Undici è un artbook scritto e disegnato da Dario Panzeri con curatela e alcuni testi di Matteo Contin (Duluth Comics) pubblicato dalla collaudata collaborazione di Progetto Stigma ed Eris Edizioni. Etichettare questo libro come artbook è complicato, perché fin dal principio si tratta di qualcosa difficile da catalogare (e fa di questo uno dei suoi punti di forza), visto che ingloba narrazione per immagini, testi, illustrazioni e fotografie.
Il titolo di questo articolo deriva da un post su Facebook dell’autore, perché credo delinei bene sia il contenuto del libro, sia la portata “cosmica” di un evento come l’11 settembre 2001.
Undici è diviso sostanzialmente in due parti: nella prima assistiamo allo schianto dei due aerei sulle Torri e agli istanti che precedono e seguono l’attacco terroristico vero e proprio; nella seconda ci si ritrova di fronte a un archivio fatto di immagini e testi che puntano dritto al cuore del libro in sé, ovvero la ricerca non solo di un senso a quanto accaduto, ma del senso della vita di ognuno di noi.
Nella prima metà del libro il lettore si trova a osservare lo schianto al rallentatore. Il punto di vista che Panzeri fa adottare a chi legge è quello dei passanti: le Torri Gemelle sono enormi monoliti neri che si stagliano su di un bianco abbagliante, inquadrate attraverso prospettive geometriche antirealistiche che ne accentuano la mole, imponendosi graficamente a chi guarda. Le Torri di Panzeri sono architetture impossibili, geometrie non euclidee uscite da abissi lovecraftiani collocati fuori dal tempo. Il tempo, come nota giustamente Contin più avanti nel libro, è estremamente dilatato quando si inquadrano le Torri, mentre si contrae tempestivamente nel momento in cui si ritorna ai passanti. Per l’autore, quindi, il tempo sembra essere un’idea relativa, dove secondi diventano anni e anni diventano secondi.
Il riferimento a 2001: Odissea nello spazio di Kubrick diventa in questo modo palese, evidenziandosi in maniera chiara, oltre che nella simbologia visiva, nella sua valenza indefinibile per la vita di chiunque. Gli eventi dell’11 settembre diventano un trauma universale, un trauma che sopravvive alla fine della vita. Come contraltare, i passanti sono presenze eteree, disegnate con pennellate leggere e informi che denotano la loro fragilità intrinseca. Sono spettatori consapevoli di una tragedia che, tutto d’un tratto, diventano attori inconsapevoli calati in una realtà che vorrebbero fosse finzione, configurandosi quasi come doppio del lettore. Non è una coincidenza, quindi, che i due aerei si intravedano per poche pagine, vere e proprie presenze ectoplasmatiche in grado di attraversare elementi in stato solido, cambiarli per sempre, e poi scomparire una volta per tutte. Non credo sia il caso di scomodare, in maniera approfondita e sistematica, Jacques Derrida, Mark Fisher e il concetto di hauntology1 , ma penso che il senso di accumulazione di tracce fantasmatiche del passato man mano che ci si sposta nel futuro e il tema del “fallimento del futuro” siano due paradigmi facilmente applicabili a ciò che Panzeri vuole comunicare in e con Undici. Le Torri, nonostante siano crollate, restano presenti non solo nei ricordi dei sopravvissuti e di chi ha osservato da lontano il dramma, ma anche di chi oggi visita New York e passa da Ground Zero: lo “spirit of place” di Mooreiana memoria si materializza inevitabilmente, condizionando il presente e il futuro.
La seconda parte del libro è un archivio del materiale raccolto da Panzeri sull’11 settembre 2001, corredato da alcuni testi di Contin. Fin dal principio, è immediatamente chiaro che si tratti del racconto di un’ossessione. Un’ossessione rivolta sì verso il crollo delle Torri e verso quella data infausta, ma soprattutto l’ossessione per la ricerca di un senso: il senso del disastro e, di conseguenza, della vita dopo il disastro. Panzeri, per provare ad arrivare al nucleo della sua indagine personale, usa le sue influenze culturali nel tentativo di comprendere la verità dietro la sua fissazione. La cultura pop è sicuramente una di queste, spaziando dai supereroi Marvel e DC (attraverso i quali l’autore si chiede implicitamente quale sia il loro significato oggi, di fronte a eventi come l’11 settembre) a The Boys di Ennis e Robertson (in cui Patriota invoca un improbabile vendetta, parossismo estremo e parodico della War on Terror dichiarata da George Bush nel 2001). All’interno di essa un posto speciale assume Neon Genesis Evangelion, grazie a citazioni esplicite e immagini virate totalmente in rosso.
Panzeri utilizza la cultura pop in questo modo perché vuole trasmettere al lettore il collasso degli immaginari e la sovrapposizione tra realtà e finzione: quando gli eventi sono oltre la nostra capacità di comprensione, intrisi di caos fin nel loro cuore pulsante, la mente di molte persone tende a renderli meno reali o, in alternativa, a trovare spiegazioni che li confermino come fittizi, artefatti, creati ad hoc per raggiungere qualche scopo. In sostanza, la nascita dei complottismi, vero e proprio discorso nel discorso sull’11 settembre 2001, che l’autore riesce a trattare, attraverso tutti questi filtri personali, in maniera molto interessante e per nulla scontata.
I costanti riferimenti a The Falling Man, sia alla storica fotografia scattata da Richard Drew che al romanzo di Don DeLillo, sono un altro mezzo per simboleggiare molte delle cose dette precedentemente. L’uomo che cade non è solo una metafora della tragedia, ma è il simbolo della fine dell’occidente e della nostra caduta in un inferno emotivo senza fondo. Le parole di DeLillo, che accompagnano la rielaborazione delle immagini di Panzeri, testimoniano questa caduta quasi spirituale o religiosa. Il concetto di “fallimento del futuro” in questo frangente si esplicita ancora più efficacemente, dove molte “pagine d’archivio” vengono inframmezzate da tavole bianche da cui emergono nere e fumose lacerazioni: queste ferite nelle pagine sembrano essere, nel contesto di Undici, le ferite al corpo di Dio (ovvero al mondo occidentale), che difficilmente si rimargineranno e probabilmente sanguineranno per sempre.
Il finale dell’opera è l’ennesimo salto nel buio, un ritorno al mistero iniziato 21 anni fa e mai veramente risolto. Per chiudere il cerchio, è anche attraverso questa dimensione enigmatica e arcana – molto vicina, di nuovo, a 2001: Odissea nello spazio – che si può comprendere la cifra stilistica e tematica di Undici, dove la ricerca di senso ancora non si è conclusa e forse non troverà mai la parola fine. Il lavoro di Panzeri, coadiuvato e indirizzato da Contin, si rivela davvero significativo per la contemporaneità, un libro complesso che lascia aperte tutti i discorsi e le interpretazioni, proprio come l’11 settembre 2001 ancora oggi ci parla di cosa eravamo e di cosa siamo diventati.
Abbiamo parlato di:
Undici
Dario Panzeri
Progetto Stigma / Eris Edizioni, marzo 2022
208 pagine, brossurato, bianco e nero e colori – 30,00 €
ISBN: 9791280495297
Hauntology, termine portmanteau delle parole “haunting” e “ontology”, è un concetto sviluppato dal filosofo francese Jacques Derrida che considera come gli “spettri” di futuri alternativi influenzino il discorso attuale e storico, e riconosce che questa “ossessione” – o lo studio dell’inesistente – ha effetti reali. In sostanza, quanto i possibili futuri “falliti” o “morti” perseguitino il presente e abbiano effetti tangibili su di esso. Mark Fisher ha poi applicato questo concetto all’arte, evidenziando come il costante ricorso a forme e contenuti del passato di molta arte popolare (per esempio il cinema) sia un’incapacità di sfuggire a forme estetiche passate, tramutandosi in una sorta di “nostalgia per il futuro perduto”, citando le parole di Fisher. ↩