Nel saggio Tra le ceneri di questo pianeta (Nero edizioni, 2019), il filosofo Eugene Thacker si pone una sfida ambiziosa: comprendere il mondo in cui viviamo in quanto mondo umano e mondo non-umano.
Thacker ripartisce l’esistenza tra mondo-per-noi – quello a cui abbiamo dato significato e dentro il quale viviamo – e mondo-in-sé, la dimensione in cui si trova tutto ciò che esiste e agisce a prescindere dall’uomo.
Il mondo-in-sé è una dimensione inaccessibile, “un orizzonte del pensiero in costante fuga” a cui l’uomo tende, ma che non potrà mai raggiungere perché nel momento in cui lo fa, il mondo-in-sé si tramuta nel mondo-per-noi. Per superare il paradosso serve una terza dimensione: il mondo-senza-di-noi, quella “zona nebulosa, al tempo stesso impersonale e orripilante”, che si sviluppa “negli interstizi, negli intervalli o nelle lacunosità” che si aprono tra il mondo-per-noi e il mondo-in-sé.
La filosofia di Thacker prende forma dal Realismo Speculativo, una corrente di pensiero contemporanea che, opponendosi all’antropocentrismo della filosofia kantiana, sostiene l’esistenza di un mondo “là fuori” indipendente rispetto all’intelletto umano; ma è anche debitrice della dicotomia heideggeriana tra Terra e Mondo e dell’indagine sull’opera d’arte quale operazione di comprensione della relazione tra i due insiemi.
Difatti per Thacker il mondo-senza-di-noi è una dimensione da indagare attraverso l’horror. L’opera diventa quindi uno strumento ermeneutico per pensare una dimensione impensabile, per rivolgere lo sguardo verso quell’ignoto in cui gli esseri umani si trovano “gettati”, pur giocando un ruolo marginale nel suo funzionamento.
Seguendo questa speculazione, proviamo qui a parlare di una “graphic-novel d’orrore esistenzialista”, in cui cinque storie in apparenza autoconclusive, accompagnate da un prologo e un epilogo, compongono un micro-cosmo narrativo in cui il soprannaturale pervade la quotidianità, portando il lettore all’interno di una dimensione inquietante che si rifà alle atmosfere dei racconti di Lovecraft e Junji Ito: L’abisso è ovunque (Weird Book, 2018), di Gianluca Borgogni (disegni) e Roberto Donati (testi).
La vicenda inizia col giovane Alberto che precipita in un dirupo durante un’escursione. Rinvenuto, si rende conto di avere una gamba rotta e di non essere più solo. Dalla foschia che lo avvolge emerge un essere antropomorfo, che sembra aver preso vita dalla carcassa di un albero (magistrali, qui come in tutto il fumetto, sono le figure ancestrali evocate dalla matita di Borgogni). La creatura si avvicina ad Alberto, che la osserva combattuto tra fascinazione e disgusto. Il mostro lo afferra per il viso e sembra fondersi con lui.
Alberto è caduto in quello che Thacker ha definito il luogo magico, “il posto nel quale il nascondimento del mondo si manifesta in modo paradossale (rivelandosi in quanto nascosto)”. Il luogo magico è l’evoluzione del classico cerchio magico, il simbolo che nella tradizione letteraria delimita il confine tra il mondo-per-noi e il mondo-senza-di-noi.
Se il cerchio magico è un simbolo che consente di rivelare il mondo nascosto, proteggendo l’umano che si trova al suo interno da ciò che c’è all’esterno, il luogo magico è un luogo in cui la separazione tra naturale e sovrannaturale si annulla.
Il luogo magico, per Thacker, non necessita di rituali per manifestarsi, né è essenziale che sia consacrato, ma ci sono due elementi naturali che lo rivelano: la foschia o la melma. Alberto, abbiamo visto, è precipitato in un luogo impregnato di foschia.
Nella seconda storia, dal titolo Come un occhio nella notte nera, notiamo qualcosa di diverso: nella caratterizzazione dei personaggi, il taglio realista cede il passo a un’estetica cartoonesca, ripresa dalla web-serie Scottecs, che rimanda a un’allegoria critica verso la spasmodica ricerca di attenzione a cui internet e in particolare i social network ci obbligano, amplificando contrasti e scontri tra persone ed esasperando i tratti di una società individualista e iper competitiva.
Dalle pieghe della storia però emerge una realtà dove il processo di “demondificazione” non colpisce solo l’estetica, ma anche i contenuti: «Maddai» esclama uno dei personaggi leggendo un giornale che titola: «è pace globale». La storia è infatti ambientata in un mondo senza più guerre, discriminazioni, lotte di classe e corruzione, lasciando l’umanità, tra le altre cose, priva del macabro gusto di mediatizzare le miserie umane.
Tuttavia, un mondo in cui non esiste dimensione negativa dei sentimenti, non è un mondo umano, ma un mondo privato dall’umano, o quantomeno di una sua parte.
Il fulcro della storia si ha quando un artista di nome Mattia Preti cerca di riportare “l’ordine” a colpi di sassate, compiendo il primo, paradossalmente liberatorio, omicidio in tempo di pace.
«Perché l’ha fatto?» gli chiede una giornalista. Preti non lo sa di preciso. Sa che prova odio, un sentimento umano in un mondo sottratto d’umanità.
La tavola conclusiva ammonisce: «questa realtà apparì sparì d’un tratto, come un occhio che, largo, esterrefatto s’aprì si chiuse, nella notte nera».
Sembra che l’incontro di Alberto con la creatura, all’interno del luogo magico, abbia innescato qualcosa che ha influito sulla realtà, facendo trasudare l’astratto nel concreto, proiettandoci in quella dimensione weird che, come ci ricorda Mark Fisher in The Weird and the Eerie (minimum fax, 2019), si manifesta quando un oggetto, o un portale, una situazione, un luogo, mette in contatto due mondi o due dimensioni differenti, i quali si influenzano attivamente tra loro.
Con la terza storia, Piccola provincia, ritorniamo al piano di realtà di Alberto, ma incontriamo Tommaso, un ragazzo che passeggia di notte tra le vie deserte di un paesino. Come d’ovvio, qualcosa non va, e la sensazione di non essere soli pervade subito Tommaso e quindi il lettore. Non si tratta di sguardi indiscreti nascosti dietro le finestre, sono le finestre stesse gli sguardi, facciate i cui giochi di luci e ombre svelano volti mostruosi.
«Mi viene da immaginare che dietro di esse possa accadere qualcosa di oscuro» pensa Tommaso, e nel voltare pagina un cinematografico movimento di macchina accompagna il lettore nel retro di un’abitazione, dove scopriamo l’indicibile orrore che vi si cela.
I disegni di Borgogni stupiscono per profondità narrativa e macabra rappresentazione dell’osceno, mentre le visioni di Donati riaccendono l’eterna e primordiale domanda con cui ognuno di noi è venuto a patti crescendo: cosa si nasconde nel buio, quando spegniamo la luce? Domanda a cui non c’è risposta, perché il buio è il mondo-in-sé, un orizzonte sfuggevole che alla presenza della luce si tramuta nel mondo-per-noi. La luce è la dimensione dell’umano, il buio del non-umano, dove non-umano non significa “assenza di vita”. Ecco tornare utile la dimensione del mondo-senza-di-noi per addentrarsi nel non-umano.
La quarta e la quinta storia sono ambientate, rispettivamente, nella dimensione di Preti e nella dimensione di Alberto e Tommaso. Fungendo da continuum con le precedenti, mostrano altri aspetti inquietanti del processo di disvelamento dell’ignoto.
Emblematico è l’urlo della ragazza protagonista de Il corpo, in fondo. Il suo volto sconvolto dalla paura rappresenta, per dirla ancora con Fisher, l’eerie cry, il grido inquietante che accompagna l’eeriness, l’esperienza legata allo spazio fisico, al paesaggio, che si manifesta quando finiamo in balia di un’agentività su cui non abbiamo controllo e della quale non abbiamo conoscenza, la quale aggiunge qualcosa, nel paesaggio, che non dovrebbe esserci; o sottrae qualcosa, nel paesaggio, che ci sarebbe dovuto essere.
Per la protagonista de Il corpo, in fondo, ciò che non dovrebbe esserci nelle strade del paese che attraversa è il corpo inerme di una donna che scopre essere il suo, in quanto finita in loop temporale; ne I cuori in cielo, a non doverci essere è una inquietante apparizione già implicita nel titolo.
C’è da fare una precisazione: quella dei cuori è una storia nella storia. Preti, un’artista a cui viene commissionato un racconto, mette in scena una sorta di allegoria critica, evidentemente molto sentita da parte degli autori, verso i quindici minuti di notorietà che il web permette di avere. Assistiamo dunque alla macabra quanto improvvisa rivelazione (l’ascesa dei cuori in cielo), seguita da curiosità che, via via, scema in abitudine per tramutarsi in noia e indifferenza. È in quel momento, quando tutti si dimenticano della loro presenza, che i cuori agiscono.
Al di là della struttura narrativa e della critica sociale, anche qui dalle pieghe della storia emerge qualcosa. Possiamo pensare, ad esempio, che il racconto ideato da Preti altro non sia che il tentativo di svelare il “nascondimento” dell’umano all’interno di un mondo non-umano. È una speculazione, vero, ma la figura di Preti è ambigua, così come la realtà in cui opera, che sembra essere il “sottosopra” del mondo di Alberto, Tommaso e la ragazza incinta. La sua capacità di comprendere questo, dimostrata nel secondo racconto attraverso la riscoperta dell’odio, ci porta a pensare che qui stia agendo alla stessa maniera, solo che anziché svelare la realtà attraverso un gesto fisico, la svela attraverso un’opera.
Chi è Mattia Preti? Potrebbe essere lo stesso Alberto, proiettato, dopo l’incontro con la creatura nel bosco, nel mondo-senza-di-noi (ricordiamo la tavola conclusiva della seconda storia: l’occhio che si chiude sul mondo). Il fatto che sia stato proprio lui a finire lì, in quel sottosopra, e non Tommaso, può essere una casualità, frutto del caos che domina l’esistenza; ma può essere anche una causalità, frutto di un’agentività che sovrasta la natura umana e il suo operato, come sembra dimostrare la direzione presa dall’epilogo.
La nostra esistenza è dominata da una consapevolezza: siamo insignificanti e minuscoli esseri che galleggiano nell’ignoto di un cosmo infinito. Siamo limitati nello spazio e nel tempo, assoggettati a forze oscure, in grado di annullarci o renderci inermi, nella totale indifferenza dell’universo e dei suoi molteplici nascondimenti.
Contro questo abisso, contro questo “brutto poter che, ascoso, a comun danno impera”, per dirla con Leopardi, l’uomo ha anteposto la sua individualità; ha resistito al violento e indifferente flusso dell’esistenza non-umana dando valore alla sua breve e precaria vita; ha acceso il lume della ragione per far luce nelle profondità più nere.
Ma se il lume ragiona ancora in termini umanocentrici, come possiamo comprendere quelle agentitvità non-umane, che animano elementi e forze a noi sconosciute o precluse, che agiscono a prescindere da noi e che continueranno a esistere e ad agire anche quando non ci saremo?
Forze oscure, mosse da intenzionalità a noi ignote, si agitano nel mondo-senza-di-noi, per dirla con Thacker, o nella dimensione dell’eerie, per dirla con Fisher, o nell’abisso, per dirla con Borgogni e Donati. In tutti i casi, siamo davanti a uno spazio che, “nonostante tutta la conoscenza che ne possiamo trarre, serba sempre per sé qualche indizio che giace al di là dell’estensione della nostra capacità di rivelarne il nascondimento”.