Dante e il fumetto: uno studio accademico

Dante e il fumetto: uno studio accademico

In questi giorni è uscito il numero 24 di Itinera, “rivista di filosofia e teoria delle arti”, come recita il sottotitolo, che si occupa del rapporto tra Dante e il fumetto. Il numero della rivista, a cura di Manuela Roccia e Federico Vercellone, è disponibile gratuitamente qui, e contiene, come si può vedere, una serie di interventi di alto livello, provenienti dal mondo accademico e della ricerca. Si tratta a mio avviso di un segnale molto importante di come il fumetto sia ormai oggetto ordinario, e non eccezionale, di uno studio da parte del mondo universitario, e anche con una attenzione particolare alla didattica nelle scuole superiori di primo e secondo grado, che costituisce il mio massimo interesse.

In questo saggio, in particolare, si esamina quello che è il tema centrale di questo blog, ovvero il rapporto tra la letteratura e il fumetto, proprio appunto con un occhio di riguardo alla chiave didattica. Oltre quindi a consigliarne senz’altro la lettura a chi segue questo blog (in particolare a chi nutra un interesse didattico), ho chiesto al prof. Mariano Somà – che si è occupato, appunto, del tema della didattica dantesca tramite il fumetto – un’intervista, che il collega ha gentilmente accettato e fornito ulteriori spunti interessanti di approfondimento. Ringrazio lui, e anche il professor Giuseppe Noto, ordinario di filologia romanza all’università di Torino, che ha fornito una altrettanto interessante e preziosa premessa.

Lascio quindi la parola agli autori, tramite le domande che ho rivolto loro.

(Lorenzo Barberis)

 

 

Come nasce l’idea di affrontare, a livello accademico, il tema del rapporto tra Dante e i fumetti?

Mariano Somà: Delego a Giuseppe Noto, professore ordinario di filologia romanza presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Torino, la risposta a questa domanda: è stato grazie a lui che, almeno un anno fa, sono stato coinvolto in questo progetto che ha coniugato Dante, fumetto e mondo accademico, e, senza dubbio, lui può garantire una visione più lucida e immersiva della situazione.

Giuseppe Noto: La Commedia dantesca non nasce certo come libro illustrato: eppure – come ebbe a dire uno dei più importanti filologi italiani del Novecento, Gianfranco Contini – si tratta comunque di «un libro illustrabile, cioè un libro autorizzato dall’autore all’illustrazione perché contiene passi capitali in cui si è invitati a una rappresentazione visuale».

E in effetti noi sappiamo che la tradizione che fa interagire i versi di Dante con le immagini comincia molto presto, pochi anni dopo la morte del poeta. In alcuni casi si tratta di poche miniature, in altri di frontespizi (viene illustrata la prima carta di ogni cantica), in altri di lettere incipitarie colorate. In questa prima tradizione spicca il codice oggi conservato presso la British Library di Londra e siglato Egerton 943, un manoscritto in pergamena scritto e miniato tra Emilia Romagna e Veneto intorno al quarto decennio del XIV secolo, che con le sue 253 miniature o disegni è un vero e proprio commento illustrato al poema, che si dispongono come le strisce di un fumetto.

Studiare il rapporto tra Dante e il fumetto significa soprattutto soffermarsi come il linguaggio della “striscia disegnata” sappia far interagire il capolavoro dantesco e le immagini creando una narrazione multimediale molto interessante da osservare: perché ci dice molto sulla cultura pop, sul Dante pop e, più in generale, sul modo in cui Dante oggi viene letto e recepito, poiché sa entrare in una viva relazione con quello che di solito gli studiosi definiscono il «secolare commento», e anzi ne sa diventare parte integrante. Esiste infatti una diffusa produzione fumettistica relativa all’opera di Dante, di cui tuttora manca una ricognizione complessiva e sistematica e che attende di essere studiata adeguatamente: nonostante il fatto che essa abbia l’indubbio pregio di permettere (e non solo ai più giovani) di avvicinarsi al poeta con maggiore facilità, per poi poterlo leggere direttamente: dalla letteratura al fumetto e ritorno, insomma…

Il fumetto può rappresentare chi insegna, in definitiva, l’elemento centrale di possibili strategie didattiche per:
• avvicinare gli studenti alla lettura;
• indurre negli studenti riflessioni sulle specificità del linguaggio letterario e sul fatto che ogni linguaggio (sistema) ha le proprie specificità;
• indurre negli studenti riflessioni sulle specificità dei linguaggi multimediali (a partire dal linguaggio del fumetto);
• indurre negli studenti una riflessione sui meccanismi (e sui problemi) legati alla transcodifica da un linguaggio ad un altro;
• cercare di eliminare dalla didattica della letteratura ogni tentazione esclusivamente “contenutistica” (nel messaggio letterario la forma contribuisce a creare il significato);
• sperimentare una didattica della lingua e della letteratura italiana fondata sul concetto di “competenza”.

Come medievista, inoltre, non posso non sottolineare che, se c’è un’epoca che ricorda molto da vicino la nostra per il modo in cui si strutturano i meccanismi della comunicazione (anche artistico-letteraria), essa è proprio il Medioevo. Penso in particolare ai seguenti aspetti, che in qualche modo accomunano la cultura medievale alla nostra contemporaneità:

• la circolarità dei temi e dei motivi culturali tra i dislivelli culturali (cultura “alta”/cultura “bassa”) e tra luoghi lontani nello spazio è capace di creare coesioni e comunanze insospettabili;
• l’universalismo culturale (o globalizzazione, che dir si voglia);
• grande presenza dell’immagine;
• importanza dell’oralità e della multimedialità prima che (e più che) del binomio scrittura-lettura;
• sostanziale analfabetismo (sempre più generalizzata incapacità di decodificare un testo scritto, anche semplicemente sul piano del significato letterale).

E d’altro canto, a questo proposito già Tommaso d’Aquino aveva scritto:

Fuit autem triplex ratio institutionis imaginum in ecclesia: primo ad instructionem rudium, qui eis quasi quibusdam libris edocentur; secundum ut incarnationis mysterium et santorum exempla magis in memoria essent, dum quotidie oculis repraesentatur; tertio ad exercitandum devotionis affectum qui ex visis efficacius incitatur quam ex auditis (Tommaso, In III Sentent. d. 9, q. 1, a. 2, q. 2).

[Fu peraltro triplice la ragione profonda che portò all’istituzione dell’uso di immagini nella comunità ecclesiastica: innanzi tutto a fini di insegnamento verso gli incolti, affinché essi vengano istruiti dalle immagini come se si trattasse di libri; in secondo luogo affinché il mistero dell’incarnazione e gli esempi dei santi si fissassero maggiormente nella memoria, fino a che vengono raffigurati davanti agli occhi ogni giorno; in terzo luogo allo scopo di smuovere al sentimento della devozione, il quale è fatto sorgere più efficacemente dalle cose viste che dalle cose udite (trad. del prof. Giuseppe Noto)]

 

 

Nel tuo contributo, Mariano, presenti oltre al resto la tua esperienza di lavoro didattico col fumetto in classe. Come si sviluppa questa tua attività?

 

Mariano Somà: Era il 2013, mi pare, e lavoravo in una scuola media a Asti. In un certo momento dell’anno, mi sono trovato, due ore a settimana, a dover gestire un gruppo misto di studenti di tutto il triennio: mi era stato chiesto di coinvolgerli con qualche attività che avrei potuto valutare. Fra quei ragazzi, ne emergevano due-tre, sia per il buon rendimento scolastico, sia per il fatto che fossero degli appassionati di fumetto. Io stesso, credo sia abbastanza palese, sono un amante e un lettore di fumetti da quando ho memoria.

Mi è sembrata divertente l’idea di proporre un percorso strutturato perché gli alunni potessero creare un fumetto con una storia originale di cui potessero essere orgogliosi. Se la cosa poteva nascere come sfizio e piccolo sogno/esperimento personale, col passare del tempo, mi rendevo conto che il fumetto poteva avere una valenza didattica effettiva: al suo interno, infatti, contiene diversi livelli di comunicazione, coniuga in maniera originale linguaggio iconografico e scrittura, costringe sia chi legge, sia chi sta ideando il fumetto a uno sforzo di astrazione di un certo tipo e sollecita le più disparate competenze linguistiche. In sostanza, stando alle programmazioni ministeriali e ai traguardi finali di competenze linguistiche previsti in ogni ordine scolastico, il fumetto contiene tutti gli elementi richiesti.

Col passare degli anni, centinaia di alunni sono passati sotto le mie grinfie, ignare cavie didattiche, e, col tempo, ho affinato al meglio i miei percorsi didattici fra linguistica e fumetto, provando a inserirci dentro anche la Letteratura – sì, quella con la L maiuscola, che si insegna tanto a scuola, quanto in università.
E ora eccomi qua.

 

Tu hai lavorato col fumetto sia alle scuole medie, sia alle scuole superiori. Hai trovato delle differenze di modalità di lavoro?

 

Mariano Somà: Buona parte della mia esperienza di didattica col fumetto è legata alle medie, per una questione strettamente autobiografica: dopo qualche anno di precariato in cui ho insegnato un po’ ovunque, senza avere mai una reale continuità, raggiungendo prima l’abilitazione, poi il ruolo, ho lavorato per sei anni consecutivi nella secondaria di primo grado. Da due anni ho chiesto trasferimento, cambiando anche ordine scolastico, tornando, dopo qualche tempo, alla scuola superiore: mi è sembrato ovvio continuare a sperimentare anche in questo contesto.

Mi sono trovato bene in entrambi gli ambiti, sebbene siano estremamente differenti: alle medie, un insegnante di lettere, oltre alle ore curricolari, fra progetti, PON, iniziative e quant’altro, vede i suoi alunni più di qualunque altra persona al mondo; dunque, se quel tempo è ben investito, si può veramente fare tantissimo, dedicando ogni minuto a ogni esigenza, nei limiti del possibile – questo non significa che sia un lavoro facile e scontato. Inoltre, e questo non è da sottovalutare, la programmazione della scuola media è molto meno vincolante, per certi aspetti, rispetto a quella delle superiori; pertanto la creatività e il desiderio di mettersi in discussione dell’insegnante possono essere elementi determinanti.

Con questo non voglio dire che alle superiori si abbiano le mani legate: anche lì, infatti, professionalità e fantasia possono creare connubi interessanti e produttivi. Devo ammettere che sto imparando ancora tantissimo, da quando sono tornato, dopo sette-otto anni, alla secondaria di secondo grado, e trovo stimolante il fatto di poter provare a far entrare questo tipo di didattica anche in questo contesto.

 

 

Molti dei grandi del fumetto si sono confrontati con Dante: i disneyani, a più riprese; Toninelli e Go Nagai, che tu analizzi. Che differenze di approccio hai rilevato?

 

Mariano Somà: Le differenze di approccio, a mio avviso, denotano, o meglio, confermano la grandezza di Dante Alighieri: se ha stuzzicato per secoli l’immaginario di miniatori, illustratori, incisori, pittori e fumettisti, indubbiamente ha dato qualcosa di speciale. E questo quid ha solleticato creatività, fantasia e spirito critico di molti fin dalla sua stessa contemporaneità. Non voglio divagare, però penso proprio che questi elementi non possano che sottolineare, per l’ennesima volta, l’universalità di Dante.

Per citare il titolo dell’omonimo saggio di Umberto Eco, tradurre e riadattare significano Dire quasi la stessa cosa – e porrei un particolare accento su quel quasi. Dunque un grande autore può prendere nuove forme, rinsaldando la propria posizione, senza snaturarsi, se gli autori che lo affrontano sanno il fatto loro. Marcello Toninelli e Gō Nagai non hanno certo bisogno di presentazioni: sono due grandi e, curiosamente, più vicini fra di loro di quanto si possa immaginare. Certo, uno è toscano e l’altro è giapponese, ma le loro Divine Commedie a fumetti sono uscite entrambe nel 1994 e non hanno mai nascosto il loro intento didattico; i loro registri iconografici e linguistici, per quanto distanti, raggiungono il loro scopo e, in ogni caso, rivelano un’umanità fictional del Dante-personaggio plausibile a prescindere.

Sono tantissimi i riadattamenti, anche quelli disneyani che tu stesso citi, interessanti, soprattutto, per questioni linguistiche – per esempio, il fatto che Guido Martina abbia riproposto magistralmente la terzina dantesca nel XX secolo ha dell’incredibile –, però credo che i contributi di Marcello Toninelli e Gō Nagai brillino per la loro unicità a tutto tondo.

 

Un tempo, e senza tornare all’era di Wertham, l’arcinemico del fumetto, la scuola tendeva a condannare il fumetto, più che a promuoverlo. Secondo te oggi è cambiato qualcosa, e perché?

Mariano Somà: Se oggi avessimo un nuovo Wertham, credo che sarebbe il classico boomer che stigmatizzerebbe l’uso degli smartphone, ahahah! Ogni epoca storica ha avuto il proprio nemico ideologico delle generazioni più giovani, dall’heavy metal negli anni Ottanta, alle discoteche negli anni Novanta.

Per quanto riguarda la scuola, in effetti, talora, può ancora apparire qualche resistenza nei confronti del fumetto, per il fatto che questo, spesso, è un esclusivo retaggio culturale personale di quei docenti che potrebbero esserne appassionati e che hanno l’idea di portarlo in classe. Nel frattempo, però, il fumetto, da diversi anni, viene anche internazionalmente chiamato letteratura seconda. Quindi, sì, finalmente, letteratura, ma, comunque, seconda. Manzoni, Foscolo, Leopardi, Boccaccio, Petrarca, lo stesso Dante non sono assolutamente da paragonare al fumetto, ma non perché siano letteratura prima tout court – gerarchicamente superiore a quella seconda –, bensì cosa altra rispetto al fumetto stesso: due entità in(ter)dipendenti e distinte.

Non voglio fare facili moralismi, ma le diversità possono convivere e creare un ambiente sano di scambio e di crescita. Grazie all’iniziativa personale di più docenti di quanto si creda, il fumetto sta entrando nella scuola e nella didattica. Penso, per esempio, all’ottimo lavoro e ai progetti che, da anni, stai portando avanti tu, Lorenzo, nell’istituto in cui sei in servizio, ma anche a tanti amici e colleghi in altre scuole. Credo che sia un forte indice di professionalità: sono convinto, infatti, che un insegnante, per svolgere al meglio il proprio lavoro, debba essere in grado di saper pescare dal proprio database culturale quegli elementi, magari anche complessi, alti o apparentemente fuori contesto, per poterli fare ricadere in classe, riadattandoli alla didattica quotidiana.

 

 

Per paradosso, un dubbio che può venire è: il linguaggio del fumetto è ancora così attuale, per i ragazzi d’oggi, per mediare un lavoro sui testi letterari? Oppure – al di là della lettura da parte di alcuni di fumetti soprattutto manga – è ormai per loro un linguaggio in parte estraneo?

Mariano Somà: I lettori di fumetti sono sempre stati una minoranza, a seconda dei contesti generazionali, più o meno rumorosa o appariscente. Attualmente, ho la sensazione che, in certi contesti, forse grazie a serie TV di successo come The Big Bang Theory et similia, non dico che certa nerd culture sia diventata moda, ma, almeno, per l’“uomo della strada” non dovrebbe essere più così shockante interfacciarsi con collezionisti di comics e action figures o cosplayer.

L’approccio, in qualche modo, è diverso: penso, per esempio, a quando guardavo I Simpson negli anni Novanta o nei primi anni Zero; in quel cartone animato il mitico Uomo Fumetto incarnava valori e controvalori della suddetta nerd culture, dando vita a un personaggio disperatamente tragicomico, spesso vittima di diversi sfottò, complice l’immaginario che si portava appresso. Nel corso degli ultimi lustri, qualcosa, non saprei bene dirti cosa, è cambiato; certi elementi si sono affermati perché moda: per esempio, nel 1997, se avevi una t-shirt di Star Wars eri uno sfigato un po’ esoso; oggi qualunque giovanissima Instagram Model ne ha almeno una. Negli anni Novanta, la Marvel, in un contesto mainstream, aveva creato apici di epos fumettistico 2.0, ma restava qualcosa per appassionati; l’affermarsi del MCU, invece, ha portato al cinema personaggi che venticinque anni fa avrebbero bullizzato o deriso il fan medio di Iron Man.

E i nostri alunni, com’è giusto che sia, sono figli di questi tempi, talora soggetti a certe mode. Tu stesso citi i manga, i quali, probabilmente grazie al database nutritissimo di anime su Netflix, stanno avendo un successo inatteso, soprattutto fra le ragazze e i ragazzi nel target d’età a cui insegniamo.
Al di là di mode e passioni personali, penso che la scuola abbia il compito di solleticare curiosità e stimolare attitudini e, poiché in guerra e in amore tutto è lecito, un buon insegnante dovrebbe saper inserire strategie e strumenti adeguati al contesto in cui si trova.

Se penso alla mia esperienza personale di didattica col fumetto, prima di lanciarmi in un percorso di creazione di un prodotto fumettistico derivato da un testo letterario, oltre, ovviamente, a fare tutto ciò che un insegnante di lettere dovrebbe fare per introdurre il testo stesso, cerco sempre di formare le mie classi, fornendo loro, fra le letture consigliate, non solo romanzi o saggi, ma anche fumetti d’autore. Sorprendentemente, molto spesso, questi fanno centro, anche nei cuori e nelle menti di quegli alunni che, apertamente, mi confessano di non aver mai avuto un reale interesse per il fumetto. Ultimamente, per esempio, ho visto una grandissima attenzione per Zerocalcare, complice il successo di Strappare lungo i bordi: quando ho detto ai miei alunni che Michele Rech è operativo almeno dal 2010, quasi stentavano a crederci e tanti hanno deciso di recuperare tutte le sue pubblicazioni. Se la Bao Publishing mi stesse leggendo, mi contatti e farò avere loro il mio IBAN, ahahah!

 

Ringrazio ancora di cuore il collega Mariano Somà e il professor Giuseppe Noto per la loro disponibilità e per i preziosi spunti forniti su un tema, quello del rapporto tra letteratura e fumetto, che diverrà a mio avviso sempre più centrale, nei prossimi anni, nella prassi e nella ricerca didattica.