What You See Is What You Get

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Wizzywig è una storia intrigante.

Wizzywig è una storia di hackers.

Wizzywig descrive la genesi della controcultura cyber dei decenni passati.

Per approssimazioni successive potrei avvicinarmi ad una descrizione fedele del fumetto di Ed Piskor, che Panini 9L ha pubblicato nel 2015. Tuttavia credo che parlare di Wizzywig in termini da quarta di copertina sia un grave torto all’opera, al suo spirito, soprattutto al mondo interiore che la storia di Kevin Phenicle ha risvegliato dentro di me.

Perché questo fumetto abbraccia il tentativo di mettere nero su bianco una storia d’amore per la tecnologia, ma soprattutto per la sfida. Una guerra dichiarata al concetto stesso di limite, a qualsiasi forma di invalicabilità.

wizzywig2Appartengo alla generazione illusa dalle promesse di sfida intellettuale dell’Intelligenza Artificiale, della Realtà Virtuale, dall’immaginario custodito da Wargames, Blade Runner e Il Tagliaerbe. Sono appartenuto a quella generazione di ragazzini che in apprensione attendevano davanti a un Commodore 64 che il suo Datassette caricasse il cibo poi macinato dai denti del suo processore a 8-bit, contemplandone la serie di righe multicolore come il velo custode di una realtà misteriosa ed esoterica.

Tutto il paese tira un sospiro di sollievo esagerato dopo la cattura di un HACKER

Wizzywig ha il merito di riconsegnarci quel mondo, quelle atmosfere.

Dietro ogni appassionato del mondo dell’Information Technology ci sono ore di studio da autodidatta, di discussioni tra amici, di contatti con persone lontane la cui distanza è nullificata dal modem in un modo infinitamente più sincero di quello – apparentemente veritiero – dell’odierna società iper-connessa.

Detesto il mare di sciocchezze che si sentono sulle promesse di mondo migliore provenienti dall’open-source e da tecnologie presunte libere, il cospirazionismo digitale mi dà l’orticaria, le diatribe sul tema ritrito di Windows vs. Linux mi annoiano mostruosamente. C’è altro di cui parlare, ed è molto più urgente.

Il tratto cartoonesco e “rotondo” di Ed Piskor riporta gli echi dello spirito irridente di Robert Crumb. Viola il vuoto delle scrivanie di cristallo delle grandi società di consulenza, i briefing incravattati delle Grandi wizzywig3Corporazioni, lo stress di manager che trascorrono le loro giornate a parlare al cellulare di tecnologie che non conoscono, e che gettano addosso a un carnaio di ingegneri sottopagati grane da risolvere – a qualsiasi costo – entro le date di consegna.

È tutto qui che si gioca il potere di Wizzywig: nella capacità di presentare la Scienza dell’Informazione secondo il suo spirito originale, alla società che più ossequiosamente ne è asservita ma che – per un coincidere di casualità e dolo – meno ne conosce la cospicua componente umana: divertimento, passione, creatività.

L’opera di Piskor introduce nel dipanarsi incalzante del mockumentary gli elementi della storia di formazione e della spy-story ma ha soprattutto un altro merito artistico: quello di sfruttare nel modo più proprio il carattere fumettistico per restituire lo spirito geek, da sempre sospeso tra il rigore della scienza e lo slancio dell’Arte, in una resa estetica che immerge l’imponenza del tema nel canzonatorio del tratto underground.

Wizzywig è anche una storia triste.

Oggi anche io lavoro nell’Ingegneria dell’Informazione, prostrato dalle nevrosi quotidiane di un settore dell’economia che – a torto o a ragione – ha voluto fondere scienza e taylorismo. Dello spirito che mi convinse a intraprendere questa strada non ho più granchè tra le mani, ma il libro di Ed Piskor mi ha ricordato che quella bellezza primitiva e avvincente quantomeno è ancora là, da qualche parte, assopita nella memoria collettiva.