Visione è tutto quello che un fumetto di supereroi non dovrebbe essere: è lento, riflessivo, cupo, non c’è “sense of wonder” e nemmeno un costume sgargiante.
Detto questo ogni lettore di supereroi dovrebbe leggere, ed eventualmente rileggere, Visione.
Il sintezoide creato da Roy Thomas e John Buscema nel 1968 trova una nuova vita e identità, o almeno ci prova, in Visione: Un po’ peggio di un uomo, volume della Panini Comics che raccoglie i primi sei numeri (di dodici) della serie Marvel scritta da Tom King e disegnata da Gabriel Hernandez Walta.
Al fine di rendere più efficiente il proprio sistema operativo il nostro eroe decide di rimuovere dalla sua memoria tutti i ricordi legati alle emozioni.
Qualche tempo dopo costruisce Virginia, un altro sintezoide destinato a diventare sua moglie. Combinando le onde cerebrali di entrambi creano anche i due figli Viv e Vin. È da qui che la serie di King prende il via.
Un interrogativo adolescenziale
Già dalla premessa sorgono le prime domande: perché Visione decide di rimuovere le proprie emozioni? Perché costruirsi una famiglia? Perché la inserisce nella comunità medio-borghese della periferia di Arlington?
Procedendo nella lettura gli interrogativi non fanno che crescere: la narrazione di King si basa principalmente sul “non detto”, suggerisce ma non spiega e quando lo fa lascia aperti altri interrogativi. Si può dire che il perno di tutto il primo volume sia quello della Domanda e del tentativo di Visione di rispondere ad essa.
“Sostenere che quanto è privo di significato sia vero è la missione principale dell’umanità”
In questa frase, pronunciata in un’apparentemente innocua conversazione tra Visione e Virginia, sono racchiusi i primi ermetici indizi su quanto andremo a leggere.
Visione è a caccia della propria umanità e del significato di qualcosa che è ultimamente insondabile anche a chi umano già lo è. Come un novello Jim Carrey in The Eternal Sunshine of the Spotless Mind ha rimosso dei ricordi che erano, probabilmente, un ostacolo alla propria ricerca esistenziale e si è dedicato al perseguimento della “missione principale dell’umanità”.
«Le domande in cui si condensa la confusa e indiscriminata velleità riflessiva degli adolescenti, la loro primitiva e sommaria filosofia (che cosa è la vita? A che giova? Quale il fine dell’universo? E perché il dolore?), quelle domande che il filosofo vero ed adulto allontana da sé come assurde e prive di un autentico valore speculativo e tali che non comportano risposta alcuna né possibilità di svolgimento, proprio quelle diventarono l’ossessione di Leopardi, il contenuto esclusivo della sua filosofia» (Disegno storico della letteratura italiana di Natalino Sapegno)
Quelli che sono stati i dilemmi del poeta di Recanati risuonano in maniera ancor più drammatica nell’intelligenza artificiale di chi conosce il suo Creatore (per inciso si tratta del malvagio Ultron che ha costruito Visione per scopi tutt’altro che nobili) e possiede cervello così analitico e “autenticamente speculativo” da percepire quell’assurdità denunciata dal Sapegno: questi interrogativi esistenziali che il celebre critico italiano indica come adolescenziali, sono quanto mai maturi e spaventosi nelle esistenze della famiglia Visione.
Un dramma che risulta ancora più marcato in chi effettivamente adolescente lo è, o dovrebbe esserlo: Viv e Vin affrontano il problema della normalizzazione nella duplice veste di androidi e di teenager amplificando così quello che è il regolare sentimento di disagio che ogni ragazzo che frequenta le scuole superiori vive quotidianamente.
Un disastro annunciato
Con queste premesse non c’è da aspettarsi nulla di buono e lo stesso King, nella veste di narratore onnisciente, si sbriga già dalle prime pagine a dirci che tutto finirà malissimo.
Da questa rivelazione in poi il lettore viene irretito nella lettura di un horror narrato in slow motion: lentamente, quasi placidamente, tutti gli elementi che portano alla conclusione tragica si collocano all’interno del racconto.
Tom King allestisce una sceneggiatura antitetica a quella del fumetto supereroico classico: non assistiamo a eventi di portata straordinaria narrati sopra le righe. Al contrario è tutto terribilmente ordinario e normale, talmente normale da risultare inquietante.
C’è un momento nel terzo episodio in cui Visione suona al campanello di casa propria, potrebbe tranquillamente entrare attraversando la parete ma preferisce attenersi alle convenzioni sociali e continua a suonarlo, incessantemente, fin quando la porta non viene aperta.
La ripetizione ossessiva e pian piano sempre più disturbante di un protocollo altrimenti normale.
Quella messa in scena da King è una storia composta da infiniti dettagli, anche apparentemente insignificanti, raccontati con dovizia che, invece di distrarre, aumentano il senso di inquietudine.
Da questo punto di vista i disegni di Gabriel Hernandez Walta aggiungono ulteriore profondità emotiva: all’interno di un layout ordinatissimo e raramente sopra le righe il disegnatore gioca con le inquadrature e con le ripetizioni dando al racconto una struttura ritmica quasi musicale fatta di accenti, pause e ritornelli.
In questa struttura narrativa la cura per i dettagli (anche qui) finge da magnete per gli occhi del lettore: il linguaggio del corpo di Virginia, prima ancora che ci venga rivelato dal racconto stesso, ci dice quanto sia fragile la sua situazione emotiva; l’espressività dei volti, anche in quelli privi di pupille dei sintezoidi, ci avvicina ai personaggi; la verosimiglianza degli ambienti ci proietta in mezzo alla storia. Tutto contribuisce a trasformare la lettura in un’esperienza di testimonianza: ci troviamo come chi, assistendo a un incidente, non riesca a distogliere lo sguardo da ogni singolo e minuscolo particolare.
A completare l’opera si aggiungono i colori cupi e desaturati di Jordie Bellaire che giocano sulle sfumature e su pennellate tenui, tutto converge alla realizzazione di un racconto che punta più sull’atmosfera che sull’intreccio.
Felicità e omologazione
Come detto sopra Un po’ peggio di un uomo racconta la prima metà della storia ma riesce comunque a risultare completo già in sé: in un inesorabile crescendo di traumi più o meno grandi le vicende della Famiglia Visione raggiungono l’apice all’ultimo capitolo.
Nella sua ricerca di una soluzione semplice al suo desiderio di umanità, simboleggiato dal monologo di Shylock de Il Mercante di Venezia di Shakespeare nel quinto capitolo, Visione ha individuato quello che potremmo chiamare “algoritmo della felicità”, una scorciatoia costituita da una famiglia borghese omologata e normale, che vede come fattore imprescindibile il rifiuto della propria straordinarietà.
Il tema dell’Intelligenza Artificiale che vuole comprendere e imitare l’uomo è già stato ampiamente sfruttato nella letteratura e nel cinema di fantascienza con alterne fortune e, nell’ambito di un fumetto supereroistico, un soggetto del genere avrebbe potuto trasformarsi in qualcosa di terribilmente banale.
King invece approfitta intelligentemente dell’opportunità datagli da un personaggio “formattato” e pronto all’uso che gli permette di allestire un romanzo di formazione per robot. Approfittando di questi “non personaggi”, assieme a Walta e Bellaire, imbastisce un’opera estremamente emozionante, colta e appassionante che si interroga su temi universali: il dolore, la colpa, il crimine e la punizione, il pregiudizio, la paura e la difficoltà di essere umani.
Probabilmente si tratta di temi e interrogativi adolescenziali ma l’opera è indubbiamente adulta.
Abbiamo parlato di:
La Visione #1: un po’ peggio di un uomo
Tom King, Gabriel Hernandez Walta
Marvel Italia, novembre 2016
136 pagine, cartonato, colore – € 14.00
ISBN: 978-8891223906