Una vita, due esistenze: Maledetta Balena di Walter Chendi

Una vita, due esistenze: Maledetta Balena di Walter Chendi

"Maledetta balena": un emozionante dialogo tra passato e presente che mescola biografia e finzione, raccontato con lirismo e delicatezza da Walter Chendi.

A volte tutto, se non molto, sta nelle aspettative. Vi sarà capitato di andare al cinema a vedere il film di cui tutti parlano ed essere usciti un po’ delusi, dispiaciuti per l’occasione mancata, vittime del “pensavo meglio”. Circondati ormai come siamo da molteplici canali pubblicitari (talvolta spacciati per informativi) arrivare a leggere un libro o guardare un telefilm, senza averne sentito parlare da qualcuno è sempre più difficile, un’impresa ormai quasi disperata, visto il fiorire di prolifici opinionisti e critici più o meno improvvisati.

È quindi per offrirvi una lettura libera da anticipazioni od opinioni altrui che vi consiglio, ancor prima di continuare la lettura di questo articolo, di procurarvi Maledetta balena di Walter Chendi e leggerlo, immuni da ingerenze o condizionamenti  (almeno esterni, con i propri occorre conviverci, colpa del “circolo ermeneutico) .
Poi, se ne avrete voglia, tornate su questa pagina.
Non cercate informazioni sul web, non andate nemmeno sul sito dell’editore (a meno che non vogliate comprare lì il libro). Non conoscete l’autore?
È l’occasione per farlo.
Non conoscete la trama o l’ambientazione? Perfetto, il romanzo vi dirà tutto quello che vi serve sapere e lo farà nella maniera migliore.

Il protagonista di Maledetta balena è Giovanni, anziano occupante di un letto d’ospedale uso dialogare con un gabbiano che lui soltanto vede. Ma Giovanni è stato anche un soldato, un cuoco della Regia Marina durante la Seconda Guerra Mondiale, che, sopravvissuto a un bombardamento, viene assegnato alla Saccadia, nave da crociera nuova di zecca camuffata da nave ospedale, tenuta al riparo dal conflitto e utilizzata come ricovero di “figli di ammiragli, feriti o coglioni”. A bordo della nave gli echi della guerra non arrivano, e la vita militare è decisamente comoda, visto che comfort  e cibarie non mancano.

Qui Giovanni e gli altri uomini a bordo vivono in una sorta di bolla di sospensione, non priva di zone d’ombra e addirittura qualche mistero, ma apparentemente immune al conflitto.

La loro è un’esistenza sospesa, accantonata come quella della nave che li ospita. Una vita in attesa, nell’illusione che il tempo non scorra, in compagnia del continuo ripetersi dei giorni, mentre il destino incombe o forse aspetta soltanto, sotto le sembianze di un gabbiano.
Un limbo non troppo diverso da quello che caratterizza le giornate, confuse e stordite, del Giovanni anziano, i cui ricordi, intervallati e contaminati da visioni e appannamenti, danno vita al corpo della narrazione.
Un limbo destinato a svanire, in entrambi gli scenari.

La dialettica tra presente e passato è il binario su cui corre sicuro il libro di Chendi, con una formula che convince già dalle prime pagine. L’autore mette in relazione i due piani temporali rifiutando il gioco di analogie e contrappunti schematici che spesso contraddistingue questo genere di narrazione alternata, ma sviluppa i due racconti in maniera parallela e complementare, per sovrapporli solo nella parte finale del libro, in quello che appare il naturale esito di un congegno narrativo accuratamente studiato.

Se è chiaro fin da subito che il protagonista è uno solo, raccontato in due fasi della propria esistenza, l’autore maneggia i due diversi contesti quasi ossero storie a sé, gioca su questa dicotomia e lascia al lettore lo spazio necessario a sviluppare una sua interpretazione.

Ecco quindi che la nave, desolata e immensa, si riduce a una asfittica e claustrofobica camera d’ospedale; che l’apatico e inerte giovane, stordito dalla guerra, cede il passo all’ottantenne combattivo e risoluto, per quanto le forze gli consentano. E mentre nel passato tutto è avvolto da un alone fiabesco e ovattato, che sembra mitigare anche la crudezza degli orrori della guerra, nel presente è con un realismo a tratti doloroso che si racconta l’esperienza della malattia e della vecchiaia.

Sono infatti  i confusi  pensieri dell’anziano che l’autore adopera sia come veicolo per spostare la narrazione da un periodo temporale all’altro, che come espediente per stimolare la curiosità del lettore, inevitabilmente portato a interpretare tali riflessioni come anticipazioni di quanto, pur essendo già successo, non è stato ancora mostrato e di conseguenza letto.
Un gioco di congetture e supposizioni alimentate anche tramite un espediente narrativo semplice quanto efficace: non mostrare mai (o quasi) il protagonista nella sua versione più anziana.

Se il giovane cuoco è quasi costantemente al centro della scena e protagonista attivo della sua vicenda, l’anziano è relegato fuori dal palcoscenico: l’inquadratura in soggettiva che caratterizza questa parte del racconto fa sì che i suoi occhi diventino i nostri, costringendo il lettore a condividerne l’impotenza e l’immobilità.
Una soluzione che suscita fin da subito una forte immedesimazione col personaggio e che costituisce uno dei fulcri che generano quella tensione, narrativa ed emotiva, che il romanzo mantiene fino all’ultima pagina.

Tutto questo senza il ricorso a soluzioni a effetto, ma attraverso uno stile asciutto, a tratti ironico e privo di retorica. Una narrazione semplice, lineare e diretta che non disdegna il ricorso al dettaglio, grafico e verbale, senza che questo  si imponga e sbilanci la diegesi del libro.
Nessuna didascalia superflua, assenti le strizzate d’occhio e gli ammiccamenti al lettore, al quale come detto viene data la necessaria fiducia e quindi consentito di cogliere autonomamente le sfumature di una esperienza che, lo si capisce ben presto e lo si avverte da subito, tocca da vicino l’autore.
Ma questo coinvolgimento, forte e tangibile, non sfocia mai nel compiacimento. La vicenda, almeno in parte autobiografica, è godibile anche al di fuori di questa prospettiva e oltre che offrire una fedele testimonianza di alcune delle peculiarità del territorio (nella fattispecie Trieste, città dell’autore, e le zone limitrofe), si apre a elementi avventurosi.

La realizzazione delle tavole è minuziosa, a partire dal lettering: la cura dedicata ai dettagli ricorda quella adoperata da Vittorio Giardino, un’attenzione alla ricostruzione del contesto non fine a se stessa o puramente calligrafica, ma finalizzata alla restituzione, nei confronti del lettore, delle informazioni necessarie a caratterizzare lo scenario, definire i luoghi, comprendere gli avvenimenti. Mentre la recitazione dei personaggi, i primi piani intensi e la scelta meticolosa delle inquadrature hanno la suggestione dal sapore teatrale che (ci perdoni l’autore per l’ennesimo paragone) fa ad esempio brillare i lavori di Bryan Talbot.

E quando nel finale il cerchio si chiude e non tutto – proprio come accade nella vita reale – ha avuto risposta, la sensazione è quella di essere stati degli spettatori privilegiati, perché partecipi, ma a distanza di sicurezza, come fossimo gabbiani.

Abbiamo parlato di:
Maledetta Balena
Walter Chendi
Tunué, febbraio 2016
160 pagine, cartonato, colori – 16,90 €
ISBN: 9788867901753

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