“Imagine a life that never escapes you“
La maxiserie su Visione1 curata da Tom King (testi) e Gabriel Hernandez Walta (disegni) con Jordie Bellaire (colori) si svolge in dodici episodi, organizzati in due archi narrativi: Un po’ peggio di un uomo e Un po’ meglio di una bestia.
Lo spirito profondo e i principi narrativi dell’opera stanno tutti in una singola scena. Siamo nel terzo capitolo, dopo una giornata di altissima tensione emotiva; Visione e Virginia si trovano finalmente in camera da letto e, mentre il marito commenta e racconta gli eventi, lei lascia scivolare i vestiti e rimane nuda di fronte a lui. Visione balbetta, e perde la sua abituale freddezza e le inquadrature mettono in evidenza il suo stupore. Questa scena di seduzione ripete un luogo narrativo comune, un vero e proprio stereotipo.
A renderla significativa è la sua totale e dettagliata incongruenza, che condensa la totale e dettagliata incongruenza del progetto di Visione: avere una famiglia che riesca a integrarsi nella comunità umana. Essere una famiglia umana. In questo senso, Visione e la sua famiglia (la moglie Virginia – costruita a partire dai pattern cerebrali di Scarlet Witch -, la figlia Viv, il figlio Vin) sono dei tipici alieni in cerca di integrazione nell’umanità, e più precisamente in una American way of life tanto precisa quanto immaginifica proiezione dei propri desideri.
Tutto il resto della narrazione, nella sua ammirevole architettura e nel suo raffinato svolgimento, non fa che sviluppare le suggestioni e contraddizioni che quella scena porta all’estremo.
Al nocciolo, al cuore profondo di questo racconto di King, infatti, c’è l’opposizione fra ordinarietà e straordinarietà: da questa nascono tutte le tensioni che innervano la storia e su di essa si basano tutti i confronti, i dilemmi, gli scontri e i drammi sui quali è costruito l’intreccio. Nonostante i tanti spunti potenziali oggettivi, il racconto rimane costantemente centrato su quella polarità e da questa focalizzazione deriva la sua compattezza: ogni scena, ogni dialogo muove la vicenda o apre nuove prospettive sempre e immancabilmente verso quel punto di fuga, così come ciascun personaggio vive una specifica esperienza di quell’opposizione.
Al tempo stesso, questo continuo tornare al medesimo luogo narrativo di ogni elemento determina il senso profondo di oppressione che domina la storia: come in un incubo, si ha l’impressione di correre senza riuscire a muoversi, che i personaggi si agitino e soffrano senza che tutta quella fatica e pena li conduca da qualche parte, porti a un qualche cambiamento, o almeno a poter guardare verso “l’esterno”.
Tutte queste tematiche vengono rielaborate e plasmate da King in una struttura narrativa ben definita, il palco-gabbia spesso formato da nove vignette regolari – vero luogo ricorrente dell’autore, portato agli estremi nel successivo Mister Miracle – che imprigionano aspirazioni e ambizioni nel dramma delle scelte sbagliate. La voce del narratore onnisciente in terza persona, che parla da un momento imprecisato nel tempo, crea un’atmosfera sospesa e angosciante, quello di un destino già scritto e immutabile, al quale la citazione ricorrente del Mercante di Venezia di Shakespeare fa da controcanto – come vedremo – ironico.
Accanto a questa trovata narrativa, il racconto si sviluppa attraverso le interazioni tra i personaggi, costruite attraverso dialoghi e i piccoli dettagli del linguaggio del corpo che creano grande dramma, profondità e senso di disagio. Il gergo tecnico-analitico dei sintezoidi contrasta con la brutalità delle vicende e la veemenza di sentimenti soppressi, fino a esplodere nei glitch di Virginia e nella ripetitività ossessiva di Vin.
La provincia e il fantastico: lo stile di Gabriel Hernandez Walta
Una storia come questa non poteva trovare un disegnatore migliore di Gabriel Hernandez Walta. Lo spagnolo, già attivo in Marvel da qualche anno su titoli come Astonishing X-Men e Magneto, realizza qui il suo lavoro migliore in termini di composizione grafica e resa espressiva dei personaggi. Grazie a uno stile geometrico chiaro e definito, capace di valorizzare particolari minuti sui quali far posare e indugiare l’occhio del lettore, Walta riesce a creare un mondo all’apparenza perfetto e imperturbabile, nel quale le convenzioni sociali che Visione ritiene necessarie per essere definito umano sembrano realizzate nel migliore dei modi possibili.
La precisione dei vestiti, l’ordine delle architetture, la compostezza degli spazi pubblici e privati danno l’illusione di una integrazione assoluta nel modello quotidiano e pacifico della provincia statunitense, quella dei paesaggi urbani costellati da piccole villette a schiera e diner sulla statale. Per spezzare questa illusione e velleità mimetica, Walta utilizza e fa propria la lezione di Edward Hopper, caricando questi paesaggi di una atmosfera fatta di distanze e silenzi. I due artisti sfruttano in maniera molto simile gli spazi vuoti e le inquadrature a campo lungo per creare separazione tra i personaggi e un senso di solitudine e artificialità. Ecco quindi che le apparenze di vita perfetta vengono a scontrarsi e infrangersi contro la realtà fisica, portando alla luce la fragilità dei rapporti umani.
Il confronto tra Virginia e Visione nel secondo episodio della storia è un esempio della grande capacità di gestione degli spazi del disegnatore spagnolo. A pagina 29 del primo volume (corrispondente alla pagina 3 del secondo capitolo – v. immagine sopra) vediamo i due seduti in soggiorno, uno di fronte all’altra, sullo sfondo di un caminetto: un’immagine che è una sintesi del concetto confortante di famiglia. Ma questa disposizione di scena serve per meglio evidenziare quanto la situazione reale sia distante da quell’ideale. Le vignette orizzontali dilatano con ovvia metafora le distanze tra i due, rappresentate dallo sguardo sfuggente e colpevole di lei e quello interrogativo ma aperto alla comprensione di lui.
Visione e Virginia sono immersi in uno spazio geometrico comune, ma gli elementi che risaltano in quello spazio dichiarano che i due vivono il momento in universi emotivamente separati e non comunicanti. Il contrasto fra la definizione degli altri oggetti e le foto della famiglia, sfocate sullo sfondo dietro Virginia, e quello tra perfezione dell’arredamento e la distruzione dovuta allo scontro con il Sinistro Mietitore, che si staglia alle spalle di Visione, rappresentano direttamente la tensione fra il progetto di quest’ultimo e la realtà delle cose: l’imprevisto ha violato il conforto della casa e l’idea di famiglia si indebolisce2.
Lungo tutto il racconto si può constatare come ogni elemento raffigurato nelle tavole venga caricato di simboli e significati dai due autori, creando talora una dissonanza, talora un rafforzamento della scrittura di King. La presenza di esseri sovraumani in un contesto medio borghese permette infatti ai due autori di creare tanti piccoli cortocircuiti che scatenano un senso di disagio e di straniamento: due adolescenti robotici che frequentano una scuola con ordinari coetanei, volando e scomparendo attraverso il terreno; una casa arredata con piante magiche provenienti dal monte Wundagore e un caminetto.
Un contrasto continuo che mette in evidenza la miopia e la “follia” di cercare una vita normale senza tener conto della propria straordinarietà. E questo continuo gioco sui contrasti trova la rappresentazione migliore e più compiuta attraverso la capacità di Walta di delineare le figure del racconto: la geometria disciplinata e decisa del tratto che definisce i corpi e i movimenti artificiali dei personaggi si scontra col vasto spettro di emozioni umane che è espresso da volti sintetici, da occhi bianchi senza pupille, in un gioco di contrasti che aumenta lo straniamento e la contraddizione interna a ogni personaggio.
Così, l’atto di porre la testa sulla spalla, che ricorre spesso lungo il racconto, diventa imitazione di un gesto di intimità e ricerca di contatto e la sua precisione mimetica instilla anche un senso di inquietudine, poiché non possiamo evitare di associarvi un calcolo delle capacità manipolatorie del gesto stesso. Il pensiero che i sintezoidi, data la loro immensa capacità computazionale, abbiano piena consapevolezza delle conseguenze di ogni loro azione finisce per far emergere i nostri timori quotidiani sulla sincerità delle relazioni.
A pagina 107 del primo volume troviamo un caso esemplare dell’espressività emotiva dei quattro androidi: la rabbia e lo sconforto di Virginia, l’entusiasmo della scoperta di Vin, il turbamento “adolescenziale” e il dolore della perdita di Viv, il freddo e distaccato paternalismo di Visione.
È la forza delle emozioni a guidare il racconto: una forza che sta nelle grida di Virginia e Viv, nello sgomento di Vin di fronte alla morte e culmina con le lacrime versate da Visione per Virginia. È, quest’ultima, una scena dalla forte impronta teatrale, rappresentata da Walta in un’abitazione trasformata in palcoscenico. In questo momento sembra compiersi finalmente la trasformazione di Visione da androide in essere umano, ma in realtà si tratta solo di un momento o forse di una mera suggestione suscitata da perfetta imitazione. Il sintezoide, infatti, torna (si ritrova) al punto di partenza che ha scatenato tutta la vicenda, ricadendo nel loop infinito di errore e rinascita tipico del supereroe.
Atmosfere, suggestioni e inquietudini sono amplificate dal trattamento cromatico di Jordie Bellaire, che si dimostra ancora una volta una delle migliori coloriste del mercato USA. La tavolozza dell’artista riesce a coniugare in maniera esemplare tutte le tematiche grafiche e concettuali del racconto: i colori tipici del supereroico assumono toni più spenti e plumbei, aumentando la sensazione di solitudine e incomprensione e creando un’ulteriore senso di contrasto.
Emblematica in questo senso è la tavola 122 del primo volume, in cui il rosso scuro del sangue si sparge sul bianco immacolato della camicia di Visione e sul rosso acceso, innaturalmente supereroico, del suo volto, mentre occhi bianchi e vuoti non tradiscono emozioni. L’uso di colori più opachi e “sporcati” da linee e campiture ombreggiate, così come la combinazione dei chiaroscuri di Walta e dei toni cupi della Bellaire, raggiunge vette di grande drammaticità in molti momenti, come nelle tavole notturne dedicate alla morte di Virginia, nelle quali possiamo apprezzare al meglio quell’equilibrio fra intensità emotiva e compostezza creativa che è cifra compositiva di quest’opera: dai dialoghi contenuti e le didascalie essenziali, alla chiarezza delle tavole e dello storytelling; dal ritmo rallentato e attento, fino alle lucentezze e le oscurità del colore.
Un racconto di congedo
Realizzata a ridosso della sospensione di Omega Men per la DC, Visione ha rappresentato un passo di consolidamento nella carriera di Tom King, sia dal punto di vista del riconoscimento di critica e pubblico sia da quello dello sviluppo di una poetica che esplora le dissonanze esistenziali e di un approccio al racconto che utilizza i silenzi e le sospensioni come spazi vuoti nei quali mettere in scena e dispiegare le passioni e i travagli dei personaggi.
Terminata la maxiserie, King torna presso la Distinta Concorrenza, per la quale lavora in particolare su Batman e Mister Miracle, due personaggi quasi agli estremi opposti in un’ipotetica scala di responsabilità verso l’editore. Due sfide con vincoli ben distinti, che King affronta nell’ottica di una personalizzazione narrativa forte, attraverso una caratterizzazione stilistica che in Mister Miracle sfiora il virtuosismo. Ma questa è veramente un’altra storia.
Dopo aver delineato alcuni elementi strutturali significativi e l’approccio alla composizione; nella seconda parte di questo approfondimento daremo un’idea del trattamento di alcune delle tematiche di fondo dell’opera.
La Visione di King e Walta – Parte 2: il teatro dell’imitazione
Per una panoramica sul personaggio, si può leggere la pagina ufficiale Marvel dedicata al personaggio e la pagina wikipedia italiana. ↩
Su questa tavola, leggi la dettagliata analisi di Hassan Otsmane-Elhaou. ↩