Ma Trump è davvero Mad?

Ma Trump è davvero Mad?

La satira eccessiva di “Mad” attacca a testa bassa il nuovo presidente americano, Donald Trump, in uno scontro dagli sviluppi scontati, mostrando i limiti di un approccio goliardico nei confronti dello stile cialtronesco del presidente degli USA.

Mad è la più celebre rivista di satira statunitense, un mensile ideato da Harvey Kurtzman e William Gaines nel 1952 per la EC Comics, l’editrice dei famigerati fumetti del crimine e dell’orrore, che sarebbero di lì a poco caduti sotto gli strali di Fredric Wertham e dei suoi crociati anti-fumetto.

Mad fu l’unica loro testata a sopravvivere a quella stagione gloriosa, grazie al fatto di rivolgersi a un pubblico adulto cui non si applicava il censorio Comics Code del 1954, e da allora si scaglia con equanime ferocia sui due grandi schieramenti della politica americana, la sinistra democratica e la destra repubblicana, con tutte le sfumature e gli addentellati delle due fazioni (a proposito di Mad, vedi anche qui un nostro approfondimento).

Mad non poteva quindi mancare l’appuntamento con Donald Trump, che offre alla “solita gang di idioti” (orgogliosa auto-definizione collettiva del team autoriale della rivista) un bersaglio perfetto: forse, come vedremo, pure troppo perfetto.

Il numero dedicato a Trump riprende infatti i soliti moduli satirici di Mad, applicandoli in questo caso allo spietato tycoon che, dopo una lunga carriera da magnate e da personaggio televisivo, si è fatto strada nelle primarie repubblicane e nelle elezioni fino a conquistare la poltrona del potere più prestigiosa del mondo.

Trump diviene così il protagonista di fumetti satirici, spesso brevissimi, di una o due pagine, oppure lievemente più lunghi ma concepiti in modo molto simile, ovvero come accumulazione di gag immediate. Il più brillante è forse quello di Nick Nomad e Alejandro Rivas, Un triste giorno in Sud Dakota, che sembra anche satireggiare certi stilemi del fumetto supereroistico alla Frank Miller, nell’uso di onomatopee grafiche a tutta vignetta.

Altri, pur nell’inevitabile efficacia di un meccanismo comico veloce nelle mani di indubbi professionisti, risultano più scontati e meno in grado di stupire un lettore minimamente avveduto. Inoltre, L’adozione di caratteri tipografici nella traduzione al posto del lettering manuale dell’originale impoverisce indubbiamente l’efficacia grafica dell’immagine (in qualche raro caso risulta anche male allineata rispetto al balloon).

Dei due fumetti più lunghi, il più interessante è quello dove Trump conduce una puntata immaginaria del suo reality “The apprentice”, con grandi figure dell’antichità, da Gesù a Hitler. Il segno cartoonesco dell’autore, Tom Bunk, è azzeccato e graffiante: nella caricaturalità stolida delle espressioni di tutti i personaggi si riflette bene l’angoscia di un mondo a misura di Trump.
I testi tuttavia sono piuttosto verbosi, l’impostazione di tavola statica e ripetitiva, e di nuovo non aiuta il lettering in stampatello minuscolo, non corrispondente al più cartoonesco lettering manuale dell’originale. L’impostazione di tavola è comunque piuttosto convenzionale, senza particolari raffinatezze, puramente funzionale alla mediazione del contenuto di spietata satira senza che questo vada a stimolare soluzioni visive particolari.

Il segno cartoonistico è spesso più convincente nelle vignette che nel fumetto: se in quest’ultimo, pur nella caricaturalità, resta un’esigenza di leggibilità maggiore, la vignettistica talvolta volge verso una deformazione radicale della figura trumpiana, con esiti anche brillanti.

Una buona parte dell’albo è infine dedicata a una satira testuale, che nella tradizione di Mad crea falsi testi informativi con cui schernire il proprio bersaglio polemico. Alcuni sono validi, come l’impietoso confronto iniziale tra Trump e i suoi più illustri predecessori, oppure il divertente catalogo Banana Republican che mette alla berlina i fiancheggiatori del presidente. Altri invece risultano stucchevoli e ripetitivi, andando a rielaborare in decine e decine di modi diversi gli stessi ovvi concetti di base circa l’arrogante volgarità di Trump.

Mad insomma si conferma quello che è: satira eccessiva, estrema, senza compromessi. Il focus giustamente è su Trump, ma i democratici sono comunque scherniti pesantemente quando vengono citati, senza alcun timore reverenziale. Si citano poi senza problemi Hitler, Gesù e Dio, e persino il “papa buono” Francesco è reso oggetto di un confronto con Trump da cui nessuno dei due esce vincitore.

Ancora una volta la divertita cattiveria in stile goliardico non riesce a colpire davvero in profondità, limitandosi a lanciare torte in faccia al potente di turno. Tuttavia, nel caso di Trump, questo appare un limite particolare: se una satira sbracata poteva essere il modo di dire che il re è nudo nei confronti di pomposi repubblicani tradizionali come i due Bush, o di sussiegosi paladini democratici come Obama o la Clinton, Trump ha vinto grazie una campagna elettorale incentrata proprio sul suo stile buffonesco e cialtrone, certamente insopportabile alla metà di elettorato che gli è ostile, ma colto come divertente dall’altra. La pernacchia, per quanto scurrile, non sembra scalfire la sardonica soddisfazione appiccicata sulla faccia di bronzo (anche nel colore) di Trump.

Forse per colpire davvero in profondità ci vorrebbe un’altra capacità di castigare, ridendo, i costumi, come quella ad esempio messa in scena da Doonesbury contro Trump, da sempre bersaglio polemico della striscia. Ma la pur divertente clownerie di Mad non sembra in grado di farlo realmente.

Abbiamo parlato di:
Mad contro Trump
“La solita gang di idioti”
Rw Lion, 2017
128 pagine, brossurato, colori –12,95€
ISBN: 9788893519908

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