Di solito non mi piacciono i riadattamenti da racconti e romanzi. Al di là della bravura o meno dell’autore, li trovo sempre forzati nell’interazione tra testo e disegno, un po’ troppo legati nello sviluppo, di solito eccessivamente didascalici. Giuseppe Palumbo, autore di questo L’ultimo treno, a mio avviso, è riuscito invece a smentire, per una volta, questa regola che mi spinge sempre ad essere diffidente rispetto a questo tipo di prodotto.
Partendo dal racconto di Massimo Carlotto, Amore e odio di un gitano a Guernica, Palumbo riesce con tratti di matita grossi e sporchi, con un bianco e nero a volte straziante nella sua espressività, a narrare una storia intensa, colma di disperazione, amore, speranza e odio, uscendo facilmente dalla quotidiana, e spesso banale, produzione fumettistica nostrana.
La cifra stilistica dell’autore, in effetti, sembra questa. Le radici post-moderne e futuribili dei suoi primi giovanili lavori (vedi Ramarro), qui si fondono con una narrazione che nei temi sa di antico, ma che si avvale di un approccio moderno, agile ed intelligente.
La composizione delle tavole, divise spesso in riquadri orizzontali (spesso tre, ma alla fine nel crescendo finale, sei) richiama spesso una narrazione volutamente cinematografica, dove i particolari sono spesso predominanti; ora uno sguardo, ora una mano con una pistola, ora una bocca, un mezzo busto. Anche il modo di inserire i rumori di scena, che nel loro trasbordare da una vignetta all’altra e da una pagina all’altra diventano quasi degli effetti visivi, rimandano al cinema, dove il sonoro è sempre più avvolgente. Come succede nei moderni cinematografi, il medium non è più piatto, ma acquisisce profondità, c’ingloba senza invaderci, straniandoci senza scostarci dalla sua fruizione.
Emoziona altresì vedere come lo sguardo del protagonista diventa maschera di una tragedia che da personale e privata diventa comune sia per un popolo, quello spagnolo, che per un’epoca; entrambi sconquassati da una guerra molto spesso fratricida. Tutto questo in un fumetto?
Credo che non dobbiamo meravigliarci se dai riquadri di una tavola salta fuori urlante la furia di uno stuka tedesco, e ci ritroviamo all’istante catapultati nel Guernica di Picasso. Non ci deve sorprendere se il fumo delle macerie ci fa lacrimare gli occhi, e se il nero delle matite di Palumbo ci ricorda che da qualche parte del mondo, o lontano nel tempo la speranza finisce presto in tragedia.
Una nota di merito in più va ai tipi di Alta Fedeltà, per il coraggio nel proporre lavori come questi, che non credo abbiano immediato riscontro in termini economici, ma che senza dubbio segnano un altro punto a favore per quelli che pensano che il linguaggio fumettistico sia anche ricerca e sperimentazione. Ottima inoltre, come tutti i lavori di questa casa editrice, la veste grafica, sobria ed elegante.