La signorina Else, secondo Fior
Su questo blog, dove mi occupo di letteratura e fumetto, parlo volentieri di questo adattamento di Arthur Schnitzler ad opera di Manuele Fior, che coglie particolarmente bene lo spirito dell’autore, in occasione della nuova edizione Coconino, del 2025, di quest’opera adattata da Fior nel 2017.
Arthur Schnitzler
Schnitzler (Vienna, 1862-1931) medico e scrittore austriaco, è uno dei più grandi nomi del Modernismo viennese, ma al tempo stesso un autore meno noto in Italia di altri classici sospesi tra Otto e Novecento. Di origine ebraica, era figlio primogenito di un celebre medico viennese, immigrato dall’Ungheria, che dopo una tenace ascesa sociale era giunto a vivere nel primo distretto di Vienna, davanti al Teatro dell’Opera. Arthur cresce così immerso nella miglior cultura mitteleuropea, tra musica e teatro, con gli artisti viennesi di spicco clienti affezionati del padre e frequentatori della sua casa. Lui stesso scelse la carriera del padre, laureandosi nel 1885 in medicina, come il fratello, lavorando poi nell’Ospedale viennese, occupandosi anche di psichiatria (egli teneva inoltre un diario accurato analizzando le proprie relazioni dall’età di 17 anni), per divenire poi assistente del padre al Policlinico della città, pubblicando articoli medici e dirigendo la rivista medica fondata dal padre.
Fu autore di un solo libro scientifico,“Sull’afonia funzionale e il suo trattamento mediante ipnosi e suggestione” (1889), passando poi alla letteratura con l’atto unico L’avventura della sua vita. In essa compare per la prima volta il personaggio di Anatol, che darà il nome ad un ciclo di atti unici. Alla morte del padre, nel 1893, lascia l’impiego ospedaliero e apre uno studio medico privato, portando in teatro “Amoretto” (1895) che gli dà notorietà.
Nel 1900 pubblica Il sottotenente Gustl, una novella che provoca scandalo e la sua successiva radiazione da tenente medico dell’esercito, a seguito dell’impietosa rappresentazione della vita militare fatta nel romanzo. Qui, per la prima volta nella narrativa di lingua tedesca, egli usa il monologo interiore, per descrivere lo svolgersi e l’evolversi dei pensieri dei personaggi.
Egli poi sposa la cantante Olga Gussmann (1903) dopo una relazione da cui era nato il figlio Heindrich (1902). Girotondo, dello stesso anno, crea nuovamente scandalo per la descrizione disincantata dei rapporti borghesi, scandalo che ovviamente si accompagna a un ottimo successo.
La grande notorietà e il successo che lo accompagnarono in vita provocarono un interesse per lui e la sua opera da parte di Sigmund Freud, che lo considerava una sorta di doppio, in un rapporto di reciproca ammirazione e distanza. Freud rimane colpito da come Schitzler avesse acquisito, per intuizione, conoscenze lontane dal senso comune dell’epoca, che a lui venivano solo da un grandissimo e difficile studio sul campo. In effetti, si tratta di autori di origine ebraica immersi entrambi nella stessa grande Vienna borghese del decadentismo, accomunati anche da una formazione medico-psichiatrica: Freud poi sceglierà la via della fondazione scientifica della disciplina della psicoanalisi, mentre Schnitzler continuò sulla linea letteraria.
Nel 1914 per la prima volta le opere dell’autore sono portate al cinema, un filone che culminerà nell’ultimo capolavoro di Kubrick, “Eyes Wide Shut” (1999), che adatta il suo Doppio Sogno (Doppelnovelle o Traumnovelle, del 1925), abbozzata già nel 1907.
Di poco prima di quest’opera, che oggi, a causa dell’omaggio di Kubrick, è la sua più famosa, abbiamo nel 1924 questo “La signorina Else”, di cui parleremo dopo.
Il 26 luglio 1928 la figlia adorata di Schnitzler, Lili, si suicida a Venezia, dove abita col marito italiano. È un atto inspiegabile e per il padre un durissimo colpo dal quale non si riprende. Dire che la signorina Else lo profetizzi è troppo: però, parla del profondo disagio psichico di una ragazza, coetanea all’incirca di Lili, immersa nell’ipocrisia della società borghese decadente. Tre anni dopo Schnitzler muore, a Vienna, per un ictus (1931).
Postuma uscirà la Novella dell’Avventuriero, già adattata a fumetti, di cui ho parlato qui:
La novella dell’avventuriero, a fumetti – Come un romanzo
Lo Spazio Bianco ha già parlato qui, inoltre, di questo adattamento di Fior:
Coconino presenta una nuova edizione de “La signorina Else” di Manuele Fior – Lo Spazio Bianco
L’adattamento di Fior.
Nella sua introduzione all’opera, “Sfumato Schnitzleriano”, Fior stesso chiarisce i principi che lo hanno guidato. Significativo già il titolo, nel suo riferimento allo sfumato, che è sia un tratto specifico del segno fumettistico di Fior, che ricorre spesso a un acquerellato e a un tratto privo di spigolosità evidenti, sia un tratto tipico dei racconti di Schnitzler, che procedono, come molti del periodo e dello stile decadente, per allusioni, accenni, creando inquietudine più col non detto rispetto a quanto va davvero in scena. L’incontro dei due sfumati è qui, va detto, perfetto: in particolare, trovo sia riuscito l’uso del colore da parte di Fior, calibrato accuratamente per restituirci atmosfere eleganti ma soffocanti, luci scintillanti dei luoghi dell’alta borghesia che però fanno stagliare, così, ancor più pesanti le ombre.
Fior nell’introduzione ricostruisce la richiesta dell’editore originario, Delcourt, di un classico a fumetti a diritti scaduti. La scelta di Fior ricade su Schnitzler, per una scelta di originalità maggiore rispetto a nomi più noti (a margine, in effetti, l’adattamento di classici a diritti scaduti è un fattore che fa sì che il fumetto possa dare davvero a queste opere una “nuova vita” libraria, rispetto a una semplice riedizione: e particolarmente encomiabile è dunque se autori ed editori scelgono testi meno noti, ridando loro una vitalità e magari spingendo il lettore ad avvicinarsi all’opera originaria).
Fior decide poi di adottare la grafica di Klimt come suo riferimento, compiendo per questo uno studio sull’anatomia più rigoroso rispetto ad altre sue opere interamente autoriali (come il celebre Cinquemila chilometri al secondo).
“La chiave della trasposizione di questo lungo racconto era un rallentamento impercettibile ma costante, un disegno serpentino che avrebbe dovuto stritolare il lettore tra le spire del cervello di Else”, spiega Fior, immergendosi in una estetica che pare rimandare molto al gusto decadentista.
A una pagina di romanzo l’autore ha fatto corrispondere una pagina di fumetto, senza storyboard (come da sua tradizione), accompagnando il monologo interiore della protagonista colto come forma letteraria congeniale alla trasposizione in fumetto.
“Se nel mondo esterno un evento trova una netta collocazione nel flusso temporale, nella mente di Else questo è preceduto e seguito da una specie di riverbero, una vibrazione oscillatoria che raggiunge il suo picco e poi si attutisce come un’eco.” Fior coglie bene la dissoluzione temporale che, molto più della dissolutezza morale, è il vero cardine del decadentismo. Il suo stile, e marcatamente in questo fumetto, riesce bene a evocare nel montaggio della tavola questa perdita di un centro della narrazione: la storia raccontata fluisce, non siamo affatto nel non-sequitur di certo sperimentalismo, ma fluisce mollemente, con mille anse causate da pensieri, ripensamenti, riflessioni. Uno sfumato leonoardesco, asserisce l’autore, che lasciano al lettore, se vuole, la responsabilità di un giudizio su Else, e su quanto lei stessa ci racconta, coi suoi pensieri, di sé (narratore, ovviamente, freudiano e infedele).
Non c’è moltissimo da aggiungere all’autoanalisi precisa operata da Fior, se non al limite evidenziare le tecniche molteplici, e usate abilmente, con cui raggiunge il suo scopo: le figure all’inizio appaiono dal bianco, come iniziassero ad apparire alla memoria. Poi si delinea, nello sfumato che abbiamo detto, l’ambientazione, in una doppia splash page, ma le vignette, pur in una griglia regolare, restano sfumate nei contorni, una tecnica che usualmente nel fumetto italiano delinea un ricordo. Ciò da al tutto, anche inconsciamente, l’effetto di una memoria sfumata e volutamente imprecisa.
La luce crepuscolare dell’esterno lascia il posto alle luci dello scintillante albergo altoborghese, ma anche queste luci in un giallo caldo e accogliente in realtà, come dicevamo, servono solo a stagliare più inquietanti le ombre di una borghesia corrotta.
La lettera introduce il conflitto che animerà tutta l’opera: la famiglia chiede ad Else di sacrificare sé stessa per ripianare il debito del padre (nell’introduzione Fior rivendicava di voler ridisegnare la scena della lettera per renderla più efficace. Non so se questa sia la nuova versione o la vecchia, perché curiosamente l’introduzione non chiarisce questo punto).
Fa subito la sua apparizione il Veronal, il sonnifero dei suicidi borghesi dal 1903 (anno di apparizione) agli anni ’30, quando venne sostituito. Non so se intenzionale, ma Fior lo mostra celando l’ultima lettera, in modo che ci appaia solo “Verona”. In questo modo il richiamo (voluto? Certo non poteva essere dichiarato) al suicidio sentimentale diviene forte, evocando Giulietta e Romeo e la loro tragedia veronese. La un amore contrastato dalle famiglia nobiliari, qui la famiglia altoborghese che, in bellissima forma ovviamente, chiede alla figlia di prostituirsi.
La narrazione procede poi col suo ritmo lento eppure sinuosamente incalzante. La griglia si fa inquieta e ondosa nella scena in cui Else pensa alla sua morte, con effetto di grande efficacia, che di fatto chiude la prima parte. Nella seconda, tutto prepara ed esegue “l’esaurimento nervoso” di Else, con grande efficacia scenica, grazie soprattutto, come già detto, al contrappunto di luci e colori che alternano una luce falsa e illusoria al buio profondo dell’anima di Else (e, in qualche modo, dell'”anima dell’Europa”). Tutto in un concerto di toni variamente malinconici che, al di là della riuscita dell’adattamento, producono immagini di grande bellezza.
Nota didattica e conclusioni
Per chiudere con la mia consueta nota didattica da insegnante di lettere alle superiori, l’opera si presta bene alla possibile lettura nelle superiori, più nella parte finale del percorso quando, tra fine di quarta e inizio di quinta, si affronta questo passaggio al Novecento.
Schnitzler è un autore che potrebbe aver senso affrontare soprattutto in un liceo linguistico dove si affronti la lingua tedesca: in questo senso, per la sua vicinanza a Freud, è un utile collegamento con autori che, nella letteratura italiana, sono stati lambiti dal tema della decadenza: tra quelli “obbligatori” (per convenzione: non c’è più un programma scolastico fisso ma solo indicazioni nazionali, come noto) si potrebbero collegare Pascoli, D’Annunzio, Pirandello tra i maggiori.
Ciò anche nel senso di una “spendibilità didattica” alla maturità, dove è richiesto di operare collegamenti tra materie: ma come al solito sottolineo che, a mio avviso, la richiesta del colloquio d’esame dovrebbe essere la guida di un metodo di lavoro in classe che vada in questa direzione del raffronto tra testi e forme espressive diverse, ove possibile, per la sua fertilità nello sviluppare la capacità di ragionamento critico dell’allievo.
Forse Schnitzler è un autore che potrebbe meritare uno studio anche dove, come nei licei psicopedagocico e sociale, si studia psicologia come materia e quindi si dà un risalto a Freud più ampio che nel consueto percorso liceale, dove esso è affrontato in filosofia (o, nei tecnici e professionali, se ne dà al limite un accenno introduttivo in letteratura, per capire i testi che sono suoi debitori spesso “per contrasto”: di Svevo e Pirandello in primis).
Nel caso, un vantaggio è anche la relativa brevità dell’opera di Schnitzler in questione, di cui si potrebbe proporre facilmente la lettura integrale e un confronto con l’adattamento effettuato (per la stessa ragione, ovviamente, l’opera potrebbe essere oggetto di approfondimento particolarmente accurato in un liceo artistico o un istituto grafico, ma più per la centralità generale che il fumetto può assumere in questi indirizzi come ponte tra letteratura e le materie artistiche).
A questo punto, un percorso didattico su Schnitzler non potrebbe fare a meno di inserire anche “Doppio sogno”, permettendo la visione dell’ultimo grande capolavoro di Kubrick, “Eyes Wide Shut”, in un confronto guidato che mostra come l’eredità del decadentismo è profonda sulla nostra cultura. O anche, in alternativa, uno dei molti adattamenti filmici della Signorina Else, che ha goduto, come ricordava lo stesso Fior, di una ricca tradizione adattativa.