Werner, per presentarti ai nostri lettori, puoi raccontarci come è nata la tua passione per il fumetto e da quanto tempo lavori nel settore dei comics?
Bé, in principio fu Barbapapà, poi venne Topolino, di cui mio padre aveva una discreta collezione… e all’età di 12 anni rimasi folgorato dal mio primo Dylan Dog (il n.8, “Il ritorno del mostro”), prestatomi da un amico perché gli disegnassi la copertina. Da allora in poi a chiunque mi chiedesse che cosa volevo fare da grande ho sempre risposto: “Il disegnatore di fumetti!”.
Poi, finiti gli studi al liceo artistico, ho avuto la fortuna di conoscere Maurizio Mantero, e tramite lui ho iniziato a muovere i primi passi nel mondo del fumetto professionale, anche se in realtà la prima vera esperienza lavorativa risale al ’99. Insomma, posso dire che ho iniziato nel secolo scorso…
Il tuo esordio nel mondo dei fumetti risale al 1996, anno in cui hai vinto un concorso organizzato dall’Assessorato alle Politiche Giovanili del comune di Genova. Raccontaci di quell’esperienza.
Sì, è vero. Era un concorso per giovani esordienti e prevedeva la realizzazione di una storia breve sul tema “Stop alla bomba con un balloon”. Era il periodo in cui la Francia stava effettuando i test atomici sull’isola di Mururoa e, sull’onda del dibattito pubblico che si era riaperto a proposito del nucleare, il comune di Genova aveva organizzato questo evento. In palio c’era la pubblicazione per i primi dieci classificati (a pari merito) e l’esposizione a Palazzo Ducale.
Al di là del tema “politico” questo concorso ha rappresentato per molti l’occasione per confrontarsi per la prima volta con una storia completa. Anzi, a pensarci bene, io prima di allora non avevo mai realizzato neanche una tavola completa!
Mi viene da sorridere vedendo certi errori e ingenuità commessi, ma in fondo lo scopo di questi eventi è proprio quello di dare la possibilità agli esordienti di mettersi alla prova ed è un peccato che non si sia più ripetuto negli anni successivi.
Sei originario di Genova ma hai scelto di vivere in Spagna: com’é l’ambiente fumettistico spagnolo? Trovi ci siano più differenze o più punti in comune con quello italiano?
In Spagna ci sono venuto dieci anni fa (accidenti, sono già 10!) a trovare alcuni amici che facevano l’Erasmus…e poi si sa come vanno queste cose: ho conosciuto una ragazza e ho incominciato ad andare avanti e indietro tra qui e l’Italia… Il risultato è che in Italia mi chiamano “lo spagnolo”, mentre qui sono “el italiano”, continuo a stare con un piede qua e uno là.
Per quanto riguarda il panorama fumettistico, a dire la verità, non c’é molto di autoctono: nelle edicole si vedono solo comics americani e qualche manga, oltre a ristampe dei grandi classici tipo Rip Kirby e Prince Valiant (qui chiamato “El principe Valiente”) curate da DeAgostini. Di fumetto popolare non se ne vede.
Nelle librerie c’é qualcosa di più, soprattutto lavori dalla grafica sperimentale, graphic novels e pubblicazioni di piccoli editori. Questo secondo me dimostra che sotto sotto la brace è ancora accesa, ma purtroppo la grande scuola spagnola degli anni ’80 sembra svanita… Autori come Alfonso Font, José Ortiz, ecc. campano lavorando per il mercato straniero, francese e italiano soprattutto.
Gli “aficionados” comunque ci sono e sono tanti, lo dimostra il fatto che anche la fiera del fumetto, che da qualche anno si organizza a Granada (città dove vivo), ad ogni edizione si ingrandisce sempre di più…speriamo che oltre ai soliti Spider-man e Dragon Ball riesca ad emergere anche qualche prodotto locale!
Che genere di fumetti ti piace leggere?
Io sono cresciuto con il fumetto bonelliano: Dylan Dog, Martin Mystere, Nick Raider, Ken Parker, Julia… Continuo a leggere molte delle serie pubblicate in Italia (quando sono in viaggio, mezza valigia è occupata dai fumetti), con un unico problema: in questi anni ho accumulato un po’ di ritardo sulle uscite e attualmente sto leggendo gli albi del 2005…
Le mie preferenze quindi vanno al fumetto popolare italiano, che pur nei limiti imposti da una produzione seriale e senza l’ausilio del colore, raggiunge a volte livelli eccellenti. Uno dei miei personaggi favoriti è Magico Vento, mentre al di fuori del panorama Bonelli, il mio preferito è sicuramente Dago (quello pubblicato su Lanciostory e che vede ai disegni il grande Carlos Gomez). Mi affascinano le ricostruzioni storiche, vedere come l’avventura disegnata riesce a fondersi con la realtà storica di epoche passate, facendo rivivere ambientazioni e atmosfere che altrimenti solo il cinema potrebbe ricostruire (ma con costi di produzione molto più elevati!).
Per il resto, cerco di guardarmi in giro e di avere una visuale il più aperta possibile, senza disdegnare nessun genere, dai volumi francesi ai manga, a cose graficamente anche lontane dai miei gusti, ma che comunque possono essere in grado di comunicare delle emozioni e dare nuovi stimoli. In questo momento sto facendo un tuffo indietro nel tempo, rileggendo “Little Nemo in Slumberland” di Winsor McCay. Un capolavoro di grafica e fantasia.
Hai un autore preferito che ti ha particolarmente influenzato?
All’inizio della propria carriera è normale appoggiarsi in qualche modo agli autori che graficamente ti ispirano di più, anche copiando e cercando di assimilare così qualcosa di quella bravura che sembra inarrivabile e che, in realtà, è molto spesso il frutto di anni e anni di esperienza. I miei “maestri” in questo senso sono stati Alfonso Font, appunto, e poi (in ordine sparso) José Ortiz, Ivo Milazzo, Alex Toth, Jordi Bernet, Giorgio Trevisan, Goran Parlov, Angel Fernandez… ed è meglio che mi fermi qui, perché la lista completa è piuttosto lunga. Cito ancora un paio di classici da tenere sempre a mano: Alex Raymond e Hal Foster.
Di recente, oltre al blog ( www.wernermaresta.blogspot.com) e a myspace ( www.myspace.com/wernermaresta), hai deciso di mettere online il tuo sito web (www.wernermaresta.com): questa scelta risponde al desiderio di farsi conoscere maggiormente e di confrontarsi con i tuoi lettori?
Sì, sicuramente. L’idea iniziale era quella di avere una mia pagina accessibile a chiunque volesse vedere i miei lavori o sapere qualcosa in più su di me. Una specie di biglietto da visita virtuale, insomma. Così, più o meno un anno fa, ho iniziato a costruire il mio sito, partendo da zero e studiando programmi di grafica web di cui non sapevo nulla. Mi piaceva l’idea di poter fare tutto da me, senza dipendere da terzi. La cosa pero’ andava per le lunghe, molto spesso ci lavoravo la notte a tempo perso, così nel frattempo ho deciso di aprire il blog. Poi un amico mi ha cantato le lodi di myspace, e mi sono buttato anche lì. Adesso finalmente ho messo online la pagina… Sono comunque tre cose molto diverse tra loro e mi piace portarle avanti tutte (tempo permettendo).
Sul finire degli anni novanta hai iniziato a collaborare con i disegnatori della serie Julia. Che ricordo hai di quel periodo?
Molto bello. Fu la mia prima vera esperienza lavorativa, una specie di battesimo del fuoco, se vuoi. È dove finisce il vago sogno di diventare disegnatore di fumetti e comincia finalmente il lavoro vero e proprio, con i suoi tempi, le sue difficoltà… ma anche le sue soddisfazioni. Per un paio d’anni mi sono trasformato in pendolare. Tutte le mattine mi univo alla massa di lavoratori che affolla i treni per raggiungere fabbriche e uffici del ponente genovese e andavo a casa di Valerio Piccioni (che allora era in trasferta a Genova per iniziare la sua collaborazione sulle pagine di Julia). All’inizio sono stato sicuramente più un peso che un aiuto, poi col tempo ho iniziato a rendermi utile: squadrature, lucidature, sgommature… insomma, dài la cera togli la cera, ma ogni giorno imparavo qualcosa in più. Poi sono stato ‘promosso’ ed ho iniziato a fare qualche sfondo a matita, qualche panoramica, alcuni personaggi secondari…
E infine arrivo’ Enio Legisamo’n dall’Argentina, che io già conoscevo per i lavori pubblicati dall’Eura. Lavorare gomito a gomito con un disegnatore del suo calibro è stata una delle cose migliori che potesse capitarmi.
La revisione finale del lavoro da parte di Giancarlo Berardi era ogni volta come un esame di maturità, ma alla fine tra noi si era instaurato un ottimo rapporto d’amicizia. Poi Valerio torno’ a Roma, Enio in Argentina… ed io in Spagna!
Vanti una lunga collaborazione con Stefano Raffaele su progetti diversi (Arkhain, Fragile, Hawkeye): raccontaci come è iniziato questo sodalizio artistico e se conti di ripeterlo in futuro.
Stefano l’ho conosciuto nel 2000 tramite Lorenzo Calza, che allora iniziava a scrivere per Julia ed anche lui era in trasferta a Genova. Da un po’ di tempo stavano portando avanti il progetto Arkhain, ma per varie ragioni avevano accumulato un certo ritardo nelle consegne. Così mi propose di collaborare con lui alle matite ed accettai senza pensarci due volte. Durante la lavorazione di Arkhain incontrai Stefano una sola volta. All’inizio questo del lavoro a distanza era quasi solo un’utopia, ma col tempo e l’enorme sviluppo della rete e delle sue possibilità, il sogno è diventato realtà. Con Stefano poi abbiamo realizzato altri lavori (incontrandoci anche di persona) e abbiamo un progetto in comune che per il momento è rimasto chiuso in un cassetto. Appena ritroviamo la chiave…
é evidente che hai svolto una lunga gavetta: per molto tempo, il tuo è stato un lavoro di supporto ad altri autori. Come hai vissuto questi momenti? Ti ha pesato rimanere nell’ombra?
All’inizio non mi sono assolutamente posto il problema, anche perché il mio obiettivo principale era quello di imparare il mestiere e magari iniziare a guadagnarci anche qualcosa. Molto spesso gli autori esordienti si trovano a pubblicare materiale ancora acerbo per la fretta di vedersi pubblicati e poi gli rimane sulle spalle una pubblicazione di cui loro stessi si vergognano. Pero’, in fondo, ognuno si fa strada come può.
Io forse sono passato all’estremo opposto, anche perché il salto dalla collaborazione anonima ad un lavoro tutto tuo non è facilissimo. Ti senti pronto a partire, ma nessuno ti conosce ed è difficile trovare un editore che si affidi ad un ‘signor nessuno’. Cerchi di proporti, costruisci progetti da spedire in giro e le risposte (quando arrivano) sono sempre negative. Poi, quando sei sull’orlo dell’esaurimento, e non sai se continuare a dare testate ai muri o dedicarti ad altro, il ‘caso’ ti dà una mano…
Mi ha molto colpito la tua capacità di passare con disinvoltura da storie religiose (La vita di Giovanni Paolo II a fumetti e La vita di San Riccardo Pampuri a fumetti) a storie decisamente più profane come il fumetto erotico Penny Rogers-Vecchie pietre (storia breve pubblicata sulla rivista Coniglio e con la quale hai vinto il concorso X-Comics 2005). Hai ricevuto delle critiche per queste tue scelte così agli antipodi?
Ecco, appunto. Il ‘caso’.
Penny Rogers e il volume di Giovanni Paolo II sono arrivati quasi contemporaneamente. Quando io avevo appena consegnato le tavole per il concorso, mi è arrivata la proposta di realizzare la biografia del papa appena scomparso. Accettai subito, anche perché i tempi erano piuttosto stretti, e il mese successivo venni nominato vincitore del concorso erotico.
Comunque, al di là del caso, mi piace l’ironia di tutto questo. Non vedo una contraddizione nel pubblicare fumetti religiosi e fumetti erotici. Sono due cose separate, chi legge l’uno non legge l’altro. Un attore può interpretare in un film un missionario e in un altro uno squilibrato (penso per esempio a Robert De Niro in “The Mission” e “Taxi Driver”) e nessuno si scandalizza. Perché per un disegnatore non dovrebbe essere lo stesso? Per il momento comunque non ho ricevuto critiche in questo senso.
Molti tuoi colleghi non avrebbero mai accettato di disegnare la biografia di un papa o di un santo: come valuti i pregiudizi nei confronti del fumetto cattolico?
Il fumetto a tema religioso ultimamente è in espansione. Evidentemente qualcuno si è accorto del potenziale comunicativo di questo mezzo, e ha deciso di sfruttarlo.
In questo non ci vedo nulla di male, sempre che non diventi pura propaganda fine a sé stessa e che si proponga con materiale di un certo livello. Comunque ognuno ha le proprie idee e pone anche i propri paletti. Non è detto che chi realizza un fumetto di questo genere sia per forza un cattolico fervente. Se poi una persona (disegnatore o meno) sente che la realizzazione di un certo lavoro è incompatibile con la propria etica e le proprie convinzioni, penso sia giusto che non lo accetti. Questa decisione pero’ dovrebbe essere il risultato di una riflessione personale e non di una scelta dettata dalla convenienza o dal timore che possa non essere condivisa da chi ci sta intorno.
Io mi sono trovato a pensare che effettivamente la realizzazione di albi a tema religioso avrebbe potuto incollarmi una sorta di etichetta, che magari mi avrebbe reso più difficili eventuali passi in altre direzioni. In realtà non è stato affatto così, anzi, le cose che ho pubblicato sono servite come biglietto da visita anche per lavori di genere ben diverso.
E poi c’é da dire che una volta accettato l’incarico, l’approccio deve essere assolutamente serio e professionale, qualunque tema tratti la storia. Affrontando la cosa in questo modo, documentandosi su ciò che si deve disegnare e cercando i giusti riferimenti (in foto, film e perché no anche nei fumetti), da ogni lavoro c’é qualcosa di nuovo da imparare e non è mai tempo sprecato.
Per l’edizione americana di The life of Pope John Paul II… in comics! (Papercutz, 2005) hai ricevuto una nomination al Benjamin Franklin 2007 Awards come best graphic novel: che reazione hai avuto quando l’hai saputo?
Mi piacerebbe rispondere che sono stato piacevolmente sorpreso dalla notizia, comunicatami per telefono da una simpatica segretaria, che inoltre mi informava della possibilità di assistere alla premiazione e alloggiare per un paio di giorni in hotel a New York a spese degli organizzatori… ma in realtà non è successo nulla di tutto questo e ho scoperto per caso la nomination navigando su internet. Ovviamente ho provato una certa soddisfazione vedendo che il mio (primo) lavoro aveva ricevuto tanta attenzione, pero’ non posso nascondere una punta di delusione per non esserne stato informato. Se ci saranno altre occasioni spero che gli autori verranno tenuti un po’ più in considerazione, comunque non cerco la polemica con nessuno. Quello ormai è un lavoro finito, e preferisco guardare avanti!
Come ti sei trovato a lavorare sulle sceneggiature di Alessandro Mainardi (scrittore di entrambe le storie La vita di Giovanni Paolo II a fumetti e La vita di San Riccardo Pampuri a fumetti)?
Benissimo e spero che sia stato così anche per Alessandro. Io venivo dall’esperienza di Julia e mi ero abituato a sceneggiature sempre molto dettagliate, soprattutto per quanto riguarda la regia, dove il disegnatore deve semplicemente visualizzare graficamente quello che lo sceneggiatore già ha costruito con le parole. È un modo di lavorare che può insegnare molto, se chi scrive è all’altezza del compito (e Berardi lo è), ma che molti disegnatori rifuggono, in quanto limita molto la loro libertà di movimento. Alessandro, al contrario, cercava di tenersi molto sintetico sulla sceneggiatura, dandomi le descrizioni essenziali degli ambienti e molto spesso lasciando a me la scelta delle inquadrature. Insomma, lasciandomi molto più spazio di quello a cui ero abituato. Quando poi mi sono reso conto che lui cercava di limitare la lunghezza della sceneggiatura per non annoiarmi con descrizioni eccessive e che questo gli comportava uno sforzo in più, l’ho esortato a scrivere tutto quello che gli veniva in mente, senza limiti. Una sceneggiatura lunga e ben documentata non mi spaventa, anzi, può aiutarmi a ricreare meglio gli ambienti e le atmosfere che devo disegnare. Al momento giusto poi (e se lo sceneggiatore è d’accordo) decido cosa prendere e cosa lasciare.
Hai lavorato per editori di nazionalità diverse (italiani, francesi, americani): quali differenze hai notato?
Bé, in realtà ho lavorato soprattutto per editori italiani, ma non saprei marcare delle differenze specifiche tra i vari paesi… Sono cose che variano molto da un editore all’altro. Trovo che gli editori italiani tengano di più al contatto personale con gli autori rispetto ai loro colleghi stranieri, anche all’ora di valutare un progetto o discutere i vari dettagli di una pubblicazione. Comunque è un’idea che mi sono fatto io in base alla mia esperienza. Un altro potrebbe dire esattamente l’opposto. Se proprio devo fare un paragone più generale, è sicuramente interessante vedere come cambia l’aspetto di un progetto a fumetti, a seconda che questo vada presentato al mercato francese piuttosto che a quello americano o italiano. Negli USA si prediligono storie piene d’azione, molto dinamiche. Poche vignette per pagina, ma sempre di grande impatto, anche per quanto riguarda i colori. Il rischio di annoiare il lettore è altissimo e le scene di dialogo devono essere limitate al minimo indispensabile. In Francia bisogna giocare molto sull’atmosfera, ambientazioni suggestive, colori più soft e tavole pensate per un formato più grande, quindi in generale con più vignette. In Italia invece, se si vuole campare disegnando… bisogna scegliere un personaggio tra quelli già esistenti e mandare prove su prove, sempre nel classico formato di sei vignette e in bianco e nero. I nuovi progetti non hanno molto spazio. Ovviamente sto generalizzando, ma sono comunque tre realtà molto diverse, ognuna con i suoi pregi e i suoi difetti.
I progetti su cui finora hai lavorato sono molto eterogenei tra loro: questo denota voglia di mettersi continuamente in gioco. Nella tua carriera che importanza dai alla sperimentazione?
Mi piacciono le sfide. Ogni nuovo lavoro richiede una preparazione preliminare e anche dal punto di vista grafico può variare molto il mio approccio a storie sulle quali magari sto lavorando contemporaneamente. In realtà non ho mai dedicato molto tempo alla sperimentazione in sé, preferisco concentrare i miei sforzi per rendere al meglio la narrazione di quello che sto disegnando di volta in volta, con l’obiettivo bene in vista.
Hai prevalentemente realizzato storie usando uno stile realistico: ti piacerebbe disegnare storie in stile caricaturale o strisce satiriche-politiche?
La politica per il momento la lascerei da parte. La satira pero’ è un’arma formidabile e saperla usare a dovere è un dono raro, per cui di solito preferisco astenermi. Ogni tanto, pero’, mi trovo a leggere o vedere qualcosa che fa scattare in me come una molla e ho bisogno di liberare questa tensione attraverso il disegno. A volte uso il mio blog a questo scopo. Sono comunque una persona piuttosto critica e se mai dovessi scrivere qualcosa di mio, l’ironia (anche amara) la farebbe sicuramente da padrona.
Sul tuo blog hai preso una posizione molto chiara a proposito del caso El Jueves (sequestro di tutte le copie della rivista su cui è apparsa la vignetta di Guillermo accusata di “Ingiuria alla Corona”), tanto da riportare in un tuo post la vignetta incriminata. Ti è mai capitato, nella tua carriera, di ricevere pressioni di qualunque tipo o ti sei mai trovato in una situazione in cui tu stesso ti sei autocensurato?
A me personalmente non è stata imposta nessuna censura, anche se ho avuto modo di vederla applicare al lavoro al quale stavo partecipando. Mi riferisco ad una delle mie collaborazioni per gli USA, dove per “politica editoriale” venne modificata un’intera tavola nella quale il cattivo di turno fumava un grosso sigaro. Guai a dare il cattivo esempio ai ragazzini! Peccato che poche pagine più avanti il buono si scolava 4 bicchieri di whisky come se niente fosse e su quello nessuno ha avuto nulla da obiettare…
Per quanto riguarda la storia de El Jueves, ho voluto far sentire anche la mia voce perché la vicenda è veramente paradossale. Tutto è partito dai commenti fatti in tv in un noto programma di gossip. Come conseguenza, un giudice ha ordinato il sequestro di tutte le copie della rivista, appena distribuita nelle edicole, oltre alle matrici originali, per evitare (a suo dire) la distribuzione della vignetta incriminata. Domanda: qualcuno sa ancora cosa sono le matrici, quando oggi basta un file jpg a buona risoluzione per far girare un’immagine a livello mondiale?
Stai lavorando a una storia horror/fantascientifica per l’editore francese Clair de Lune: puoi accennare alla trama e ai temi trattati?
La storia si intitola “La derniére nuit (L’ultima notte)” ed è uscito il primo volume in Francia il 23 agosto scorso. Si tratta appunto di una storia horror in due volumi, ambientata in un prossimo futuro in cui la stirpe dei vampiri è partita alla conquista della Terra e ha sterminato il genere umano. Gli uomini sopravvissuti si uniscono in una grande coalizione armata e cercano di contrastare l’avanzata dei vampiri. Suspence, azione, storie d’amore e sangue… litri di sangue!
Il soggetto è dell’onnipresente Giovanni Gualdoni, mentre la sceneggiatura è di Marco Belli, un altro genovese che conosco da molti anni e con il quale finalmente sono riuscito a collaborare. I colori invece sono di Donatella Melchionno, che ha fatto un lavoro davvero notevole. Con Marco già da diverso tempo stavamo cercando di proporre progetti in Francia, purtroppo con poca fortuna. Poi, un paio di anni fa, abbiamo conosciuto Giovanni, che aveva per le mani questo soggetto e ci è sembrato promettente. Ci abbiamo provato ancora una volta… ed è andata!
La lavorazione del volume è durata circa un anno, quindi ho avuto la possibilità di lavorare con tempi più rilassati e dare sfogo alla mia passione per i dettagli, aiutato anche dal grande formato di stampa dei cartonati francesi. Il risultato finale non sta a me giudicarlo… spero pero’ di poterlo vedere pubblicato al più presto anche in Italia!
Puoi anticiparci qualcosa sugli altri tuoi progetti?
Al momento sto lavorando al secondo volume de L’ultima notte, con lo stesso team del primo tomo. Contemporaneamente porto avanti anche la biografia di una santa francese che uscirà all’inizio del prossimo anno, per il quale sto curando anche la colorazione. Nel luglio scorso sono stato in Francia alcuni giorni e per la prima volta sono riuscito a documentarmi direttamente sui luoghi che sto disegnando. È stata un’esperienza molto interessante e ha influito moltissimo sul mio modo di affrontare questo lavoro. Magari si potesse fare lo stesso per ogni storia!
Lavorare contemporaneamente su due ambientazioni così diverse presenta una certa difficoltà, ma è qualcosa a cui sono rassegnato. In ogni progetto ci sono tempi morti e pause da rispettare e la macchina produttiva non deve fermarsi mai!
Ti senti pronto per diventare autore completo o pensi sia ancora troppo presto?
Fino a poco tempo fa avrei risposto di no. Sentivo di non avere nulla di particolare da raccontare e quindi preferivo concentrare i miei sforzi nel disegno. Adesso qualcosina da dire penso di averla e ho anche un paio di progetti nel cassetto, ma non ho fretta. Aspettiamo che vadano maturando poco a poco e vediamo cosa viene fuori.
Che consigli daresti a chi vuole intraprendere la carriera di fumettista?
Oddio, mi sembra ieri che i consigli ero io a chiederli, e ora mi trovo a darli!
Io sono un po’ restio ad aggiungere la mia voce al coro di quelli che dispensano perle di saggezza facendole passare per l’esperienza di una vita…
Se dovessi dare un consiglio al me stesso di 15 anni fa, mi direi di darci dentro e tirare dritto per la mia strada, con decisione ma anche con umiltà, qualità che non deve mai mancare a chi vuole veramente crescere. Un mestiere come questo non si impara semplicemente seguendo un corso (per valido che sia), ma riconoscendo i propri errori e dando il massimo per superarli, con l’aiuto di chi ne sa più di noi. Ma per sdrammatizzare un po’ vorrei finire citando un testo di Mario Sgalambro:
Siate cauti nell’accettare consigli,
e pazienti con chi li dispensa.
Accettate quest’ultimo consiglio:
non accettate mai consigli.
Riferimenti:
Werner Maresta Virtual Studio www.wernermaresta.com,
Il Balloon Nero www.wernermaresta.blogspot.com,
Werner Maresta su MySpace www.myspace.com/wernermaresta