I primi passi di Mickey Mouse, come noto, furono percorsi nell'ambito dei corti cinematografici, prodotti caratterizzati una struttura narrativa a gag prettamente comica.
In tale contesto il personaggio ideato da Walt Disney esaudiva al suo compito vivendo storie semplici nelle quali provocava, si trovava in baruffe o semplicemente si divertiva tra balletti, corse e quant'altro in situazioni paradossali e frenetiche. Se successivamente, pur mantenendo per ovvi motivi questa impostazione di base, la personalità di Mickey si sarebbe fatta più sfaccettata e le trame più articolate, gli esordi erano all'insegna della semplicità e della spensieratezza.
Il passaggio alla carta stampata, all'interno delle prime strisce pubblicate sui quotidiani statunitensi, ideate e disegnate da Floyd Gottfredson, supportato da alcuni sceneggiatori, mantenne inevitabilmente questa primigenia caratterizzazione mutuata dal grande schermo: il Topolino originario, anche nei fumetti, era quindi un ragazzino poco più che adolescente, che si muoveva in un'ambientazione povera e rurale dell'America anni Trenta, nella quale si divertiva come un matto, viveva con pochi vincoli e si buttava a capofitto in ogni situazione.
Un abbigliamento da ragazzino
Walt Disney, da genio quale era, sapeva bene che una forma lineare era la soluzione migliore nella creazione di un nuovo personaggio dei cartoon: la caratterizzazione grafica, composta dall'essenzialità del tratto e dalla bassa definizione dei dettagli, era efficace nel contesto slapstick perché garantiva l'espressività necessaria alle gag, ed efficiente perché consentiva una realizzazione rapida ed economica dei disegni.
La figura di Topolino, in estrema sintesi, si poteva ridurre infatti a tre cerchi per il volto e a un corpo molto semplice, formato da un busto e da quattro “tubi flessibili” che rappresentavano gamba e braccia.
Anche per l'abbigliamento era quindi necessaria la semplicità delle scelte: due grosse scarpe e un paio di pantaloncini con due bottoni erano sufficienti per vestire il personaggio, soluzioni adatte a quello che in fondo era niente più di un monello di strada, figura tra l'altro ricorrente in molte strisce comiche di successo.
Tale escamotage si sarebbe rivelato molto più lungimirante del previsto, dal momento che le mitiche braghette rosse sono bastate a rendere credibile il personaggio anche quando le avventure hanno iniziato a complicarsi, vedendo agire pur sempre un giovanotto di poche pretese, ma capace di sfoderare un carattere indomito e di affrontare storie al cardiopalma.
Sembra limitante ridurre la spiegazione di questa funzionalità alla sola sospensione dell'incredulità: i più smaliziati potrebbero limitarsi a dire che, una volta accettato un topo senziente in grado di parlare, preoccuparsi dei vestiti sarebbe strano.
Ma è probabile che il motivo risieda anche in un'estetica particolarmente azzeccata, valevole tanto per le storielle più leggere quanto per i gialli più articolati perché confacente all'animo giovanile incarnato dal protagonista in quella fase della sua vita e al periodo storico di ambientazione. Al di là di ciò, inoltre, un vestire comodo e funzionale si presta bene a scene d'azione e inseguimenti, che abbondano quasi da subito, senza contare l'indubbio carattere identificativo che acquisirono, in modo non dissimile a quanto sarebbe accaduto con i costumi dei supereroi.
Il successo dei pantaloncini è tale da essere sopravvissuto nell'immaginario collettivo fino ad oggi, al punto che la maggior parte della gente individua questo capo come indissolubile dalla figura di Mickey, anche per via del merchandising che ha continuato a raffigurarlo così, pur attualizzando lo stile grafico.
Non fu quindi strano che, quando a fine anni Novanta la Disney volle rilanciare la figura un po' appannata del suo personaggio-simbolo, nei nuovi progetti animati che lo videro coinvolto tornò a vestire quei panni, tanto al cinema (dal cortometraggio Il cervello in fuga in poi) quanto in televisione (con il lancio della serie antologica Mickey Mouseworks e le successive), fino a sfociare anche nei fumetti del secondo polo produttivo europeo, realizzati in seno alla casa editrice Egmont per i paesi scandinavi e nordeuropei.
Il riutilizzo di questo stile, ad ogni modo, si spiega anche con la fascinazione del “vecchio stile”, che associa l'immagine di Topolino in braghette con gli anni d'oro della sua carriera e con un immaginario mitico.
Gli screzi di quartiere
Cartina di tornasole del primissimo Topolino a fumetti sono le storielle rurali e di vita quotidiana, che mostrano una continuità molto stretta con quanto viveva contemporaneamente al cinema.
L'essenza della monelleria del personaggio si ritrova in questo pugno di strisce a continuazione, che si focalizzavano su un Mickey cosciente della propria natura animale, che si muoveva in un contesto bucolico e sembrava ben lontano dal preoccuparsi di imprese eroiche.
Tra le storie più emblematiche a questo proposito c'è Topolino contro il gatto Nip, che racconta una serie di dispetti e rivalse tra i due personaggi del titolo. Tra nodi alla coda e trappole a base d'alcool, le strisce scorrono senza una vera trama ma procedendo per scenette, unite solo dalla continuità dell'attrito tra Mickey e Nip, dove il primo non si dimostra migliore dell'altro.
Sulla stessa falsariga si annovera Topolino e la pensione di Clarabella, nella quale il giovanotto briga anche per far fidanzare Orazio e Clarabella, entrambi troppo timidi per dichiararsi. Già di per sé l'intento è tipico di un ragazzino un po' malizioso, ma basta osservare il modo irriverente e burlone con cui porta avanti il proprio intento per avere ulteriore riprova dell'animo pestifero del giovane Mickey.
Inoltre anche Topolino e il bel gagà offre un bello spaccato delle “semplici” preoccupazioni di questa primigenia versione del personaggio: la sua fidanzata Minni viene insidiata da un dongiovanni che la seduce, gettando il protagonista nella depressione al punto da provare, pur senza successo, a suicidarsi. Ma il topo sa presto ridestarsi e passare al contrattacco.
Oltre al carattere volitivo del personaggio, viene resa evidente la natura campagnola del contesto, grazie alla moltitudine di animali da cortile che affollano le vignette, alla presenza costante della fattoria dei genitori di Minni come setting e al ripetuto furto delle uova che subisce la sua famiglia, una delle prime sottotrame gialle della produzione topolinesca.
Esordisce inoltre Sgozza, avanzo di galera che diventa fino ai primissimi anni Trenta un compare di Topolino, con il quale vive alcune trame sempre sui toni scanzonati che abbiamo evidenziato finora.
Il primo approccio all'avventura
Questa prima fase della carriera di Topolino nei fumetti si può far terminare con Topolino e i pirati: la storia possiede chiari echi stevensoniani e fonde l'animo sbarazzino e disimpegnato del titolare di striscia con una trama fortemente improntata all'avventura.
L'analogia con il Jim Hawkins de L'isola del tesoro accentua questo passaggio, che si ripercuote nella successiva Topolino e Orazio nel castello incantato, dove le atmosfere si avvicinano addirittura all'horror; una modifica dei toni figlia probabilmente della riflessione sul pubblico di riferimento di queste strisce, per buona parte acquirenti del quotidiano ormai adulti, in grado di godere di atmosfere e intrecci più complessi.
Dopo queste due avventure non mancano altre parentesi più leggere, in cui Gottfredson e i suoi collaboratori possono concentrarsi su vicissitudini urbane, ma si era ormai dimostrato che il personaggio aveva la capacità di reggere anche trame più articolate e complesse, lambendo generi narrativi apparentemente distanti dalle attitudini di un funny animal.
Dalla metà degli anni Trenta Topolino rimase coinvolto in una storia di fantasmi, nella Legione Straniera, in una caccia alla balena e in alcune detective-story e spy-story (come ad esempio L'Uomo Nuvola). L'umorismo non mancava mai, com'è naturale, ma serviva più che altro a stemperare situazioni di tensione e a prendere respiro dall'incedere dei racconti.
Il carattere del personaggio inevitabilmente cambiò: si limarono certe esuberanze adolescenziali e si addolcirono certi atteggiamenti, pur mantenendo intatta la freschezza della sua figura. Era ancora uno scavezzacollo pronto a rischiare la vita, insomma, ma iniziava a concentrare questa indole in occasioni in cui doveva fare la sua parte piuttosto che per puro divertimento.
Nel frattempo, con la storia Topolino e Robinson Crusoe del 1938, il personaggio perse i classici occhi “a spicchio di torta”, acquisendo iridi e pupille in concerto con quanto accaduto simultaneamente sul grande schermo. Fu un primo cambiamento grafico che, pur non visivamente invasivo, iniziava a sancire l'importanza di un aggiornamento, pur lieve, all'iconico aspetto del giovane character, a dieci anni dalla sua nascita, a cui sarebbe seguito quello più “di rottura” nel 1944: l'abbandono dei pantaloncini a favore di un vestito “integrale” fatto di calzoni lunghi e maglietta/polo, in alcuni casi corredata da un papillon.
Ben lungi dal rappresentare la fine dell'epoca delle grandi avventure per Mickey Mouse, che sarebbero proseguite ancora per una decina d'anni prima dell'abolizione delle storie a continuazione a favore delle strisce autoconclusive (basti pensare a Topolino e l'atombrello, per dirne una), questo nuovo abbigliamento sanciva simbolicamente la fine definitiva del Topolino giovanile, della canaglia: il personaggio era cresciuto e aveva messo la testa a posto.
Per approfondire la produzione a strisce di Topolino ad opera di Floyd Gottfredson e degli sceneggiatori che l'hanno affiancato, rimandiamo al nostro approfondimento in tre parti di qualche tempo fa: