X-O Manowar. Ninjak. Faith. Bloodshot. Questi nomi sono oggi conosciuti non solo dai fan hardcore della Valiant Entertainment, ma anche a un pubblico più vasto. X-O Manowar è stato protagonista, sul finire degli anni ’90 (quando la Valiant era proprietà della casa di produzione Acclaim Entertainment), di un videogioco, nientemeno che in coppia con Iron Man. Ninjak ha avuto recentemente una webserie a lui dedicata. Bloodshot è il protagonista del primo (mediocre, secondo la nostra opinione) film dedicato ai personaggi Valiant, interpretato da un favorito del pubblico come Vin Diesel.
Toyo Harada è invece poco conosciuto, sebbene lo scrittore Joshua Dysart lo abbia reso sin dal rilancio della Valiant nel 2012 uno dei personaggi più affascinanti tra quelli dell’editore e forse dell’intero panorama mainstream statunitense degli ultimi anni. Dietro il volto dell’imprenditore giapponese si nasconde in realtà uno psiota, un essere dai poteri eccezionali, creatore della Fondazione Harbinger, un’accademia segreta pensata a per crescere una generazione di psioti destinati a ereditare la Terra.
Il personaggio, nato nel 1992 dalla mente di Jim Shooter e Don David, appare per la prima volta su Solar, the Man of Atom #3 per poi diventare il villain principale della testata Harbinger e di tutto l’universo Valiant. Nonostante alcune ingenuità, la caratterizzazione machiavellica e “messianica” del personaggio si configura fin da subito come un elemento interessante, inserendo elementi politici e culturali del mondo reale all’interno di un contesto supereroico (la partecipazione di Harada in alcune importanti eventi storici quali la crisi dei missili di Cuba). In questo senso, il personaggio si avvicina ad altri villain del mondo del fumetto, come ad esempio il Dottor Destino o Lex Luthor, diventando quindi elemento per poter affrontare temi di attualità.
Nessuno scrittore avrebbe potuto essere più adatto a scrivere Harada di Joshua Dysart, visto il costante impegno profuso dallo scrittore per creare storie che affrontassero tematiche complesse, dalla guerra in Uganda in Unknown Soldier alla condizione dei senza tetto in Goodnight Paradise. Nelle mani di Dysart il personaggio si trasforma sia nelle origini che nell’aspetto ma le ambizioni restano le stesse, attualizzate nel mondo di oggi. La guerra di Harada non diventa solo un confronto intergenerazionale con il riluttante “eroe” Peter Stanchek, ma anche una complessa partita a scacchi con il mondo intero, in particolare con il conglomerato bellico a capo di Spirito Nascente (responsabile dei progetti H.A.R.D. Corps e Bloodshot).
Se in Harbinger l’approccio di Dysart è soprattutto supereroistico e mette in scena uno scontro di personalità che riflettono sul senso del potere e le sue responsabilità, nel corso di Imperium lo scrittore inizia ad affrontare temi a lui più cari, spostando il teatro del conflitto in Somalia e in Congo e aprendolo a potenze internazionali quali Russia, Cina e gli Stati Uniti. In questa nuova incarnazione Dysart crea un affresco del mondo contemporaneo, dei conflitti che lo scuotono, delle ragioni politiche ed economiche alla base di questi, nonché delle manovre che si celano dietro a spargimenti di sangue che colpiscono i più deboli. Imperium si inserisce così nel filone di quei racconti supereroistici in cui si cerca di rispondere alla domanda: “Cosa succederebbe se esseri con superpoteri camminassero tra noi?”.
La vita e la morte di Toyo Harada
A distanza di due anni dalla conclusione della serie Imperium, Joshua Dysart torna nell’universo di Harbinger, Unity e Bloodshot per scrivere quello che sembrerebbe essere l’atto finale del mefistofelico psiota. In questa nuova miniserie, l’autore ci presenta il passato e il presente di Harada, spiegandoci come sia diventato quello che è e quali siano i suoi piani: la guerra in Giappone e la tragedia di Hiroshima, la scoperta dei poteri quasi divini, la voglia di cambiare il mondo ricorrendo a qualsiasi mezzo, il suo autoesilio e la sua lenta trasformazione in un dittatore illuminato, freddo e crudele. In questo modo lo scrittore costruisce una vera e propria epica del personaggio, andando a completare il mosaico costruito nell’arco di sette anni e intrecciandolo con alcuni momenti della storia statunitense e mondiale.
Al tempo stesso porta avanti la trama imbastita in Imperium: la nuova Fondazione è messa sotto assedio dal progetto Spirito Nascente, supportato da Cina e di altri paesi alleati contro Harada, e minacciata da tradimenti interni. Come già fatto nella precedente serie, lo scrittore racconta le reazioni credibili dei governi più potenti del mondo nei confronti di una minaccia superumana. Il contrasto tra Harada e le superpotenze mondiali diventa un modo per continuare la discussione sugli equilibri mondiali, sulle strategie espansionistiche e neocolonialiste delle varie potenze, sull’etica della politica e del mondo industriale, nonché del loro cinismo e relativismo: se Harada è un uomo con una ambizione enorme e un piano nobile, portato avanti con mezzi atroci e terribili, il capo del Progetto Spirito Nascente, Kolkoz, è un uomo avido di potere e guadagni, che non si fa scrupoli a commettere nefandezze simili o superiori al nemico pur di guadagnare sempre più potere e denaro.
Tutte queste riflessioni sono integrate molto bene all’interno di un buon fumetto di azione, ben equilibrato tra momenti di grande dinamismo e introspezione, che si regge in particolare sulle relazioni conflittuali tra i vari personaggi, i quali confermano quella tridimensionalità e fascino che lo scrittore aveva saputo costruire durante Imperium. L’ultima storia di Harada è infatti anche l’ultima storia dei suoi “collaboratori” e nemici: dall’ex H.A.R.D. Corp riconvertito, l’onorevole e integro Gravedog, al robot gentile e umano Mech Major (o meglio, Tramonto sulla Neve), dal violento e nichilista Signore della Vigna 99 all’involucro Angela, la donna abitata da una creatura extradimensionale incontrata già in Divinity, fino ai membri restanti della Fondazione (Stronghold e la dottoressa Ingird in testa), tutti incontrano il loro destino in maniera credibile e consequenziale con quello visto finora. Anche i colpi di scena che riguardano Harada danno ai lettori più fedeli una grande soddisfazione per un finale che lascia le porte aperte a nuovi, interessanti sviluppi.
In questo senso, La vita e la morte di Toyo Harada non è un fumetto in cui chiunque possa entrare senza trovarsi smarrito. Al tempo stesso, le sequenze ambientate nel passato danno degli elementi nuovi a tutti i lettori, rendendo il contesto quantomeno comprensibile nei suoi punti salienti. L’unica pecca sta solo nel capitolo finale, che, sebbene si chiuda su una nota poetica e intima, si focalizza molto sullo scioglimento dei misteri della trama e la spiegazione di cosa sia successo. Questo non intacca lo storytelling che, per quanto si basi su una struttura narrativa ben rodata di un pre-finale che prelude al vero finale, funziona comunque in maniera ottimale.
Tutti per uno: gli artisti a lavoro sul personaggio
Così come la storia, anche i disegni sono divisi su due piani di racconto, con la narrazione del passato affidata di volta in volta a un artista diverso, passando in rassegna alcuni dei migliori disegnatori che lavorano o hanno lavorato in Valiant.
Il primo a confrontarsi con Harada è Mico Suayan: il tratto del disegnatore è fine ed elegante, dettagliatissimo e iperrealistico, eppure sempre pervaso di un senso di sogno terrificante e angoscioso, reso grazie a inquadrature da sotto e da prospettive leggermente deformate. In questo modo, Suyan riesce a rendere perfettamente l’atmosfera inquietante che percorre la vita del giovane Harada, visto come un dio onnipotente e disumano da alleati e nemici. Segno iperrealistico e superfici patinate caratterizzano anche il quarto capitolo, disegnato da Diego Yapur: i toni giallo, beige e ocra danno al capitolo dedicato agli anni “dimenticati” ambientati nel mondo dei figli dei fiori, quelli in cui il protagonista si dimentica di sé stesso per proteggersi dai nemici, un’atmosfera nostalgica, sospesa e spirituale. Yapur, forse in alcuni casi più illustratore che non fumettista, riesce comunque a narrare bene la parabola di Harada in questo periodo, caricandola di un senso di tensione che si scioglie nel ritorno alla vita normale, che si accompagna al mesto scivolare della stagione della rivoluzione dei costumi del ’68.
Butch Guice, autore del secondo capitolo, sfrutta al massimo il suo tratto sporco, i suoi chiaroscuri affascinanti e pulp, per una storia ambientata tutta sull’oceano che sancisce la definitiva ascesa dell’uomo al dio, una trasformazione magnifica e terribile resa bene dall’artista e dai colori cupi e bui di Dan Brown: il bianco del volto di Harada, la sua luce che spezza l’oscurità danno un tocco quasi horrorifico al racconto, quello della nascita di un messia dell’Apocalisse.
Di tutt’altro genere la parte disegnata da Adam Pollina, in cui Harada incontra nientemeno che un Albert Einstein prossimo alla morte: in questo racconto sulle soglie del sogno, il disegnatore sceglie una costruzione della tavola molto fluida e spezzettata, che ben richiama l’idea di una mente fratturata sul finire della vita, in cui i ricordi si sovrappongono. I colori acidi di Kat Hudson rafforzano l’immagine visionaria del racconto.
Il penultimo capitolo, disegnato da un Kano altalenante ma comunque bravo a definire le espressioni dei personaggi e a creare immagini evocative come quella del gigantesco Harada accoccolato e spezzato da varie vignette, si concentrano sull’ingresso di Stronghold nella fondazione e la fine di Simon, uno psiota potentissimo e instabile legato a doppio filo con Harada.
L’ultima parte del racconto, affidata al veterano Doug Braithwaite, ci porta in un mondo lontano e in un’esperienza ai confini con la morte: il tratto sottile del disegnatore, le sue lievi sfumature che si fondono con colori tenui e vaporosi, sono quanto mai adatti per rappresentare un mondo alieno, terribile e bellissimo al tempo stesso.
Tutti questi capitoli sono saldati insieme dalle matite di Cafu, autore di tutta la storia ambientata nel presente, l’ultima avventura di Harada. Disegnatore più classico e “quadrato”, il tratto pulito di Cafu, insieme ai colori dagli effetti patinati e metallici di Andrew Dalhouse, riescono a rappresentare al meglio le scene di azione, dando un ritmo dinamico e veloce. L’artista è particolarmente bravo sia nel costruire una narrazione chiara e consequenziale, sia nel rappresentare con grande precisione e dettaglio le numerose tecnologie, uniformi e ambientazioni del fumetto. Meno riusciti sono alcuni passaggi più riflessivi, quelli dei confronti tra i personaggi: se a volte la resa delle espressioni è efficace e intensa, altre volte le linee un po’ troppo legnose e dure impediscono di avere una mimica facciale ottimale.
In conclusione, La vita e la morte di Toyo Harada è una chiusura esemplare di un ciclo lungo e non banale, il saluto di un autore e una serie di artisti a un personaggio complesso, una chiusura che non suona come un addio, ma un arrivederci, in attesa che un altro autore sensibile ed esperto come Joshua Dysart prenda in mano questo mondo di eroi e criminali sfaccettati e affascinanti.
Abbiamo parlato di:
La vita e la morte di Toyo Harada
Joshua Dysart, CAFU, Mico Suayan, Butch Guice, Adam Pollina, Kano, Diego Yapur, Doug Braithwaite
Traduzione di Fiorenzo delle Rupi
Star Comics, 2020
224 pagine, brossurato, a colori – 10,90 €
ISBN: 9788822618177