Il primo volume di Una vita cinese si chiudeva con la morte di Mao Zedong e i tanti interrogativi ad essa legati.
Per quanto riguarda il piccolo protagonista, Xiao Li, la sua sorte poco si discosta da quella della nazione stessa, poiché, in effetti, alla morte del padre simbolico, con il padre biologico ancora lontano (inviato nelle campagne a “rieducarsi”), Xiao Li deve fare i conti con una nuova fase della sua vita: l’adolescenza e l’ingresso nell’età adulta.
Gli autori Li Kunwu e lo sceneggiatore P. Ôtié sono ancora una volta molto abili a intrecciare la sorte del singolo con quella di un intero paese e a inserire in maniera asistematica ma precisa una serie di riferimenti storici che possano farci avere un’idea del quadro più grande nel quale la vita di Xiao Li e della sua famiglia si fonde, acquisendo un valore di esemplare imperfetto.
A dispetto dei suoi sogni e delle sue aspettative, il giovane Xiao Li non è infatti un modello, se non di imperfezione e umanità. In questo secondo capitolo della sua storia, egli è alle prese con la perdita dei suoi maggiori punti di riferimento e l’elezione, allo stesso tempo folle e naturale, del Partito Comunista Cinese a guida assoluta del proprio cammino. Com’è tipico di quest’età, il ragazzo cresce nella passione e nell’ostinazione per un obiettivo a tratti visionario: l’ingresso nel Partito. Lo scopo primario è quello di rendere fiera la sua famiglia, ma in realtà l’obiettivo ideologico è ancora più alto ed è quello di rendere fiero il proprio Paese. E non c’è alternativa a quella di entrare nel Partito.
Può stupire questa scelta dopo aver letto pagine e pagine dedicate al caos generato dalle cattive decisioni del Presidente Mao (anche se formalmente sostituito con i capri espiatori della Banda dei Quattro, Zhang Chunqiao, Wang Hongwen, Yao Wenyuan e Jiang Qing, la moglie di Mao, accusati in sua vece delle barbarie della Rivoluzione Culturale). Sicuramente il lettore rimarrà interdetto, ma tutto è spiegabile. Il Partito è rimasto infatti un’entità sacra, l’incarnazione stessa della Cina, non scalfito da quelle che furono contraddizioni ed errori umani. Come nel caso del primo, anche il titolo di questo volume è ben ponderato, poiché dall’inizio alla fine il racconto è permeato dalle mille forme del Partito.
Gli uomini possono aver paura di altri uomini, ma il Partito è nel giusto. E che le cose stiano così ci risulta chiaro dalle parole di ogni personaggio incontrato tra le pagine di questo secondo volume, che raccoglie le ceneri della Rivoluzione Culturale (1966-1976) e i dubbi dell’indomani. Un senso di sospensione accompagna le peripezie di Xiao Li, nel suo obiettivo unico e assoluto di farsi accettare nel Partito, così che esso diventi anche la metafora dell’Altro per eccellenza, della società, della vita adulta nella quale si vuole entrare a tutti i costi, pur essendone terrorizzati. Riuscirà il nostro giovane eroe nel suo intento? E quali sono le implicazioni di una possibile sconfitta o di un eventuale successo?
Nonostante la retoricità delle aspirazioni del protagonista, la narrazione non è mai noiosa e diversi sono i momenti di climax, legati in particolare a due tipi di rapporti: quello interpersonale e quello tra l’uomo e una cultura che spesso si identifica con la natura.
A circondare Xiao Li, sono molti i personaggi: dai familiari, al primo amore, ai compagni, ciascuno dotato di una sua personalità e visione storica e umana. Persone buone e cattive, aperte e meschine, che aiutano o ostacolano il protagonista a più riprese, arricchendo il suo viaggio alla scoperta di una dimensione tutta umana. Tra le scene più commoventi vi è quella del ritorno a casa del “Grande Li”, il papà del protagonista. Una serie di vignette apprezzabili soprattutto in relazione al primo volume, nella sua interezza, grazie al quale abbiamo imparato ad amare, odiare e rispettare quest’uomo ma soprattutto a penare per la sua mancanza in una famiglia sull’orlo del collasso. Possono dieci anni passare senza lasciare traccia? No, ma non è detto che la traccia rimasta non riesca a donare, a chi è sopravvissuto, un talento in più, quello di apprezzare maggiormente la vita e gli affetti sinceri.
Anche se prevalgono le scene corali – particolarmente ricche di dettagli e accattivanti a guardarsi – non mancano i momenti di solitudine e di contatto con una natura potente. Dai campi da arare alle montagne, la natura è specchio di un’anima tormentata.
Ed è nello scarto tra l’umano, quotidiano e triviale, e il naturale, maestoso e solenne, che si percepisce maggiormente l’abilità di Li Kunwu con l’inchiostro. Lo stesso nero è vivo, preciso e brulicante nelle scene corali e intime, tanto quanto è severo nel rispetto dei modelli tradizionali di rappresentazione della natura. In alcune tavole, infatti, è particolarmente evidente l’omaggio alla pittura tradizionale del paesaggio (shanshui 山水) e all’inconografia religiosa.
Come nel primo volume, il lettore a digiuno di storia della Cina viene condotto per mano (e con note molto snelle, utili soprattutto per i curiosi di lingua cinese), passo dopo passo ma senza appesantire la lettura, ad una comprensione sufficiente del contesto socio-politico. Allo stesso modo l’esperto, invece, trova corrispondenze tra le conoscenze già acquisite e lo spessore dell’autobiografismo.
In conclusione, si tratta di una lettura completa: interessante, emozionante, visivamente intensa.
Abbiamo parlato di:
Una vita cinese vol. 2 – Il tempo del partito
Li Kunwu e P. Ôtié
Add Editore, giugno 2017
200 pagine, brossurato, bianco e nero – 19,50€
ISBN: 9788867831357