Stefano vive un’esistenza apatica e straniante: un divorzio alle spalle, una figlia di cui si interessa poco, un solo buon amico, Gurz, e un rapporto enigmatico con la propria vicina di casa Ines. La sua vita viene all’improvviso sconvolta dall’arrivo di due carabinieri che lo informano della morte della sorella. Una notizia che lo lascia sconvolto, ma per il motivo che non ci immagineremmo: Stefano non ricorda di avere una sorella.
Quasi nessuno ha riso ad alta voce, opera prima di Pastoraccia, inizia con questo mistero e si svolge come un giallo sui generis: non c’è nessun misfatto al centro della storia, nessun colpevole da ricercare, ma solo un passato da portare alla luce. E mentre questo riaffiora, la storia diventa un racconto di traumi rimossi e repressione emotiva che coinvolge la vera protagonista della vicenda, colei che non può più parlare: la vittima, Matilde.
Nel disvelamento dei segreti della famiglia di Stefano, il thriller di Pastoraccia si reinventa in maniera inaspettata e diventa riflessione sulla femminilità e sul ruolo della donna in una società maschilista e puritana, che non sa come affrontare un discorso serio sulla sessualità e l’emotività femminile e per questo ricorre all’inibizione di qualsiasi impulso. Gli impulsi sono infatti assenti negli uomini, in particolare Stefano, che impersona la negazione di qualsiasi sentimento, anche nei momenti più drammatici.
La sua incapacità nell’approcciarsi alle emozioni si rivela sia nel rapporto con le donne del proprio presente che con quelle del proprio passato. La relazione con Ines oscilla tra quella materna e qualcosa di più triviale, tra l’infastidito e l’interessato, rendendo questa figura forse la più ambigua dell’intero racconto; quella con Matilde lo mette di fronte a un passato di cui non ha un ricordo, ma che non vuole veramente affrontare: preferisce infatti incapsularlo in una statua di ceramica, che oggettivizza in maniera morbosa il corpo, ma non l’essenza, della giovane donna, destinata quindi a essere per sempre solo soprammobile da ammirare e che non potrà mai autodefinirsi.
Lo scontro tra questi due mondi non passa solo dalla trama, in maniera più o meno esplicita, ma anche dal disegno, che contrappone figure maschili dai tratti stilizzati e grotteschi a figure femminili (sia Matilde che Ines) dai tratti definiti, le uniche capaci a mostrare le proprie emozioni, i segni della sofferenza, ma anche della gioia, sui propri volti.
A caricare la storia di una tensione palpabile ma strisciante è l’atmosfera, sospesa e straniante, che incorpora in maniera esplicita tanto gli elementi della metafisica di Giorgio De Chirico (le celebri statue-manichino che compaiono qua e là) quanto le fantasie oniriche di David Lynch (in particolare quelle di Twin Peaks), inserendole però in un contesto realistico, fatto di architetture ben definite e di una rappresentazione realistica della provincia italiana (ferrarese, nello specifico), una provincia che è sempre capace di evocare incubi lucidi e storie enigamtiche.
Il racconto di Pastoraccia risulta in alcuni frangenti quasi sovraccarico di simboli, citazioni e omaggi, piccoli piccoli quadri ritagliati all’interno della storia che rappresentano non solo il mondo circostante, ma anche oggetti in ceramica, nature morte (qui riprendendo un altro esponente della metafisica come Giorgio Morandi), animali, paesaggi rurali e cittadini del delta del Po. Tutto questo, pur creando ambientazioni suggestive che nascono da contrasti tra elementi in alcun modo correlati e pur arricchendo l’opera di un ulteriore livello interpretativo, ovvero quello della riflessione sull’arte e il rapporto con la vita (e la morte) dell’essere umano, sembra a volte sfociare in un gioco citazionistico fine a sé stesso, che poco aggiunge alla storia, andando a volte ad appesantirne la struttura. A rendere questi elementi più digeribili ci pensa un tratto sintetico e preciso e un’organizzazione della tavola chiara e geometrica, capace di sia di guidare la storia con fluidità che di creare momenti bloccati fuori dal tempo della narrazione.
Nonostante alcuni passaggi in cui il virtuosismo sembra assorbire e far sparire il nocciolo storia, Quasi nessuno ha riso ad alta voce è un giallo dalle atmosfere inquietanti e dal fascino magnetico, indubbiamente un racconto stratificato capace di parlare di questioni molto attuali senza banalizzarle e senza scadere nel didascalismo.
Abbiamo parlato di:
Quasi nessuno ha riso ad alta voce
Pastoraccia
Canicola, 2022
144 pagine, brossurato, bianco e nero – 18,00 €
ISBN: 9788899524845