What’s the Story (Marvel Glory)?

What’s the Story (Marvel Glory)?

“La storia dell’universo Marvel” è un viaggio a velocità spropositata attraverso migliaia di racconti: un album di memorie, che può far piacere sfogliare.
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Da qualche tempo la Marvel si racconta: già X-Men Grand Design di Ed Piskor addensava in poche centinaia di tavole tumultuose carriere sviluppatesi in migliaia di avventure. La storia dell’universo Marvel, affidata a Mark Waid (testi) e Javier Rodriguez (disegni) ha la medesima impostazione, prendendo però in considerazione tutto l’universo narrativo della Casa delle Idee (il pretesto narrativo è che alla fine dell’universo Galactus racconta a Franklin Richards le peripezie dei superumani: abbiamo quindi la più classica delle strutture a cornice, Fig. 1), cosicché l’autocelebrazione si espande su una scala cosmica: dall’inizio alla fine dei tempi, attraverso tutti i multiversi. Pensandola come una sorta di autobiografia della casa editrice, possiamo leggerla come una costruzione del sé, la messa in scena della propria identità che si intende promuovere all’esterno.

Nelle spettacolari tavole di questo volume non viene attuata alcuna problematizzazione, ma solo una disposizione ordinata di pezzi di valore, realizzando uno specchio nel quale ammirarsi e non un martello per romperlo. Non c’è un’indagine volta a capire la propria storia, ma solo la presentazione della storia come vorremmo fosse avvenuta, con eventuali adattamenti allo spirito del presente.

Nel suo essere un centone di pietre miliari (nel senso originario di marche di un percorso), questo volume è certo una miniera di curiosità e di riferimenti per l’appassionato, ma anche uno stimolo per uno sguardo ad ampia prospettiva sul supereroico, sui suoi modi di raccontare e sul suo senso profondo. Se, da un lato, il distacco dagli intrecci risulta in una galleria di immagini raccordate da didascalie, dall’altro la giustapposizione di tante situazioni offre l’occasione per focalizzare alcune riflessioni sul senso della narrativa supereroica, proposte a suo tempo in una serie di articoli. Possiamo insomma attraversare La storia dell’universo Marvel come un’immensa galleria di ritratti, organizzata in una sequenza che sacrifica i passaggi e le sfumature ma mette in evidenza la varietà delle manifestazioni dei personaggi di quell’universo.

Wonderwall (And after all, you’re my wonderwall)

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Fig. 1 Galactus e Franklin Richard alla fine dell’universo. Mark Waid, Javier Rodriguez, La Storia dell’universo Marvel, Panini Comics, 2020.

A volte le storie sono riflessi del mondo, altre volte proiezioni del mondo su una dimensione (etica, culturale, eccetera) che si discosta da quella che sperimentiamo ogni giorno. In questo senso, le storie ci offrono la possibilità di uscire dalla nostra esperienza quotidiana e confrontarci con l’insolito, l’inaspettato, il diverso. Una speciale potenzialità dei racconti si rivela tuttavia quando interagiscono fra loro, in un tessuto di relazioni che collega personaggi, temi, scenari in un universo narrativo: ne risulta una materia fertile, in grado di far emergere e nutrire altre storie. Detto altrimenti: gli universi narrativi sono autopoietici; costituiscono cioè un substrato che, interagendo con il mondo ordinario e con l’immaginazione degli individui che si confrontano con essi, consente la nascita di nuove storie. In un universo narrativo, cioè, ogni storia è nutrimento e catalizzatore del processo di formazione di nuove storie.

Che cosa raccontano le storie che nascono negli universi supereroici? C’è qualcosa che riescono a raccontare in maniera particolare, speciale, se non unica, per efficacia? Raccontano che la dialettica generatrice fondamentale (dei racconti, delle trame, delle esistenze) è fra ciò che resta uguale e ciò che varia: che l’esistenza è la modulazione di una portante, che tutto può cambiare e che questo cambiamento è l’energia ultima, mentre ciò che resta uguale a se stesso o l’ipotetico “stato originario“ sono solo un riferimento ideale che serve a misurare il cambiamento stesso (ma è una misura qualitativa, non certo quantitativa!).

Raccontano che Bene e Male esistono, ma sono intrinsecamente legati fra loro, che questa commistione genera le vicende e si manifesta specificatamente attraverso i mutamenti di identità. Metafora utile: come la luce di fluorescenza viene dalla transizione di elettroni fra stati a energia diversa, così le storie e le emozioni nascono dalle transizioni dei profili dei personaggi fra i tanti stati possibili. Perché la natura profonda del supereroe non sta nel suo potere (che è una sua caratteristica funzionale) ma nella sua capacità di poter essere tante personalità distinte. E non conta la durata di quella specifica personalità, la lunghezza dell’arco narrativo che la mette in scena, quanto il cambiamento di stato; i gimmick dei cloni, delle incarnazioni, delle sostituzioni da parte di mutaforma o di doppelgänger da altri universi sono i modi standard attraverso i quali il racconto supereroico mostra una transizione di identità, il passaggio del personaggio a uno stato diverso del sé.

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Fig. 2. Mystique e Destiny: il riconoscimento del loro amore da parte della casa editrice è un buon segno dei tempi. Mark Waid, Javier Rodriguez, La Storia dell’universo Marvel, Panini Comics, 2020.

Mettendo da parte le metafore, la successione di res gestae di questa Storia ci spinge a seguire un’altra domanda: se uno dei motori delle storie è la dialettica ordinario/straordinario, che cosa è l’ordinario supereroico? Seguendo la suggestione di questa parata di momenti notevoli, una risposta interessante è che l’ordinario non sia un particolare stato, ma una (la?) sequenza di precedenti (nel senso processuale del termine) alla quale uno specifico racconto si collega: quindi non una condizione stabile o attesa ma una narrazione che definisce il contesto per la nuova vicenda. Se vogliamo, si tratta di una forma di continuity selettiva: l’estrazione dal coacervo di vicende di un sottoinsieme in grado di mettere in moto e dare un senso al nuovo racconto, che a sua volta potrà dare in retroazione un senso ai propri precedenti (questo implica la possibilità della compresenza di tante continuity, come se ogni racconto fosse uno snodo in una sorta di cladogramma narrativo). Al di là delle loro differenze, le transizioni di identità e la lettura attraverso precedenti contribuiscono alla strutturazione dell’universo narrativo, nella misura in cui ampliano o modificano una macrotrama o il profilo di personaggi. Casi esemplari dell’universo marvelliano ai quali applicare queste prospettive sono alcune vicende articolate quali quelle che riguardano la Fenice, l’indegnità di Thor, Nick Fury come Man on the Wall o di Loki come Agente di Asgard – peraltro esclusa dalla selezione di Waid.

Don’t Look Back in Anger (Slip inside the eye of your mind)

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Fig. 3. Le decine di pagine di annotazioni sono galleria di ricordi e miniera di spunti di riflessione. Mark Waid, Javier Rodriguez, La Storia dell’universo Marvel, Panini Comics, 2020.

La storia dell’universo Marvel è una sequenza di meraviglie, personaggi, luoghi, fantasie. Uno sguardo dall’alto che salva alcune macrotrame e distilla luoghi notevoli, un viaggio turistico, una successione di ganci per memorie di appassionato o moti di stupore. Muoversi fra le sue tavole è come muoversi fra le sale e i corridoi di una mostra con una guida che ci propone un percorso cronologico, che magari possiamo seguire in prima lettura, ma che, nelle successive visite molto probabilmente varieremo in base all’interesse del momento. Come ogni mostra, tuttavia, nasce da una serie di scelte, in particolare che cosa mostrare e come mostrarlo.
La costruzione del sé cui accennavamo all’inizio è esattamente questo processo di elaborazione e lo stato di ogni suo passo è frutto di adattamenti, inserimenti, rimozioni. Se, da una parte, questa Storia dichiara l’enormità dell’Universo Marvel, la sua assoluta e tenace mancanza di misura, dall’altra resta reticente sulla sua capacità di colonizzare qualsiasi ecosistema narrativo, nutrendosi di qualsiasi stimolo provenga dal mondo esterno. Il risultato è un luogo confortevole, dal quale sono state tolte le macchie – un po’ come quando nelle gallerie di ritratti il quadro esplicativo di qualche personaggio non dice che fama e ricchezza gli sono venuti dal commercio di schiavi. Ecco che il Vietnam nel quale mosse i primi passi Tony Stark (Iron Man is Born, Tales of Suspence #39, 1963) è ormai diventato il Siancong e così ritroviamo ripulita a dovere quell’intersezione fra mondo ordinario e narrativo. Una pulizia che riscrive il passato per evitare il confronto con esso e che vediamo proiettata anche nella dominante chiara dei toni cromatici, che, fra l’altro, isola il racconto dalla cornice narrativa, caratterizzata dall’oscurità (Fig. 1). Ecco quindi un punto dove i modi di lettura si separano: lo storico cercherà nei racconti originali l’ideologia del tempo; il lettore, invece, deve accettare le riscritture, poiché parte del gioco. È importante notare che questa riscrittura non utilizza una ret-con o, almeno, non è una ret-con canonica: in questo caso avremmo avuto una storia che avrebbe spiegato come il Vietnam fosse diventato il Siancong. In assenza di quella storia siamo di fronte a una riscrittura che mostra la velleitarietà del vanto Marvel di muovere le proprie storie nel mondo reale, ovvero l’incapacità di sostenere quella responsabilità. Di altro segno sono invece le immagini dedicate a Mystique e Destiny, che rendono esplicito un legame sentimentale di lunga data, per molti appassionati ormai dato per scontato, ma che comunque segna e ribadisce il fatto che nell’universo supereroico l’amore ha cittadinanza e ugual dignità in tutte le sue espressioni (Fig. 2).

Champagne Supernova (Where were you when we were getting high?)

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Fig. 4. Il matrimonio fra Scott Summer e Jean Grey nella versione di Waid e Rodriguez. Mark Waid, Javier Rodriguez, La Storia dell’universo Marvel, Panini Comics, 2020.

La ricchezza originale è testimoniata nelle annotazioni, una sezione per ciascuno dei sei capitoli, dove, oltre ai riferimenti bibliografici, troviamo quelli figurativi. E proprio in queste pagine, programmaticamente composte da pillole di erudizione, che l’universo Marvel esplode nella sua multi-diversità. Alla loro realizzazione ha collaborato un ampio staff di ricerca, composto da Jeff Christiansen, Anthony Cotilletta, Carl Farmer, Mark Fichera, Kevin Garcia, Daron Jensen, Rob London, Chris McCarver, Mike O’Sullivan, Marc Riemer, Jacob Rougemont e Stuart Vandal, il tutto impaginato seguendo il design di Stacie Zucker (Fig. 3). Paradiso dell’appassionato, che qui può felicemente perdersi fra nomi, testate, numeri e immagini, che siano a lui particolarmente care o iconiche presso la grande comunità dei lettori. Ecco allora che proprio il contrasto fra l’omogeneità delle tavole del volume e la varietà delle immagini nelle annotazioni segnala il ruolo della caratterizzazione visuale nella costruzione dell’universo narrativo della Casa delle Idee (stessa considerazione vale per un qualsiasi universo narrativo stratificato).

L’uniformità data dalla matita di Rodriguez evita certo un rischioso caos visuale, ma schiaccia tutte le vicende entro un unico sguardo. Nel tempo, le mutazioni dei personaggi sono state associate a rappresentazioni visuali che portavano con sé parte del significato e che separavano nettamente ogni singolo stato, ogni singola fase dell’identità dei vari protagonisti, rafforzando il legame alla contemporaneità attraverso l’interpretazione grafica e visuale. Questa uniformità visiva costruisce invece una sorta di flusso cronologico astratto che sposta tutte le vicende in un continuum ideale, non toccato dalle vicende mondane; rende immediatamente percepibile il distacco delle vicende superumane dal mondo ordinario e dai mutamenti che lo animano. Il significato di questa separazione è che i due mondi scorrono paralleli, e che l’unico punto di contatto significativo è il momento nel quale l’umano diventa superumano: questa è la transizione fondamentale, che non per niente viene spesso rivisitata, riletta, riscritta e anche esplorata nei casi in cui, per qualche motivo, avviene in senso opposto, dal superumano all’umano.

Un utile e divertente esercizio è allora quello di confrontare le immagini proposte nelle annotazioni con le corrispondenti del corpo del volume: quello che qui è un flusso omogeneo rivela innanzitutto una miriade di tonalità emotive e di atmosfere. Si veda, per fare un esempio, l’immagine del matrimonio fra Jean Grey e Scott Summers, in cui l’originale irradia gioia e senso di comunità (Fig. 3): la gioia nasce dalle tonalità accese dei colori, dai volti dei personaggi, visti frontalmente; il senso di comunità viene dalla presenza, dietro i due sposi di tanti loro compagni di avventura, ogni volto caratterizzato individualmente, e dallo stesso sviluppo orizzontale della vignetta, che letteralmente abbraccia tutti in un unico sguardo. La versione rivista, invece, è una coppia di immagini alte e strette, disposte in verticale: quella superiore mostra Jean e Scott, soli, su uno sfondo bianco; sotto di loro la torta nuziale, così che l’impressione trasmessa è che i due siano non le persone ma i loro pupazzetti: la felicità condivisa (se vogliamo fuori misura) dell’originale diventa momento privato ma forse meramente decorativo nella rivisitazione (Fig. 4).

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Fig. 5. Arriva Spidey. Mark Waid, Javier Rodriguez, La Storia dell’universo Marvel, Panini Comics, 2020.

L’obiettivo di sintesi narrativa delle tavole è risolto amplificando la caratterizzazione illustrativa delle immagini, al punto che il volume può essere ampiamente goduto anche soffermandosi ogni volta su una singola pagina, percorrendola con lo sguardo alla ricerca dei riferimenti contenuti. A fare da guida in questa esplorazione è la composizione della tavola, che stratifica o giustappone citazioni in modo tale da diventare qualcosa di simile alle antiche narrazioni delle storie bibliche che possiamo ancora vedere sulle pareti di tante chiese: una sequenza di scene estrapolate dal racconto originale, che al tempo stesso ricorda e introduce a quelle narrazioni fondamentali. Il didascalismo è quindi frequente e fa addirittura aggio sulla spettacolarità dei montaggi degli elementi. La varietà nella composizione e nell’interpretazione dei personaggi è un omaggio ai tanti artisti che nel tempo hanno sperimentato le varie soluzioni visive e non una ripresa filologica delle stesse: sia perché queste costruzioni non hanno natura narrativa, ma, paradossalmente, di mera efficienza dell’uso dello spazio della tavola sia perché, soprattutto, non mettono in evidenza cambiamenti e discontinuità. Insomma, siamo di fronte a un omaggio virtuosistico che smarrisce la forza di tante rotture visive che hanno caratterizzato il percorso del supereroico sostituendolo con l’idea di un percorso lineare.

Non mancano tuttavia momenti nei quali la raffigurazione ha una connotazione narrativa: ecco quindi la tavola che racconta l’origine di Spider-Man (Cap. 3 – Fig. 5), quelle dedicate al ritorno del clone di Spidey (Cap 4), ai Thunderbolts (Cap. 5), al ritorno di Jessica Jones (Cap 5), alla vicenda di House of M (Cap. 5, forse la tavola più suggestiva, con la sua struttura ispirata alle composizioni surrealiste, che al lettore italiano di una certa età richiamerà immancabilmente alcune copertine di Karel Thole – Fig. 6), a quella dello scisma degli X-Men e alla Fenice Nera. Sono tavole che si focalizzano su un preciso evento o saga, che isolano un racconto specifico: i singoli elementi sono ancora referenti al racconto originale, ma sono collegati all’interno della tavola stessa (poiché parte della stessa vicenda) ed è questo collegamento che conferisce valore narrativo alla composizione.

Cast no Shadows (Bound with all the weight of all the words)

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Fig. 6. House of M in una tavola. Mark Waid, Javier Rodriguez, La Storia dell’universo Marvel, Panini Comics, 2020.

Che cosa si perde: la varietà. Waid e Rodriguez definiscono UNA storia e le danno una rappresentazione omogenea. Perdiamo la ricchezza visuale che viene dallo stratificarsi e intrecciarsi di stili diversi, marche del tempo e dell’autorialità. In contrasto all’approccio sensato nell’ambito dell’operazione, addirittura necessario per mantenerne una leggibilità, resta un processo di omogeneizzazione e deprivazione narrativa. Ogni tavola condensa intere saghe in un’immagine e qualche didascalia, che fungono da gancio per la memoria, da riferimento e l’impatto emotivo specifico è eventualmente innescato dalla memoria del racconto originario.
Perdiamo gli intrecci, tutto ciò che rende i personaggi qualcosa di ben più che figurine stereotipate e maschere.

La selezione del volume espelle momenti fortemente caratterizzati: pensando solo agli ultimi anni non abbiamo ad esempio l’Hawkeye di Matt Fraction e David Aja o il Daredevil dello stesso Waid. Perdiamo non tanto la ricchezza delle voci e delle modalità di raccontare, quanto la diversità che quei racconti facevano emergere nel mondo dei personaggi attraverso il loro modo di raccontare. In questa prospettiva, quelle assenze inducono a tornare alle opere lasciate fuori, per capirne meglio ciò che le rende inadatte o difficili da integrare in questa epitome marvelliana.

Che cosa restituisce: lo stratificarsi degli eventi, l’eterno ritorno delle crisi, un preferenziale rapporto con le trame cosmiche e la preponderanza della ricerca del meraviglioso rispetto al contatto con la realtà: questo d’altra parte falsa il rapporto con il contesto sociale e culturale che contraddistingue il supereroico e rispetto al quale la casa editrice è sempre stata molto aperta. In quest’ottica, la compressione e liofilizzazione della storia Marvel mostra il suo carattere di interpretazione, poiché valorizza nettamente un filone (quello del fantastico) rispetto a quello dell’immersione nel quotidiano e sposta molto ai margini l’umanità dei personaggi. Un po’ come dire che, sì, il Quartier Generale dei Fantastici Quattro è in un palazzo al centro di New York, ma il vero teatro delle loro azioni è il cosmo.
Il finale, poi, è un omaggio alla continua capacità di ri-generazione degli universi narrativi supereroici: Galactus passa il testimone a Franklin ma l’universo non finisce, semplicemente scompare per rigenerarsi. Ci saranno altre storie, altre meraviglie, perché ogni fine è solo un modo per dare loro nuova energia e nuova vita.

In definitiva, La storia dell’universo Marvel funziona come quegli album di fotografie che si tengono a portata di mano e si sfogliano, in ricerca mirata o con una certa serendipità, per risvegliare memorie o per verificare una curiosità o un dubbio improvvisi. Con questo ruolo, può trovare il posto nella libreria dell’appassionato, ma per chi sia estraneo a quell’universo questo volume rischia di essere poco più di un caleidoscopio pieno di fantasmagoriche schegge colorate. A questo proposito merita sottolineare la differenza di formato fra la Treasury Edition originale (sulla quale abbiamo condotto questa analisi) e quella italiana: 34×22 cm la prima, 26×17 cm la seconda: chi cercasse la gioia dello sguardo può tenerne conto.

Abbiamo parlato di:
La storia dell’universo Marvel
Mark Waid, Javier Rodriguez, Alvaro Lopez, VC’s Joe Caramagna
Traduzione di Vania Vitali e Andrea Toscani
Panini Comics, 2020
240 pagine, cartonato, colori, 27,00 €
ISBN: 9788891276186

Post Scriptum
Ringrazio i True Believers de Lo Spazio Bianco, in particolare David Padovani, per l’aiuto e la puntuale correzione di questo pezzo: la loro conoscenza delle vicende mi ha dato spunti e aiutato a evitare errori materiali. La responsabilità di quanto scritto e di eventuali errori residui resta ovviamente mia. I titoli dei paragrafi sono dedicati a Giuseppe Lamola.

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