Cosa vuol dire vivere con una sindrome che rende le cose più banali più complicate, quasi insormontabili, mentre altre che possono sembrare complesse diventano quasi banali? Magari un suono troppo forte che normalmente può dare solo un po’ fastidio si trasforma in un’esperienza traumatica, o la rottura della routine quotidiana per un guasto alla metropolitana può diventare in un’odissea dolorosa, che non può essere vinta dalla conoscenza enciclopedica di cineasti o di attori famosi, e nemmeno da una mente matematica eccezionale. O ancora, una figura retorica come la metafora potrebbe lasciarci storditi e confusi, perché non si è mai visto nessuno avere veramente peli né sulla lingua, né sullo stomaco: sarebbe una cosa orribile. Insomma, come è vivere la vita di Ted?
Partendo da queste domande l’autrice belgo-messicana Émilie Gleason cerca di spiegare la vita di chi soffre di sindrome di Asperger, un cosiddetto “disturbo dello spettro autistico ad alto funzionamento”. Gleason ben conosce questo mondo, essendo il fratello affetto da questo disturbo: un mondo diverso dal nostro, pieno di piccole ossessioni e di tante piccole, incomprensibili banalità, di difficoltà che possono trasformare la vita in un inferno, ma anche di opportunità inaspettate.
In 128 pagine ricche di colori e bizzarre trovate stilistiche, Gleason segue la vita particolare di Ted, personaggio alto e dinoccolato, un corpo sgraziato e goffo che si muove tra un autobus e la biblioteca in cui lavora, incontrando di volta in volta problemi che nascono dallo scontro tra il suo mondo interiore e quello esteriore.
Siamo però lontani da Schattenspringer di Daniela Schreiter: se in quel caso l’autrice raccontava con dovizia di particolari le sensazioni e i sentimenti di una persona affetta da Asperger, con il chiaro intento di informare prima ancora che raccontare, in questo caso Gleason si affida completamente alla componente artistico visiva, lasciando alla pura narrazione il compito di far trapelare non solo le sensazioni del protagonista, ma anche e soprattutto quella delle persone che lo circondano.
L’obbiettivo dell’autrice è sì quello di raccontare la sindrome e come ci si debba convivere, come individuo ma anche come parte di una comunità, ma non pretende mai di farne un trattato scientifico, focalizzandosi invece solo sulla propria esperienza personale. Pur non essendo un racconto autobiografico, Gleason attinge a piene mani al suo vissuto e a quello della sua famiglia, non nascondendo anche comportamenti tragicamente umani, che mettono in luce le fragilità di chi ama ma non riesce sempre a comprendere e accettare: pur cercando di aiutare Ted, la famiglia si trova spesso stanca, infastidita, finanche inorridita dal figlio. Un libro lontano da una narrazione pietistica, onesta fino in fondo e che rappresenta l’ammissione dell’autrice del percorso fatto per accettare alcuni aspetti difficili della sua vita con il fratello.
Per raccontare tutto questo l’artista attinge tanto alla Pop Art e alla Art Brut, quanto alle correnti del fumetto undergound statunitense e europeo, da Michael DeForge a Jesse Jacobs: nel mondo creato da Gleason i personaggi sembrano spremuti da un quadro di Keith Haring, venendone fuori allungati, bitorzoluti, snodati all’inverosimile. E qui si crea il contrasto tra contenuto del racconto e la sua forma, un contrasto straniante che aumenta l’impatto sia dei momenti più (a volte involontariamente) comici a quelli più tragici, sottolineando tutta la bravura dell’autrice a sfruttare uno stile slapstick in contesti meno consoni e consueti. In questo modo le crisi di Ted, alcune a volte veramente terribili e cruente, vedono le forme e i colori farsi sempre più contorte, sempre più intrecciate tra loro, fino ad esplodere in un tripudio geometrico e psichedelico che getta il lettore nella confusione più totale, per poi ritrovare una calma dopo la tempesta.
Oltre a saper costruire passaggi di grande intensità emotiva (come la crisi in casa prima del ricovero in una clinica o quella che avviene alla fine del volume) grazie al proprio segno e alla scelta dei colori, Gleason dimostra completa consapevolezza della potenzialità sequenziale del medium: un esempio su tutti è la rappresentazione del “rito” della vestizione mattutino di Ted, che riporta i passaggi routinari e maniacali del ragazzo con scelte ripetute di scene e inquadrature, mostrando anche le conseguenze di piccoli cambiamenti a questa ritualità. Anche il susseguirsi di piccole vignette con varie espressioni di Ted, spesso rese con tre tratti di pennino che si muovono come macchie di Roschach, dimostra una voglia di sperimentare le possibilità del fumetto e del proprio stile pur rimanendo fedeli al racconto.
Come molti fumettisti contemporanei, lo stile di Gleason rientra in un certo filone di fumetti “disegnati male”, che in questo caso trova nell’essenzialità del tratto e nell’abbondanza di forme geometriche e segni dinamici l’elemento narrativo più coinvolgente e d’impatto. Il mondo di Ted è un mondo inquieto, squassato da emozioni forti, talvolta troppo forti, che trovano un epilogo duro da accettare, che arriva improvviso e lascia sconfortati, spaesati, dopo aver vissuto con il protagonista su un ottovolante tragicomico. Un ottovolante ben costruito da Émilie Gleason, un’autrice giovane ma dalle idee già chiare e di cui sentiremo ancora parlare.
Abbiamo parlato di:
Ted, un tipo strano
Émilie Gleason
Traduzione di Valerio Camilli
Canicola, 2020
128 pagine, brossurato, colore – 18,00 €
ISBN: 9788899524470