Probabilmente, a livello mondiale, il primo cartoonist-popstar è naturalmente Walt Disney, sulla cover di Time nel 1937 (non a caso, la sua fama offuscò non solo quella di Ub Iwerks, secondo molti vero padre di Topolino, ma anche quella di molti interpreti successivi dei suoi personaggi). Disney torna in cover nel 1954 su Time, apparve anche su Life e penso su molte altre testate, divenendo iconico (si era anche effigiato in cartoons nell’arcinemico di Topolino, Macchia Nera, le rare volte che appare senza cappuccio).

 

Va notato però che Time è attento a mettere al centro “il personaggio”, e dedica delle copertine – con ritratti disegnati, ma secondo l’uso dell’epoca esteso a tutti – anche a figure oggi meno note di cartoonist: H.T.Webster ebbe la cover di Time nel 1945, Al Capp (creatore di Lil’Abner, all’epoca celeberrimo) nel 1950, Bill Mauldin nel 1961. Schulz, invece, nel 1965 ottiene la cover di Time (che avrà anche Doonesbury, più avanti) e Life nel 1967, ma coi suoi fumetti, non come star: l’avrà forse solo nel 2000, su People, in occasione della scomparsa. Jules Feiffer anche avrà una cover, su Civilization, nel 1998.

 

Forse tra i primi italiani c’è Crepax sul Venerdì di Repubblica nel 1992, poi Staino sempre sul Venerdì nel 1994, Andrea Pazienza su Flash Art nel 2010 (che è però un caso diverso per molti motivi: autore storicizzato, rivista di ambito artistico e non nazional-popolare: qui un pezzo dell’epoca, arguto come al solito, di Matteo Stefanelli), online si sono citati Recchioni su XL (in una cover affollata di nuove voci italiane non solo del fumetto), Gipi (sul Mucchio, nel 2010), Gipi e Zero insieme nel 2013 su XL in autoritratto disegnato, il solo Zerocalcare con Michela Murgia su L’Espresso nel 2018. Altan, se non prima, nel 2019, su Robinson di Repubblica, per i 50 anni di carriera. Naturalmente, se conoscete altri casi, segnalatemeli nei commenti e li integrerò con molto interesse: ma appare evidente che con Fumettibrutti (e, in misura minore, con gli altri nomi evidenziati) si vada verso a un nuovo tipo di fumetto pop: il fumetto popstar, connesso inestricabilmente al suo autore, il fumettista popstar.

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Il dibattito online su questo recente evento, nella sfera fumettistica, è stato sterminato (ad esempio vedi qui, su Lo Spazio Bianco Open Space), a dimostrazione dell’interesse e della polarizzazione che l’autrice induce. Naturalmente, si è giustamente sottolineato come l’intervista, con un taglio più sulla biografia che sull’opera in sé, si apra con un’espressione giudicata da alcuni infelice, “Riduttivo definire le sue opere graphic novel” (ma, come osserva qualcuno, non è automaticamente dispregiativo: “Riduttivo definire i libri di Sartre semplici romanzi” non ci suonerebbe come attacco alla letteratura…).

Quel che mi pare interessante è però appunto la svolta (al di là di giudicarla neutra, come la ritengo io, positiva, come fanno molti, o negativa, come sostengono molti altri) che si produce, e che apre a un nuovo tipo di fumetto popolare (profondamente diverso, anzi forse radicalmente opposto a quello tradizionalmente inteso).

Un fumetto più integrato, tra l’altro, con le altre arti pop: Fumettibrutti infatti ha ottenuto questo riconoscimento anche in connessione al suo essere sotto l’ala protettiva di Teresa Ciabatti, scrittrice e firma culturale che la unisce spesso ad altri due nomi da lei valorizzati come lo scrittore Jonathan Bazzi e il cantante trap Achille Lauro (di cui incidentalmente ho scritto qui e qui). Il servizio fotografico, ad opera di Leandro Emede, allievo prediletto di Oliviero Toscani, è con abiti di Gucci (Nick Cerioni), che hanno vestito in passate occasioni anche gli altri due autori. Questo per dire di una strategia d’immagine ben pianificata, non casuale.

L’autore metafumettistico nel canone italiano.

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In questo senso, è interessante notare come questa tendenza segnata oggi dalla Signorelli disegni potenzialmente un canone del fumetto, sotto il profilo comunicativo, che ha delle radici nel fumetto italiano autoriale: quello dell’Autofiction fumettistica, simile a quanto si è affermato in ambito letterario dagli anni ’70 in poi (vedi qui).

Il primo forse a praticare una identificazione tra fumetto e autore, disegnandosi come protagonista delle sue opere sia pure in modo non linearmente biografico, anzi volutamente criptico e labirintico, è Guido Buzzelli, oggi quasi dimenticato ma all’origine del moderno “romanzo a fumetti” con Pratt, nel 1967, con la sua “Rivolta dei racchi” a fianco de “Una ballata del mare salato”. In Buzzelli la cosa ha ancora più valore di ricerca artistica che non venature pop: in seguito, nei ’70 è Bonvi a usare spesso sé stesso come protagonista dei suoi fumetti “non-strip”: gli “Incubi di provincia” e le disavventure spaziali scritte a quattro mani con Guccini. Bonvi fu già più personaggio pubblico di Buzzelli: partecipò, a inizio carriera, a “Come rubammo la bomba atomica” (1967) di Fulci come attore, e nel 1985-87 è consigliere comunale del PCI a Bologna.

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Ma il vero autore seminale di questa fusione autore e fumetto è Andrea Pazienza, “praticamente una rockstar” come dichiarava un affascinato Colasanti (mentre Zanardi, incontrato il suo creatore, lo batte in una rissa per poi allearcisi per sfuggire al mostro di Firenze). Pazienza si mise sistematicamente come personaggio dei suoi fumetti, a fianco di Pertini o degli altri membri dei Cannibali, in strip brevi o ne “La leggenda di Tanino Liberatore”, e pure con molti altri fumettisti tra “Gli uomini illustri che mi hanno conosciuto” (tra cui un pochissimo entusiasta Hugo Pratt, che fu anche omaggiato da Milo Manara nel suo “HP e Giuseppe Bergman”). E, ovviamente, in “Gli ultimi giorni d Pompeo”, drammatico romanzo a fumetti dalla forte carica sperimentale, in cui tratta del suo rapporto con l’eroina (che ne segnò la tragica, precoce scomparsa).

Con un certo tasso di ironia e provocazione, è stato Roberto Recchioni a porsi quale nuova “rockstar del fumetto italiano” negli anni d’oro del suo blog e del suo John Doe (dove lui, Lorenzo Bartoli, Mauro Uzzeo appaiono talvolta meta-fumettisticamente), e nel suo “Asso”, alter ego che si connette al titolo del blog (e che ha persino opere derivate) e che ricorre nei suoi romanzi a fumetti autoriali, anche quando non centrale.

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Nell’ultimo decennio tale strategia si è riscontrata nelle opere di Gipi e Zerocalcare (in modo interessante, Gipi prende le distanze oggi da questo suo ruolo “mediatico”, che ha avuto magari malgré soi: vedi qui), mentre Zerocalcare pare continuare su questa linea (vedi la recente linea di action figure da edicola, di cui ha accennato anche Ginevra). In parte, ma in modo meno enfatizzato, ciò può valere anche per una nuova autrice come Zuzù.

Naturalmente sono casi molto diversi (e, anche qui, mi incuriosirebbero ulteriori segnalazioni) ma oggi paiono indicare una possibile linea di tendenza in un fumetto “pop” in una nuova modalità: non più la centralità di personaggi di fantasia dai nomi allitteranti dietro cui gli autori, “umili artigiani” secondo una retorica d’antan, venivano offuscati (in senso simbolico o anche, nei vecchi Disney, in modo letterale) ma fumettisti popstar che si rispecchiano nel loro alter ego fumettistico, applicando per la prima volta meccanismi in fondo molto diffusi in altre arti (di fatto, perlomeno dalla stagione del decadentismo-simbolismo). Magari, tramite loro e quelli che verranno, il fumetto italiano avrà un futuro dannunziano, volto a fare della propria vita un opera d’arte. Sequenziale.

 

 

 

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