“Kiki” di Battiago-Cardoselli, un postmoderno oscuro
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“Kiki” di Battiago-Cardoselli, un postmoderno oscuro

“Kiki”, sottotitolo “Sonagachi Pulp” (Sonagachi è il distretto a luci rosse di Calcutta, il più vasto dell’Asia) è la nuova graphic novel di Caleb Battiago (doppelganger letterario dello scrittore Alessandro Manzetti) e di Stefano Cardoselli, per Independent Legions, mentre il lettering è di Alessio Stucci. L’opera avvia l’adattamento a fumetti di uno dei personaggi letterari più fortunati di Battiago / Manzetti, appunto Kiki, presentata nel suo universo narrativo in romanzi come “Naraka”, “Kiki The Beginning”,”Shanti”. Una bella recensione di Francesco La Manno sul primo numero di “Molotov”, chiarisce come “Shanti” sia a sua volta una trasposizione distopica della “Justine” di Sade, ma non è certo l’unico rimando presente in quest’opera, che è ricca di citazionismi dal gusto postmoderno. A partire dal nome, che rimanda ovviamente a Kiki, la regina di Montparnasse, la musa degli artisti della Parigi anni ’20, amante di Man Ray e catalizzatrice di quel clima di geniale, vibrante, artistica decadenza.

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Nel fumetto invece siamo nel 2219, cento anni oltre a noi, duecento oltre la Kiki originaria, e la decadenza in cui è immersa Parigi (e il mondo) è molto più brutale ed estrema. Devastata dal meteorite Uxor 77 (il nome rimanda a “moglie”, in latino, e 77 pare quasi evocare il babilonico 777) che ha prodotto un nuovo Umbilicus Mundi, la Terra è in preda alla carestia più nera e il cannibalismo dilaga come nei peggiori incubi della letteratura occidentale, quali ce li ricordava Erich Auerbach in “Mimesis” (sottolineando il carattere non necessariamente “simbolico” della voracità antropofaga dei demoni dei vari inferni, pittorici, monacali, danteschi). Il ponte dei suicidi è terreno di pesca, i penitenziari sono allevamenti umani degni del peggior Tieste, del più perverso Tantalo, tutto sotto il controllo delle immancabili corporation come la New Moon (più Ecate che Artemide, data la natura oscura), mentre i carcerieri, memori della pellicola kubrickiana d’annata (e dannata: ovviamente, “A clockwork orange”) cantano “Singing in the rain” in un nuovo detournement di Gene Kelly (fa il paio coi cadaveri dei suicidi con le magliette “Je ne regrette rien” di Edith Piaf).

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(Kiki di Montparnasse in una delle più celebri foto di Man Ray, “Le violon d’Ingres”)

L’alternativa, “la merda verde statale”, ci ricorda il famigerato “Soylent Green” del film “2022 – I Sopravvissuti” del 1973 (manca poco, e non sembra poi più così fantascienza…). E ovviamente domina la pornografia come grande distrattore sociale di quest’età di assoluto decadimento: le deformazioni dei e delle mutanti diventano nuove perversioni, sotto le nubi pesanti della sintodroga Cloud 6, il nuovo assenzio di questa Paris degradata. In questo contesto si muove Kiki, ex-prostituta divenuta ora una killer spietata per garantirsi la sopravvivenza, nell’ombra di Big Blue, boss del crimine parigino che alterna crudeltà cyberpunk all’ascolto della Tosca.

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Un rimando aperto a Kiki di Montparnasse si ha quando la protagonista sale le scale della villa di Big Blue, e incrocia per un attimo una versione revisionata di questo celebre ritratto fotografico di Man Ray della sua omologa (in questo caso, la maschera dell’Oceania è sostituita con un cuore umano). Un gioco  tra le due Kiki che segna un passaggio di consegne tra le due epoche, dal surrealismo classico al surrealismo iperviolento alla “Arancia Meccanica” di Stanley Kubrick.

La missione di quest’albo, come si può intuire fin dal titolo, la porterà in India, a Calcutta, nel quartiere suddetto sotto l’egida di un mostruosa Kalì degenerata, alla ricerca di Juliette, damigella dell’élite caduta nelle mani di gang nemiche. Un nome che, ovviamente, evoca un rimando che aleggia su quest’opera (ed è ben più presente nei romanzi originali): quello di Sade, il “divino marchese” per Baudelaire, che a Juliette come anti-Justine dedicò uno dei suoi diabolici romanzi.

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(il Sade di Man Ray, per restare in tema)

Sade che viene colto da Battiago nella sua complessa natura di autore indubbiamente sgradevole, folle, eccessivo, psicotico… ma non necessariamente riducibile solo al lato pornografico, naturalmente presente. Una riscoperta di Sade che in Francia è partita dai surrealisti, che l’hanno voluto nume tutelare del loro eterodosso pantheon, e che ha però avuto, tutto sommato, poca ricezione nel fumetto, se non in un Sade pornografico, raramente colto con filologia (se si eccettua la lezione magistrale di Guido Crepax, ovviamente), e quasi mai fuori dal contesto erotico.

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In questo, un ruolo determinante è quello del disegnatore Stefano Cardoselli, coautore dell’albo. Per certi versi, grazie al segno di Cardoselli avviene quello che fece Frank Miller su Sin City, in una chiave più americana e meno acceleratamente citazionista. Miller infatti immaginò una “città del peccato” immersa nelle peggiori depravazioni, ma la scelta di un rigoroso contrasto di bianco e di nero portò a evitare che questo aprisse a un più banale discorso erotico, come sarebbe forse avvenuto con un segno più realistico, col colore, con una linea più chiara.

Cardoselli – in modo autonomo, e non derivativo – si colloca anch’egli nella linea dei maestri del bianco e nero totale. La sua specifica scelta per un contrasto di forti masse chiaroscurali nette si accompagna a un segno nervoso, volutamente veloce ed estremamente sintetico, eppure proprio per questo perfettamente efficace nella resa delle atmosfere. La composizione di tavola, completamente libera, è scandita dai riquadri delle vignette tracciate con segno spesso e appositamente irregolare, scaleno, non ortogonale. All’interno, pochi tratti essenziali fanno intuire l’ambientazione distopica, come la decadente tour Eiffel dell’inizio o il Pont Neuf scelto dai suicidi, ma anche le mille insegne luminescenti della città del porno. La recitazione dei personaggi acquista valore centrale, con una predilezione per primi piani in cui pochi segni sono in grado di definire la psicologia del soggetto con un mix ineffabile di drammaticità e ironia, soprattutto nei cattivi sempre estremamente sopra le righe, tra un Tarantino cyberpunk e un Sergio Leone postapocalittico. Il meglio dell’autore forse viene quando può sbizzarrirsi in scene d’azione frenetica, eccessiva, in un tripudio di esplosioni e schizzi di sangue, che nella sua resa acquisiscono un sapore parodistico senza perdere di un grammo dell’efficacia spettacolare. E questo fumetto – ma, in generale, tutta la partnership con Manzetti / Battiago – sembra offrire a Cardoselli un terreno ideale per dispiegare appieno il fascino pulp della sua arte.

In conclusione, questa Kiki si rivela un ballon d’essai molto interessante, che ci auguriamo possa ottenere un buon riscontro di pubblico e portare a nuovi capitoli delle sue avventure fumettistiche, magari anche sollecitando qualche lettore a confrontarsi con le opere originali.

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