Il Don Chisciotte di Celoni (e Totò)

Il Don Chisciotte di Celoni (e Totò)

Sono usciti l’altro ieri i premiati del Premio Coco di Etna Comics, dove ho il piacere di essere da tempo nella giuria presieduta da Alessandro Di Nocera. Un premio che si è caratterizzato nel tempo per essere uno dei premi italiani più legati alla scoperta di nuovi talenti o di nuove opere meritevoli. Il premio, mi piace sottolineare perché è la prima volta che ne parlo qui, si lega alla riscoperta di un talento quasi dimenticato dell’illustrazione e dell’umorismo italiano come Giuseppe Coco, nato nella vicina Biancavilla.

L’edizione di quest’anno ha tenuto fede, a mio avviso, alle aspettative, con un palmares di tutto rispetto. In particolare, mi fa piacere che si sia dato notevole spazio agli adattamenti dalla letteratura al fumetto (e non, sia chiaro, per via della mia presenza, poiché negli anni precedenti erano emerse altre tipologie di opera), un tema di cui mi occupo e che credo sia un ambito importante anche come “grimaldello” per far apprezzare appieno il fumetto anche in ambiti culturali dove non sempre è valorizzato a dovere (in primis, la scuola superiore, l’ambito in cui opero).

Non sono mancati ovviamente premi in altre direzioni: grandi conferme come Artibani come sceneggiatore e Tex Willer come serie; Eternity premiata da Meganerd e col premio alla colorista Adele Matera; apprezzo molto anche il premio speciale per il merito artistico a Francesca Ciriegia e quello per il Wow a Carmine Di Giandomenico (vedi qui per una disamina esaustiva).

 

 

Naturalmente, le opere premiate sono scelte per la loro qualità, a partire dall’incredibile lavoro di Milo Manara sul “Nome della Rosa” di Umberto Eco, lavoro che è stato premiato per l’eccezionale disegno (ne avevo accennato qui ma ora è l’occasione per scriverne più ampiamente).

In particolare, mi ha fatto piacere il premio come migliore opera per l’adattamento della biografia di Oriana Fallaci ad opera di Galeani e Cannatella, un lavoro difficile anche in ragione del personaggio, indubbiamente divisivo specialmente per gli ultimi pronunciamenti all’indomani dell’11 settembre 2001 (preparati da una già precedente evoluzione caustica del suo illuminismo radicale e combattivo). Ne ho scritto qui, in modo a mio avviso sufficientemente ampio, e non tornerò quindi su di esso.

 

 

Un terzo fumetto che può rientrare nell’ottica dell’adattamento è “Totò, l’erede di Don Chisciotte” realizzato per Panini Comics da Fabio Celoni come autore unico, categoria per cui viene premiato Ne ha scritto qui, per Lo Spazio Bianco, Federico Beghin, ai tempi dell’uscita.

L’opera è molto interessante, perché riprende un tentativo di Totò di portare al cinema l’hidalgo di Cervantes, dopo averlo portato a teatro nel 1935. Ma, nonostante il principe De Curtis abbia vantato quasi un centinaio di film in trent’anni di carriera, questa trasposizione non gli riuscì di concretizzarla. Il lavoro venne avviato tra 1948 e 1950, con un team di sceneggiatori che includeva anche Zavattini (tra il resto, con trascorsi fumettistici) e che godeva di un caricaturista allora molto in voga come Umberto Onorato per le locandine del film, che avrebbe dovuto girarsi in una Sicilia ricca di “vestigia spagnolesche” (dove oggi il fumetto tratto dal film perduto viene premiato…).

Il progetto denota indubbiamente un grande coraggio. Allora, come ricostruisce bene lo stesso Celoni nelle accurate note finali, Totò era visto con perplessità come cinema “disimpegnato” (nella percezione di una parte miope della critica), oggi costituisce giustamente un pilastro culturale di prima grandezza. Si va quindi a correre un rischio affrontando un “mostro sacro”, intoccabile: Celoni invece ha il merito di interpretare un Totò “suo”, e quindi assolutamente vitale, così come aveva fatto (diversamente, è ovvio, nelle scelte del segno) Andrea Pazienza nei suoi celebri omaggi.

 

L’interpretazione visuale di Celoni è oggettivamente molto brillante, con una sintesi per cui Totò resta Totò, ma viene anche gradualmente fuso al Cavaliere della Trista Figura che interpreta (similmente, eccelso è il lavoro su Aldo Fabrizi scelto come Sancho Panza). Gli inserti conclusivi che mostrano con dovizia di studi preparatori il processo per arrivare a questa sintesi sono molto interessanti al proposito.

La potenza del colore è poi uno dei punti di forza dell’albo, creando atmosfere assolate, spagnoleggianti, assolutamente fumettistiche. Vengono in mente, appunto, gli sgargianti colori primari degli albi a fumetti di Totò del 1953, sulla scia del successo del personaggio, che anche Celoni cita nel suo ricco dossier di ricerca.

 

 

Celoni realizza così, come egli dichiara, un “ponte tra cinema e fumetto”, contribuendo a rafforzare gli scambi tra questi due “gemelli diversi” nati nel lontano 1895 nella loro forma moderna (l’arte sequenziale è molto più antica). Ma in qualche modo nasce anche una triangolazione affascinante con la letteratura, dato che il capolavoro di Cervantes è, con l’opera di Shakespeare e coi grandi italiani del ‘300 e ‘500, il fondamento assoluto del canone occidentale. In particolare, come Pirandello aveva indagato nel suo saggio “L’umorismo” (1908), in Cervantes si fonda l’umorismo come distinto dal comico (ad esempio boccaccesco), come “sentimento del contrario”, commedia che si svela tragedia e viceversa.

L’Hidalgo è figura tragicomica per eccellenza, ma per certi versi l’umorismo di Totò è anche una ottima lettura della grandiosa lezione di Pirandello (di nuovo siciliano, anche se non etneo…): in particolare, la sua altissima lettura della Patente, nel 1954, nel film a episodi “Questa è la vita”. Quest’opera non è quindi solo una gemma preziosa, che Celoni riscopre e fa risplendere lustrandola col suo contributo artistico, ma segna un punto importante per capire la lettura di Totò e, alla fine, lo stesso Cervantes, almeno in una delle sue possibili, inesauste sfumature.

La valorizzazione dell’opera da parte del Coco è dunque a mio avviso particolarmente meritoria, e mi auguro contribuisca a confermarne l’apprezzamento da parte del pubblico.