Galeotto fu il Ken Parker e chi lo scrisse
Estate di fine millennio. Roba epocale, da inventarsi qualche vacanza memorabile, magari ai confini del mondo. Invece sono lì, sulla costa abruzzese, sotto l’ombrellone con la mia pilona di Tex Willer e Ken Parker, appoggiata sulla sdraio.
“Sei proprio un appassionato.”
E’ la frase ricorrente che mi rivolgono, vedendomi tutto preso lì a consumare pagina su pagina di albi vecchi consunti, mescolati ad altri nuovi di zecca.
“Veramente, sto preparando la mia tesi di laurea… Sul fumetto…”
Replico pacato, scarabocchiando ogni tanto qualche appunto sul taccuino.
A quelle parole di solito, seguono sguardi incerti, misto di sorpresa e curiosità, e un sorriso pietoso, quasi che stiano parlando con un deficiente. La cosa strana è che, qualche anno dopo, ritroverò gli stessi sguardi quando, alla classica domanda “Cosa fai nella vita?” risponderò: “Scrivo cartoni animati”.
Ma questa, come dicono quelli bravi, è un’altra storia. Torniamo all’estate di fine Millennio, alle pinne, ai fucili, agli occhiali ed ai Tex Willer. La ragazza vicina di ombrellone, anche lei s’incuriosisce per le mie letture bonelliane.
Lei legge “DailanDog”, ovvio come metà delle ragazze del pianeta (l’altra metà sono quelle che si fidanzano con lui nelle sue storie). Io le dico sì certo “Dailan” ma dovresti leggere “Ken Parker”, sono sicuro che ti piacerebbe.
E inizio a raccontarle di Chemako e di altre storie che lei non conosce.
Non vi dirò che la scintilla magica è scattata per un fumetto, perché non sarebbe vero. Però penso che anche quei racconti, quegli scambi di letture, facciano parte della meraviglia dell’incontro.
Sono passati molti anni. Io e la ragazza dell’ombrellone siamo diventati prima come Topolino e Minnie e, poi, come Reed Richards e Sue Storm.
Io le ho riempito la casa di fumetti.
Lei mi ha riempito la vita di sogni e speranze.