
Tante care caffettiere: di fumetti e design
Ci sono molti modi di rappresentare le “cose” nel fumetto. Affermazione scontata certo, ma diversi discorsi importanti sui comics passano da qui in termini di stile ed espressività. Ci pensavo leggendo il bel saggio di Chiara Alessi Tante care cose, un viaggio nella storia della cultura italiana attraverso 74 celebri produzioni di design.
Esiste un legame tra la presenza di oggetti come quelli raccontati da Chiara Alessi nel nostro quotidiano e la qualità grafica degli oggetti stessi dentro le storie a fumetti. Il designer disegna le cose per renderle “vivibili”, “usabili”, “abitabili”, “amabili” nella realtà. Il cartoonist disegna le cose per renderle “riconoscibili”, “familiari” e “connesse” con la realtà. Il caso più emblematico è quello in cui celebri oggetti di design spuntano nelle vignette di Diabolik, Valentina, David Mazzuchelli o Chris Ware. Chiara stessa, a suo tempo, ce ne ha proposto alcuni efficaci esempi nella sua deliziosa rubrica su twitter #designinpigiama.
Anche se una distanza resta e la rintracciava propriamente Daniele Barbieri analizzando tutto il lavoro, addirittura inventivo sul disegno degli oggetti dentro le storie, fatto negli anni Settanta dal gruppo Valvoline (Brolli, Carpinteri, Mattotti, Igort, etc.). Barbieri lo definisce un “design immaginario”:
nel senso che la sua ragione fondamentale è quella di una funzionalità all’universo narrato, e alla sua migliore determinazione.
Eppure, per quanto “immaginario” e limitato, questo design nelle vignette offre interessanti spunti di riflessione soprattutto sulla dimensione emozionale delle cose raccontate in un fumetto.
Caffettiere a fumetti
Prendiamo un oggetto di uso comune, quale una caffettiera. Banalmente, già le differenze di raffigurazione dei tre maestri del fumetto (Alex Raymond, Hergé e Magnus) ci dicono di come gli oggetti contribuiscano all’allestimento del mondo finzionale, caratterizzando l’epoca degli eventi, definendo il contesto sociale in cui si muovono i personaggi, etc.
Quando, per esempio, a partire dal 1975, sulle pagine di “AlterLinus”, apparve Alack Sinner di Carlos Sampayo e José Muñoz, la novità eclatante delle storie di questo malinconico investigatore hardboiled – oltre che nel tratto, nel montaggio, nei dialoghi – era anche nella qualità degli oggetti quotidiani esibiti nelle vignette.
Ci sono portacenere stracolmi, lampade dozzinali, sveglie consunte, specchi anonimi e, soprattutto, un wc, destinato a fare epoca per il fumetto quanto l’orinatoio di Duchamp nell’arte. Siamo di fronte al primo (anti)eroe dei comics che si mostra ai lettori mentre fa pipì e che – per restare all’oggetto da cui siamo partiti – spende diverse vignette con la caffettiera in mano, perché:
Aspettare prendendo il caffè, più che una cosa saggia, a volte è l’unica alternativa…
Ovviamente ci sono caffettiere e caffettiere. Ecco, allora, che in Paperino e il diritto di successione (1965), scritta da Rodolfo Cimino e disegnata da Romano Scarpa, acquista un valore particolare il fatto che Paperino, a Paperopoli, utilizzi una caffettiera napoletana (il modello da capovolgere durante la preparazione del caffè).
Come nota Antonio Ferraiuolo, quel modello negli anni Sessanta era diffuso solo in Italia e non negli States. La scelta grafica di Scarpa può essere considerata tanto una “svista”, per una storia che nelle pagine seguenti si sviluppa proprio a Napoli, quanto una magnifica licenza espressiva, emblematica di quell’inestricabile miscela “glocal” di cui è imbevuto il fumetto Disney di casa nostra, colossale filiera artistica e produttiva del Made in Italy a fumetti nel mondo.
La “Rosabella” delle caffettiere
La caffettiera napoletana raffigurata da Romano Scarpa si sostiene su una linea contorno, cicciuta e morbida, tipica della rappresentazione Disney. Ma con quella stessa linea si può andare anche altrove, come fa Don Rosa rimettendo in mano dopo tanti anni a Paperon De Paperoni in Zio Paperone e l’ultima slitta per Dawson (1988), una consunta coffee maker del vecchio West.
Qui la riconoscibilità della caffettiera lavora per sintesi immediata: basta una silhouette per rimembrare a Paperone (ed ai lettori) i suoi pionieristici esordi da cercatore nella corsa all’oro in Klondike. Esattamente come il primo, mitico, “cent” (decino) guadagnato dal miliardario di Paperopoli e conservato gelosamente sotto teca museale nel deposito, l’oggetto vale come tesoro emozionale. La caffettiera è una madeleine grafica alla Marcel Proust, o più propriamente – visti i numerosi ammiccamenti di Don Rosa al film – una “Rosabella” alla Quarto potere.
Interessante notare anche che Don Rosa è il filologico erede dell’epica papera del Maestro Barks. Così la nostalgia suggerita dall’oggetto raffigurato dentro il racconto, coincide con la nostalgia innescata dal tratto “alla Carl Barks” usato nel raffigurarla . La coffee maker di Paperone testimonia che per il fumetto gli oggetti, oltre che come rappresentazione del reale, valgono come racconto della nostra relazione con quella realtà. Lo dice la stessa Chiara nel saggio, ribadendo le ragioni di quell’aggettivo “care” accostato nel titolo alle cose di design:
Le cose sono concentrati di racconti, memorie, odori, affetti, transizioni, ricordi.
L’emozione della caffettiera
In questo senso, mi viene in mente una striscia di Andrea Pazienza su “Frigidaire”, Giorno (1981), in cui la Moka è disegnata con una perizia grafica che sarebbe piaciuta a Alfonso Bialetti, suo inventore, e al fumettista Paul Campani, autore del celebre omino coi baffi.
Pazienza – grazie a una strepitosa onomatopea grafica che “straripa” dalla vignetta – ci restituisce in maniera sinestetica, tanto il gorgoglio della caffettiera quanto il profumo intenso del caffè che si diffonde nella stanza… L’altra scelta espressiva determinante del cartoonist è quella di non definire lo sfondo alle spalle della caffettiera. Non c’è fornello, non c’è cucina, nulla che possa distrarre l’attenzione del lettore dall’oggetto stesso. Quasi una esemplificazione visiva dell’adagio dello scrittore Erri De Luca (Tre cavalli, Milano, Feltrinelli, 1999):
A riempire una stanza basta una caffettiera sul fuoco.
La “cosa” non è più solo parte della scenografia drammaturgica, ma protagonista della drammaturgia essa stessa: il racconto di un’emozione disegnata attraverso un oggetto.
Caffettiere briccone ma anche sacre
La caffettiera “senza sfondo” di Pazienza ci ricorda come il fumetto, in modo particolare, abbia la capacità di modulare i segni nella raffigurazione, per rimuovere tutti i dettagli che non sono assolutamente necessari, calibrando le caratteristiche visive per esprimere un distacco dalle cose, o all’opposto una vicinanza…
Ad esempio, un’assoluta, e surreale, vicinanza tra l’oggetto e la sua identità di personaggio, la esibisce Coffyhead (1947), spietato gangster antagonista del poliziotto Dick Tracy. Coffyhead – nomen omen – con i suoi tratti fisici da “caffettiera umana” appartiene alla monumentale galleria di “cattivi”, a metà tra strada tra Cesare Lombroso e George Grosz, con cui il cartoonist Chester Gould ha popolato negli anni le avventure del suo personaggio.
Diversamente, in un’altra storia Disney, Paperino e il bricco briccone (1964) di Giampaolo Barosso e Luciano Gatto, assistiamo al distacco tra le proprietà figurative tradizionali della caffettiera e la sua rappresentazione grafica. L’oggetto protagonista del racconto disneyano potrebbe essere un bricco da caffè, ma anche una teiera… Barosso e Gatto, attraverso l’ambiguità “plastica” del manufatto, mettono alla berlina l’impazzimento della tecnologia multiuso che – in modo “masochista” per dirla alla Donald Norman – sacrifica ergonomia e semplicità.
In altre occasioni, lo stravolgimento figurativo può non riguardare tanto l’aspetto, quanto la funzionalità dell’oggetto. Così, una caffettiera perfettamente classica nella raffigurazione, esplodendo proietta l’eroe in un’altra dimensione nella visionaria saga di fantascienza di Roy Mann (1987) di Tiziano Sclavi e Attilio Micheluzzi. Micheluzzi con una felice intuizione grafica colora questa fanta-caffettiera di rosso, come le leggendarie scarpette di Dorothy nel mondo di Oz, a suggerire la dimensione catalizzatrice e, magicamente, folle dell’oggetto. Tanto folle, che in una surreale sequenza, il protagonista arriva a brandire la caffettiera in battaglia come fosse il Santo Graal, anzi (letteralmente) “la Sacra Caffettiera”!
La grande bellezza della caffettiera
Di tutta altra fantascienza, di tutte altre emozioni, si alimenta un’altra caffettiera, forse il più struggente oggetto che sia mai stato narrato attraverso un fumetto.
Parliamo de L’Eternauta (1957), la lunga saga in cui Héctor Oesterheld e Francisco Solano López immaginano la loro Buenos Aires (e la Terra intera) invase dagli alieni, metafora fantastica della feroce dittatura militare con cui l’Argentina, di lì a poco, si troverà a fare i conti. Ad un certo punto della storia, i due “partigiani” Juan Salvo e Alberto riescono a catturare uno degli invasori extraterrestri, solo per scoprire che egli stesso è succube di un’altra razza aliena, vera responsabile dell’invasione… Il personaggio, ormai in fin di vita, si ritrova seduto in una cucina con i due terrestri, ed è commovente la sua reazione notando una caffettiera sul tavolo.
Alieno: “Avvicinatemi quella scultura, per favore… nella grazia di quel collo vi sono secoli di arte.”
Alberto: “Non è una scultura… è una caffettiera…”
Alieno: “Ignora so cosa sia… forse un attrezzo domestico…Gli uomini si rendono conto di tutta le meraviglia che li circonda? Hanno idea di quanti mondi abitati ci siano nell’universo e che ben pochi sono quelli in grado di creare oggetti come questo?”
La vignetta centrale della tavola a fumetti, l’architrave narrativo e visivo dell’intera sequenza, è quello in cui l’extraterrestre soppesa nella mano, con autentica ammirazione, l’oggetto (e anche qui, fateci caso, come in Pazienza, lo sfondo scompare…).
La caffettiera disegnata da Francisco Solano-Lopez non è la Moka creata da Alfonso Bialetti, vera icona del design made in Italy, raccontata anche nel saggio di Chiara Alessi come “la macchinetta da caffè più fortunata della storia”. Eppure lo sguardo altro, messo in scena da Oesterheld e Solano López, eleva già questa modesta caffettiera napoletana a capolavoro dell’umano ingegno, prodotto di valore d’una intelligenza collettiva applicata alle cose. Come ha scritto Luca Vargiu, l’alieno coglie della caffettiera non solo il valore d’uso ma la valenza sociale e affettiva:
un oggetto capace di raccontare una storia…
Torniamo a quello da cui eravamo partiti e cui ho cercato di dare sostanza con la varietà degli esempi. Ciò che il fumetto esemplifica del design non è tanto – o solo – l’evidenza di una funzionalità delle cose nella nostra vita, ma il legame emozionale che finiamo per avere con le cose stesse, anche quelle, all’apparenza più banali. Si potrebbero fare altre riflessioni a riguardo, però la chiosa più efficace resta quella che lo stesso sceneggiatore, Hector Oesterheld, affida al narratore de L’Eternauta in chiusura di scena:
[L’alieno] Continuò a parlare. Sotto l’influenza delle sue parole il barattolo ammaccato del mate, le pentole sporche di fuliggine, lo sgangherato forno a carbone si trasformarono in oggetti unici, più preziosi che se fossero gioielli prelevati da una tomba egizia…
Nota bibliografica
Segnalo qualche lettura che mi ha aiutato a sviluppare il discorso, spero in modo sensato. Prima di tutto, ovviamente:
Alessi Chiara, Tante care cose, Milano, Longanesi, 2021
E poi…
Alessi Chiara, Le caffettiere dei miei bisnonni, Milano, Utet, 2018
Barbieri Daniele, Introduzione a Valvoforme e Valvocolori in “Flashfumetto.it”, consultabile al link: http://www.flashfumetto.it/approfondimenti/pagina/4/37/
Giannitrapani Alice, “La culturà del caffé attraverso pratiche e oggetti”, in “ArcoJournal”, consultabile al link: https://www.unipa.it/dipartimenti/cultureesocieta/master/gusto/.content/documenti/giannitrapani_cultu_19_6_03.pdf
Landowski, Erik, Marrone Gianfranco (a cura di), La società degli oggetti. Roma, Meltemi 2002.
Vargiu Luca, “L’eternauta, il ‘mano’ e la caffettiera. Elementi di estetica poco extra e molto terrestre” in “Medea. Rivista di studi interculturali” (V. 4 N. 1, 2018) consultabile al link: https://ojs.unica.it/index.php/medea/article/view/3156
Per quanto riguarda i fumetti citati, per la maggior parte parte ho fatto riferimento alla memoria da lettore, ma alcuni preziosi riscontri arrivano anche dal blog dell’esperto di caffè e caffettiere Lucio Del Piccolo che trovate a questo link: http://caffettiere.blogspot.com/