“Doppelganger” di Wallie, quando il gothic è ultrapop
Su questo blog, come è noto, mi occupo primariamente di letteratura e fumetto, e in generale del rapporto tra fumetto e didattica. In prima battuta, questo mi porta a occuparmi di adattamenti a fumetti e di fumetti biografici e storici; tuttavia, ogni tanto allargo la visione considerando altri possibili fumetti che toccano più tangenzialmente tali tematiche.
Di recente, un autore emerso nella nuova wave del fumetto italiano, Wallie, ha pubblicato per Feltrinelli Comics un nuovo graphic novel, “Doppelganger”. Il tema è uno dei miei favoriti in relazione allo studio della letteratura, anche perché ha spesso una presa consistente sugli allievi, dato che introduce un tema affascinante, lievemente inquietante, ma non semplice e immediato da capire. Ma la mia fascinazione per il doppelganger ha radici profonde nella mia personale passione di lettore.
Il tema del doppelgänger è una figura ricorrente nella letteratura, nel cinema e nella mitologia. Il termine deriva dalla lingua tedesca e si traduce come “doppio camminante” o “doppio ambulante”. Rappresenta l’idea di un individuo identico o molto simile a un’altra persona, che appare inaspettatamente e spesso viene interpretato come un presagio di sfortuna o di morte imminente.
Il concetto del doppelgänger ha origini antiche e può essere rintracciato in diverse tradizioni culturali. Nella mitologia greca, ad esempio, si parla di “agathodaimon”, un doppio benevolo che poteva apparire ai familiari come un presagio di buona sorte. Tuttavia, in prevalenza, nella cultura occidentale il doppelgänger è considerato un fenomeno negativo, un doppio malvagio.
Un esempio notevole è il racconto di Edgar Allan Poe intitolato “William Wilson”, in cui il protagonista si imbatte in un suo doppio che sembra mimare le sue azioni e cercare di rubargli la sua identità. Anche nel romanzo di Fyodor Dostoevsky, “Il sosia”, il protagonista si confronta con un sosia che mina la sua esistenza e lo spinge alla follia. Anche in Dorian Gray il ritratto diviene una sorta di doppio, seppure immobile, del protagonista. La sua connessione strettissima al tema del doppio, molto caro alla letteratura dall’Ottocento in poi. Il tema torna anche in opere contemporanee come il “Fight Club” di Chuck Palahniuk (e il film relativo).
Insomma, il tema del doppelgänger rappresenta una figura affascinante e inquietante che evoca questioni sull’identità, la dualità e la natura umana. La sua presenza nelle opere letterarie e cinematografiche crea un senso di suspense e di disagio, spingendo il pubblico a riflettere sulla complessità della condizione umana.
Nel fumetto italiano, la tradizione bonelliana ha fatto spesso ricorso al Doppelganger. Ne tratta spesso il Dylan Dog sclaviano; Martin Mystere lo indaga sotto il profilo più razionale mentre Dampyr si ispira più filologicamente al mito classico dell’800, mentre Nathan Never l’ha sviluppato nella chiave delle dimensioni parallele.
(Caparezza e Wallie)
Wallie rappresenta però, è questa è stata la curiosità che mi ha spinto verso quest’opera, un autore distante da quel coté gotico evocato dal Doppelganger, e si collega più alla vasta ondata di fumetto social che si è affermata negli ultimi anni, insieme a fenomeni differenti. Una stagione fortunata, che ha portato gli autori di tale flusso a giungere a pubblicazioni cartacee spesso, come in questo caso, anche prestigiose come Feltrinelli.
Classe 1995, campano di origine ma ormai residente a Bologna, Wallie ha raggiunto nel corso degli anni ’10 circa 40.000 follower su Facebook, 160.000 su Instagram (non ho trovato la data esatta dell’avvio della sua produzione). Dopo l’esordio in cartaceo nel 2018 con “Solo un altro giorno” (Manfort), Wallie (pseudonimo di Walter Petrone) ha pubblicato con Feltrinelli Comics “Uova di lucertola” e “Croce sul cuore” (2020). Sceneggiato da Tito Faraci ha anche disegnato il graphic novel “Un sogno chiamato Giffoni” (Feltrinelli, 2020) in connessione al famoso festival. Wallie ha anche pubblicato un racconto nell’antologia “Sporchi e subito”, curata da Fumettibrutti, che raccoglieva spunti piuttosto eclettici ed eterogenei delle nuove ricerche artistiche.
Questa nuova opera – che ha visto un certo lancio, con anche una canzone di Cimini dedicata come colonna sonora all’opera, con video cartoonesco sui disegni dell’autore, ascoltabile qui — riprende quindi ovviamente il tema del Doppelganger, ma la sua declinazione è tale da trattare sempre i temi più tipici della “new wave social” degli anni ’10: le ansie dei ventenni ora divenute ansie dei trentenni. Il contrasto tra temi sociali / social di “first world problem” e le angoscie profonde del gotico si riflette nel dualismo stilistico. Wallie ricorre infatti a una sintesi pop un po’ legnosa, giocata soprattutto sui colori ultravividi, con forti contrasti visivi. Un segno che a suo modo funziona sul vasto pubblico online, e che nuovamente contrasta col tema gotico del Doppio preso in oggetto.
Tale declinazione ultra-pop, con una autoironia spesso un po’ compiaciuta, è già evidente del resto dalla copertina, in cui la chitarra del protagonista, che è un cantautore ovviamente a sua volta pop, diviene una plasticosa chitarra giocattolo della prima infanzia dove appaiono come simboli i personaggi principali. Appare evidente la metafora della scarsa voglia di crescere, l’eterna sindrome di Peter Pan che è un altro dei pilastri di questo tipo di produzioni.
Se vogliamo, come accennato, l’evoluzione della trama rispetto allo standard è segnato dal passaggio di un decennio dalle ansie universitarie a quelle di una post-università ormai prolungata. Quindi il protagonista non è alla ricerca di successo come cantautore indie, ma lo ha raggiunto ed è già sfumato, così come la relazione con la fidanzata storica.
Appare evidente fin da subito tale dimensione autoreferenziale: Wallie, come molti di questa ondata, ha raggiunto il successo e ora deve impegnarsi per mantenerlo, mentre già nuove forme di intrattenimento si aggiungono al white noise di fondo in questa Panasonic visiva del fumetto di oggi.
(Autoritratto di Wallie sul suo portfolio)
Un tratto tipico di Wallie, è un mondo mediatico dove convivono serenamente personaggi antropomorfi e personaggi zoomorfi, talvolta con un valore simbolico / allegorico. Un tratto presente già nel massimo esponente della new wave emersa dal web (e che ha staccato nettamente tutti gli altri), Zerocalcare (2011), o in un prodotto influente, di poco successivo, come BoJack Horseman (2014)
In questo fumetto tale aspetto è evidente nel personaggio del produttore, Catfish, che prende il nome dal pesce-gatto, ma anche da un tipo di truffa online che sviluppa in chiave più sentimentale la pesca del fishing. Al tempo stesso però il suo aspetto rimanda anche al Pesce Lanterna, che fa baluginare una luce agli incauti pesci piccoli di cui si vuole cibare coi suoi denti aguzzi.
Lo sdoppiamento del Doppelganger consente a Wallie di far coesistere due tipologie di evoluzione di trentenne disagiato (usando il termine nell’accezione che ne dà Ventura ne “La classe disagiata”): da un lato il protagonista è colui che ha ottenuto un certo successo e deve mantenerlo, quindi in qualche modo quello più prono all’età adulta, in cui il sogno smette il suo scintillio indefinito e inizia a trasformarsi anch’esso in un motore immobile di ansie, stress, tentativi frustranti.
(Wallie recensito su Repubblica)
Il suo Doppio invece è il classico universitario fuori tempo massimo, volto a un collasso a spese del coinquilino un minimo più serioso. Un buddy buddy comics che sfrutta un meccanismo ormai rodato (viene da pensare al Ted di Todd McFarlane, allo stesso BoJack, allo stesso Zerocalcare / Armadillo) e che qui viene vitalizzato da qualche escursione in una psichedelia in bad trip, un po’ gratuita forse, fino a un finale similmente un po’ precipitoso dove l’autore si ricollega sbrigativamente al debito gotico del titolo.
La storia, insomma, è condotta seguendo gli standard di questo tipo di prodotti, ma non riesce a mio avviso a dare appieno il senso di disagio che evocherebbe il tema gotico fuso con uno stile volutamente iperpop che cozza in un ossimoro visivo. Gli scontri visivi ci sono, si producono, ma appunto in modo che ho trovato un po’ precipitoso e artefatto.
Se vogliamo, il vero doppelganger potrebbe dunque essere quello che si stabilisce tra l’opera e il suo autore, in questa proiezione di sé stesso nel cantautore sull’orlo dell’insuccesso, che fatica a mantenere i relativi fasti del suo esordio.
Oppure, ancor meglio, il libro è forse più che altro lo specchio deformato e deformante che l’Autore pone fra sé e il Lettore Ideale di questo volume: il suo vero doppelganger che nel mondo reale rivede le stesse ansie, frustrazioni e piccoli fallimenti proiettati in una chiave lievemente più estetizzante nel protagonista e quindi nel suo autore.
In fondo, sebbene in modo più smaliziato (e cercando da tempo di smarcarsene) anche il massimo vertice di questa wave, Zerocalcare, deve il suo successo – oltre alla indubbia abilità affabulatoria tramite i comics – all’offrire a un vasto parterre di lettori una versione più estetica di sé stessi. Anche solo tramite l’estetizzazione fumettistica, ma anche nella proiezione di un fumettista che, pur ironizzando sulle sue sventure quotidiane, ha ottenuto un invidiabile successo economico e di status.
In questo senso, allora, ma probabilmente oltre all’intento originario, l’opera assume un suo interesse critico come decostruzione del successo della Social Generation, e questo piccolo parallelepipedo plasticheggiante acquista quella auspicata dimensione inquieta, evocata dal titolo.