Viandanti sopra un mare di comics

Viandanti sopra un mare di comics

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Una delle più iconiche immagini della storia dell’arte è il “Viandante sul mare di nebbia” del pittore romantico Caspar David Friedrich. L’opera viene realizzata nel 1818, agli albori del movimento romantico e gotico (è anche l’anno di uno dei suoi capolavori letterari: il Frankenstein di Mary Shelley). L’immagine diviene una icona perfetta, spesso usata per sintetizzare visivamente vuoi il Romanticismo, vuoi più precisamente il clima preromantico dello “Sturm Und Drang” tedesco, “tempesta e impeto”, da cui muove i primi passi il genio letterario di Goethe.

Goethe, di lì a poco, avrebbe svolto un ruolo (non notissimo, ma ormai nemmeno ignoto) nella nascita del medium fumettistico. Sarà lui, infatti, ormai figura autorevolissima e centrale del panorama culturale germanico, a spingere lo svizzero Rodolphe Topffer, suo corrispondente, a sviluppare e pubblicare quelle ingegnose storie disegnate con cui si dilettava, preconizzando anche l’enorme potenziale di quella nuova forma espressiva.

Di lì in poi, la storia di quell’archetipo visivo si mescolò di frequente con quella del fumetto: e di recente un post su facebook del fumettista Francesco Archidiacono rifletteva quanto nel fumetto bonelliano fossero frequenti pose simili. Jorge Luis Borges, nel suo “Altre inquisizioni”, dichiarava che gli sarebbe piaciuta una storia della letteratura come storia di una figura retorica, e prendeva ad esempio la metafora della Rosa. Naturalmente questo articolo non ambisce a un lavoro così sistematico, ma lo spunto di Archidiacono ci è sembrato interessante e abbiamo provato a svilupparlo.

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Iniziamo col dire che il dipinto di Friedrich, ovviamente, ha sviluppato una moda. Lo stesso autore aveva usato quella soluzione in numerosi altri dipinti, e la “figura di spalle” davanti a un panorama grandioso, la “Ruckenfigur“, divenne un tropo diffusa nella pittura successiva, a partire appunto dall’età romantica. La possibilità di effigiare figure di spalle è frequente dall’avvio della rivoluzione pittorica di Giotto in poi, e già nel ‘600, ad esempio in Vermeer, “L’arte della pittura” (vedi sopra), è un espediente utilizzato per rafforzare la focalizzazione dello spettatore su quello che osserva la figura di spalle. Ma è nel corso dell’800, dietro la lezione di Friedrich, che tale tecnica si rafforza.

Armando Rossi, autore fra il resto del notevole Ford Ravenstock con i testi di Susanna Raule, mi segnala altre notevoli citazioni artistiche dirette da Friedrich (Collier) o rimandi più generici alla Ruckenfigur (Wyeth):

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“The Devil skating when Hell freezes over”, John Collier, oil on canvas, 2012.

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“Il mondo di Cristina” di Andrew Wyeth

Naturalmente, integrerò volentieri ulteriori riferimenti storico-artistici rilevanti nel caso. Ma ora proseguiamo, partendo dalle immagini identificate da Archidiacono:

 

 

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Deadwood Dick, n.1 – Masiero / Mastantuono

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Dragonero, “I ribelli dell’Erondar” – Sceneggiatura: Stefano Vietti
Disegni: Gianluca Pagliarani, Fabio Babich, Giancarlo Olivares

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Orfani, Terra, n.1 – Emiliano Mammucari, Matteo Mammucari, Alessio Avallone, Giovanna Niro

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Orfani, Terra – A proposito del futuro.
Soggetto: Giovanni Masi, Matteo Mammucari, Emiliano Mammucari, Mauro Uzzeo / Sceneggiatura: Matteo Mammucari, Emiliano Mammucari / Disegni: Luca Genovese / Colori: Luca Saponti

 

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Dragonero (disegno di Francesco Archidiacono)

Lavorando sull’ultima tavola presentata per “Dragonero”, il fantasy della Bonelli introdotto nel 2013, Archidiacono aveva ristudiato delle tavole del personaggio, ma anche di altre testate bonelliane recenti: “Orfani” (che, sempre nel 2013, ha rappresentato la novità del colore, della serie corale, della continuity, contribuendo con Dragonero e col nuovo corso di Dylan Dog a segnare in quell’anno una certa svolta in Via Buonarroti) e Deadwood Dick (nel 2018, con adattamento da una serie western di Landsdale).

Lo stesso Archidiacono, nel postare la sua riflessione su Facebook, fa una considerazione interessante: la differenza potrebbe segnare un contrasto tra un eroe fumettistico “classico” (“che è sempre mostrato frontalmente, dal basso, monolitico a riempire la tavola eliminando la natura e il paesaggio”) e un eroe più moderno, più problematico psicologicamente. Possiamo quasi dire che la Ruckenfigur, e anche proprio il Wanderer, possono sembrare il ribaltamento esatto di questa iconica posa dei comics: e per tale ragione nei comics assume particolare forza (qui sotto, la posa di Superman nella sigla dei suoi cartoon anni ’40).

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La Ruckenfigur, per la sua natura romantico/gothica, è citata spesso nei fumetti “neri” degli anni ’40/’50, prima che intervenga la mannaia della censura di Wertham e soci sul perturbante fumettistico. “The Paperback Palette” ricostruisce molto bene questa connessione, qui.

Passando al fumetto supereroico e agli anni ’60, Alessio Bilotta di SlowComix cita il Doctor Strange (1963) di Stan Lee e Steve Ditko, in cui appaiono precocemente tavole di quella impostazione. Del resto il fantastico di Strange è di tipo “cosmico”, non legato tanto a singoli mostri ma a paesaggi allucinati, grandiosi, folli.

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Del resto, la connessione Dr. Strange / Friedrich, con una citazione vera e propria, appare anche nei materiali promozionali del film del 2016.

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Un discorso analogo si può fare per Silver Surfer (1966), probabilmente già nell’opera originaria, ma ad esempio, in modo notevole, nella celebre storia di Stan Lee con Moebius (1988).

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Bilotta osserva poi come potrebbe aver inciso nella diffusione del tropo anche l’11 settembre 2001, in cui si rafforza in generale una iconografia dell’eroe impotente davanti ad una terrificante scena di distruzione (e, in parallelo, il cinema recupera sempre di più le narrazioni supereroiche, sia per i nuovi effetti speciali 3D che rendono possibile evocarne le vicende in modo credibile, ma anche per una elaborazione “laterale” della tragedia, in una rilettura in parte fantastica). Bilotta (e anche Archidiacono, contemporaneamente) segnala ad esempio la storia di Spider-man dedicata al crollo delle Torri Gemelle:

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Anche un’autrice fumettistica come Claudia Loop Palescandolo segnala delle tavole e delle copertine del Batman recente che adottano tale soluzione visiva, evidenziando come si tratti di un fatto impostazione e di “focus”: sul personaggio o, come in questo secondo caso, sull’ambientazione. “Probabile che come composizione venga utilizzata ancora di più quando la Città (che diventa praticamente un personaggio a sua volta) e il personaggio hanno un rapporto stretto. Tipo Hell’s Kitchen e Daredevil, Gotham e Batman, New York e Spider-man” (Archidiacono); “Tra l’altro è una buona inquadratura per presentare scenari nuovi o stupefacenti senza far perdere il personaggio nello sfondo pur favorendo il paesaggio” (Palescandolo).

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Aggiungo di mio “Planetary” di Warren Ellis e John Cassidy (2011). Ma sicuramente i casi sono innumerevoli.

2011

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Ma veniamo al fumetto seriale italiano. Giustamente, nel suo lavoro di documentazione Archidiacono ha studiato tavole relative alla Bonelli più recente. Se dovessimo tornare a un modello di Ruckenfigur bonelliana, direi che il modello potrebbe essere rinvenuto in Nathan Never (1991), fin dalle origini. Nel Dylan Dog classico non mancano tavole e copertine di composizione simile, ma indicano più lo stupore verso l’apparire di un mostro che non verso un paesaggio o una visione “globale”.

Qualcosa del genere appare in certi Martin Mystere (1982), dove il personaggio – pur perfettamente caratterizzato – serve anche da mediazione per il lettore verso visioni sorprendenti, di civiltà arcaiche, fantastiche, misteriose: ma in prevalenza c’è la scelta di un personaggio “di lato”, se non frontale, che non si cancella davanti al paesaggio ma è ben presente. Il tutto anche grazie a un impostazione di tavola meno “tenebrosa”, meno giocata sui contrasti chiaroscurali, per avventure coinvolgenti ma di solito anche piuttosto ironiche; e copertine con colori sgargianti, e quindi di nuovo attenuando il contrasto tra figura, mai in ombra, e sfondo.

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Cover di Claudio Castellini

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Cover di Claudio Castellini.

In Nathan Never, invece, come detto, questo aspetto è centrale, ed è quello che ritorna anche in Orfani: ciò che si vuole evidenziare è il rapporto tra il personaggio e una società futura tentacolare, ostile, ipertecnologica, o mondi alieni, inospitali e però dotati di una grandiosa bellezza. Il rimando alla Ruckenfigur può essere anche, sottilmente (e magari inconsciamente) paradossale: un’immagine che esalta la bellezza naturale “classica” contrapposta a un panorama ipertecnologico, o alieno. In fondo, un gioco che è fondante nel genere della SF moderna, la rilettura provocatoria di un’icona artistica: Mona Lisa Cyberpunk, ma anche – fuori dall’arte visiva – il culto di Mozart per i Mirrorshades.

 

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Cover di Angelo Stano

 

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Cover di Angelo Stano (l’ultima, prima di Cavenago)

Il “nuovo Dylan Dog” ha talvolta soluzioni simili, quando l’orrore ha una valenza “ambientale”, o comunque collegato non al singolo mostro ma a qualche elemento di maggiori dimensione, come in questi primi due albi del ciclo delle “Madri”. In entrambi i casi abbiamo una realtà naturale “tempesta e impeto”, minacciosamente gothica, e ci avviciniamo quindi ancor di più al modello originario della Ruckenfigur.

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Fuori dal fumetto bonelliano, naturalmente, si possono rinvenire numerosi esempi. Noto che è frequente in opere collegate a grandi poeti, come in questi due notevoli fumetti dedicati a Petrarca di Filippo Rossi e Nuke Razzoli per Kleiner Flug (l’immagine ci è gentilmente fornita da Elia Munaò), o a Leopardi di Martone e La Pietra per NPE. Due autori – fondamentali del canone poetico italiano – in cui il rapporto con la natura è centrale. Nel caso di Leopardi, poi, con L’infinito siamo nell’anno dopo all’opera di Friedrich (1819), e quindi di nuovo l’associazione, anche extrafumettistica, è inevitabile. Un rimando a Friedrich in chiave poetica appare anche nel raffinato Poema a fumetti (1969) di Dino Buzzati, dove il viandante è davanti al “mare di nebbia” di Milano (e quindi di nuovo, contrastivamente, davanti alla città tentacolare invece che alla natura). Forse è la prima occorrenza di tale citazione nel fumetto almeno italiano (non a caso, in una incursione “colta”, d’autore, e al tempo stesso molto amata da Sergio Bonelli (che aveva dei Buzzati pittorici nella sua collezione privata).

Esiste poi un  Friedrich a fumetti di Sebastiano Vilella, di cui si è parlato qui. Ma è il caso per certi versi più logico, e quindi meno rilevante per questo discorso. In modo simile, Existential Comics (webcomics a tema filosofico) usano l’immagine per parlare della distinzione tra Bello e Sublime (il tipo di bellezza, appunto, rappresentata nel Wanderer).

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Dino Buzzati, Poema a fumetti

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Sempre in un ambito di fumetto autoriale possiamo collocare la notevole citazione di Marco Corona, nel suo “Il viaggio” per Progetto Stigma, con una evidente citazione diretta di Friedrich. (Su Corona, in attesa di leggere e approfondire anche questo nuovo fumetto, rimando per chi fosse interessato a quanto ho scritto sul suo potente Pinocchio illustrato).

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Giulia D’Angelo, che cura il blog miocarofumetto.it, ci segnala inoltre la cover di Heimat di Nora Krug, di cui lei ha scritto qui.

Spaziando fuori dal bonelliano, però, potremmo andare avanti ad infinitum (peggio ancora se usciamo dal fumetto: in ambito filmico, mi limito a segnalare questo articolo qui, dove si parla anche di poster di film di derivazione supereroica).

Aggiungo ancora alcuni a questa mia “barberList”, particolarmente significativi, e inerenti il filone del fumetto umoristico: una iconica illustrazione dei Peanuts di Schulz, con Charlie Brown e Snoopy, il Paperone di Don Rosa, davanti alla città di Dawson, dove gli si prospettano possibilità di avventura e arricchimento, ma anche grandi pericoli. Il Pertini di Andrea Pazienza, dubbioso davanti a un’Italia all’apparenza serena ma irta di problemi, probabilmente cita ironicamente Schulz (ce lo segnala anche Emiliano Serreli). E, infine, il recente Picosauri, libro “misto” uscito di recente, con fumetti, testi e illustrazioni, con disegni di Giorgio Sommacal.

Groo the Wanderer, 1982, di Sergio Aragones, non c’entra invece nulla: è un viandante guerriero, comico ma scollegato; e naturalmente l’immagine iconica di Friedrich è citata in numerose vignette satiriche, politiche e di costume (non fumettistiche, in quanto non sequenziali): spesso si ironizza sul fatto che il moderno “Wanderer” si farebbe un selfie sul mare di nebbia invece di godersi il momento (un esempio qua).

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“Peanuts”, Charles Schulz

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“Pertini” di Andrea Pazienza

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Giorgio Sommacal, Picosauri (testi di Pino Pace)

Sarebbe poi tutto da esplorare l’ambito del fumetto e dell’animazione nipponica, che ha un suo rapporto con l’immaginario romantico. Alice Marchi l’ha indagata nella sua (notevole) tesina di maturità del 2017, dove emerge ad esempio come Miyazaki abbia citato questo dipinto dell’autore ne “Il castello errante di Howl” (oltre a molti altri rimandi sparsi nelle sue opere).

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Il tema torna anche in questo Dampyr degli 80 anni Bonelli:

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Se conoscete altri esempi di Ruckenfigur fumettistiche, segnalatemeli: li integrerò volentieri.