Quando? Gli anni Trenta del Novecento.
Dove? In tutto il mondo.
Per quale scopo? La scoperta, il mistero e l’avventura!
Questi spunti sono alla base di un’infinità di opere, per un genere, quello avventuroso, che nel corso del tempo ha conosciuto diversi revival a testimonianza del fatto che possiede sempre un certo appeal.
La collocazione temporale di inizio del secolo scorso è funzionale e strategica, per la quantità di zone inesplorate che il mondo ancora offriva e per diversi limiti tecnici e tecnologici che sarebbero stati superati solo più in là: il contesto ideale per le vicende di un avventuriero intenzionato a risolvere determinati misteri che avvolgevano il mondo e che spesso rifuggivano la razionalità.
Non è un caso che lo sceneggiatore Giorgio Pezzin l’avesse quindi scelto, nel 1999, per ambientare Le Tops Stories, la nuova serie disneyana che aveva creato per il settimanale Topolino.
Un Indiana Jones con baffetti e grandi orecchie
Con un occhio sicuramente rivolto ai film di Steven Spielberg con Harrison Ford come iconico protagonista, Pezzin inventò un avo di Topolino chiamato Top De Tops.
Baronetto inglese nella Londra dei primi del Novecento, l’eccentrico lord ci viene subito presentato come un personaggio intraprendente, un uomo d’affari spesso impegnato in giro per il mondo e con molti interessi nella scienza, nell’archeologia e nel mondo che ci circonda.
Ne facciamo la conoscenza in Topolino e la pietra di Sbilenque, prima storia del ciclo, nella quale il nostro Mickey Mouse riceve in eredità un baule contenente i diari scritti dal suo antenato, che riportano le testimonianze di incredibili avventure “ai confini della realtà”.
È attraverso la lettura di questi libretti, nella quale si getta Topolino, che anche noi conosciamo alcune delle incredibili vicende nelle quali De Tops si è ritrovato nel corso della sua esistenza.
Con questo stratagemma lo sceneggiatore ha potuto lavorare su un Topolino tutto nuovo: usando di fatto lo stesso personaggio, ma cambiandogli contesto e situazioni, ha potuto rinfrescarlo e rilanciarlo senza le pastoie in cui era ormai invischiato, potendo al contempo metterlo a confronto con diversi miti, leggende e misteri che al giorno d’oggi sarebbero risultati meno credibili da affrontare, o con meno difficoltà tecniche da poter inserire nel racconto.
Panini Comics ha iniziato a raccogliere la serie in un’edizione ordinata e curata, giunta già al secondo volume di quattro totali.
Punti di forza ed elementi ricorrenti
I singoli episodi seguono una struttura narrativa piuttosto regolare: per qualche motivo Top De Tops si mette in viaggio e incappa in un mistero che si picca di risolvere.
Questa molla iniziale porta il protagonista a prendere aerei o navi per recarsi fuori Londra – e molto spesso fuori Inghilterra – conoscendo diverse culture e situazioni e tentando di risolvere i rebus che gli si pongono davanti. In ogni viaggio trova un diverso “pippide” locale che lo aiuta nell’indagine di turno.
Il canovaccio risulta efficace e “di ferro” perché, a dispetto dell’apparente ripetitività, consente molti margini di manovra per variare l’incipit quel tanto che basta. Ad esempio, i motivi che spingono il nobile scavezzacollo sono sempre diversi: un incidente occorso a una delle sue attività commerciali, un viaggio d’affari, messaggi inviatigli da alcuni suoi fornitori di manufatti storici o volontà autonoma di trovare spiegazioni a situazioni inesplicabili di cui è venuto a conoscenza. Anche le tante versioni di Pippo che affiancano De Tops contribuiscono a questa varietà, dal momento che – pur partendo dalle caratteristiche base dell’amico di Topolino – le diverse identità che il personaggio si trova a ricoprire gli permettono di aggiungere di volta in volta sfumature differenti e molteplici ruoli.
L’elemento portante della serie, come detto, sono i misteri spesso inquietanti con cui Top De Tops si trova a contatto. Ma l’approccio dello sceneggiatore a questa materia è significativo: contrariamente alla stragrande maggioranza delle storie a fumetti Disney, infatti, le trame delle Tops Stories raramente giungono a una conclusione chiara e rassicurante. Al contrario, i finali sono quasi sempre aperti lasciando il dubbio – tanto nel protagonista, quanto in Topolino, quanto nei lettori – che ciò che viene raccontato nei diari non corrisponda a completa verità, essendoci sempre condizioni che potrebbero aver falsato la percezione degli eventi da parte del baronetto.
Si tratta di una scelta tutt’altro che scontata nella scrittura topoliniana, che tende a rimettere sempre insieme tutti i pezzi del puzzle, a dispetto di quanto possa essere stata intricata o complessa la trama. Ma è una carta vincente, perché contribuisce a lasciare qualche brivido lungo la schiena del pubblico, laddove una risoluzione più convenzionale stempererebbe invece la tensione sapientemente costruita nelle pagine precedenti.
Infine, gli spunti scelti da Giorgio Pezzin appaiono quasi sempre e già di per sé piuttosto intriganti, costituendo una solida base su cui raccontare.
Ne La pietra di Sbilenque, ad esempio, il riferimento è all’Astronauta di Palenque, incisione su una pietra tombale Maya che sembra rappresentare un uomo a bordo di una specie di razzo e che negli anni ha alimentato diverse teorie relative a visite extraterrestri nei confronti della popolazione precolombiana. L’autore gioca su questa leggenda e offre una sua versione dei fatti.
Altri riferimenti preesistenti dai quali lo sceneggiatore attinge sono Stonehenge e Le mille e una notte.
Nel primo caso, con La rivincita degli Highlander, il celebre circolo di pietre ubicato nel Wiltshire, dall’oscuro significato e che ha stuzzicato la fantasia di molti narratori, viene unito a un altro elemento del folklore inglese come gli Highlander, esseri immortali che vagherebbero da secoli per il mondo alla ricerca di qualcosa che non riescono a trovare. La fusione tra i due miti risulta affascinante e riuscita per come tali tematiche vengono fatte convergere, portando a una delle Tops Stories più adrenaliniche e inquietanti di questa prima metà di serie.
Nel secondo caso, invece, l’autore guarda alla tradizione fiabesca orientale con La caverna di Alì Babà: un losco figuro entra in possesso del calco di un’antica chiave che, in qualche modo, potrebbe permettergli l’ingresso in quella che era la “cassaforte” naturale del mitologico predone, alla quale la tradizione vuole si possa entrare solo recitando la celebre frase “Apriti sesamo”. La trama in questo caso appare meno ispirata, forse proprio a causa di un punto di partenza iniziale già di per sé un po’ più debole.
Anche quando non si basa su leggende precise, Pezzin riesce a sfruttare suggestioni in grado di avvincere: ne è un esempio in particolare Il segreto della settima meteora, nella quale esplora le potenzialità dei poteri mentali di uno straordinario monaco solitario, giocando quindi con concetti affascinanti ma allo stesso tempo capaci di turbare il lettore.
Altra avventura di questo tipo è Il flauto di Omar, con le sue atmosfere arabeggianti e lo spauracchio di un esercito di guerrieri provenienti da un lontanissimo passato, riportati in forze da una certa musica; notevole infine Il popolo del mare, in cui si teorizza che a nostra insaputa condivideremmo il pianeta con altre creature senzienti, che hanno colonizzato un luogo che conosciamo spaventosamente poco come i fondali oceanici.
Se dovessimo indicare un difetto in questo primo lotto di storie, sarebbe l’abuso degli alieni come spiegazione dietro ai misteri di turno (sono presenti in ben tre delle sei storie iniziali); trovare una diversa “regia” dietro all’inspiegabile avrebbe probabilmente giovato e permesso diverse direzioni verso cui guardare nei confronti delle tante stranezze e inquietudini del nostro mondo.
Il mondo in una matita
A Massimo De Vita è spettato il compito di disegnare l’intera serie.
L’artista, uno dei più grandi Maestri Disney riconosciuti, era esploso negli anni Ottanta con la saga della Spada di Ghiaccio, che aveva scritto e disegnato, oltre che con altre prove da autore unico.
Nel decennio successivo continuò la propria crescita come disegnatore, arrivando con gli anni Duemila a quello che è probabilmente l’apice della sua carriera, l’eccellenza del proprio segno grafico.
È in tale stato di grazia che De Vita approda sulle Tops Stories, che sono infatti caratterizzate da una linea morbida, armonica, pulita e scattante.
Questo si nota in primis dai personaggi: Topolino e Top De Tops appaiono curati, tondeggianti e con una gamma di espressioni facciali in grado di mostrarci il protagonista e il suo discendente più vivi e vitali che mai. Per il baronetto, poi, l’artista si è sbizzarrito nel vestiario: se l’aspetto non è molto difforme da quello di Mickey Mouse, al netto dei baffetti e delle basette appena accennate, è negli abiti che si notano differenze, dal momento che l’avventuriero inglese veste in varie fogge a seconda del luogo del pianeta in cui si trova e dei viaggi che deve affrontare.
Il giochetto riesce ancora meglio con i tanti alias di Pippo, dal momento che in questo caso si tratta a tutti gli effetti di personaggi diversi gli uni dagli altri, spesso di aree del mondo distanti tra loro. Negli indumenti di queste spalle e di altri comprimari d’eccezione si nota la cura con cui il disegnatore si è documentato su usi e costumi delle varie zone visitate da De Tops.
Colpiscono molto anche le ambientazioni tratteggiate da Massimo De Vita.
La matita avanza sicura nel mostrare il profilo di Baghdad in campo lungo, così come il sito di Stonehenge in una quadrupla davvero d’effetto per le misteriose visioni che si intravedono tra le nubi che sovrastano le pietre. Suggestivi sono anche gli scorci della regione balcanica, deliziosamente innevati ma capaci di suggerire chiaramente i pericoli dei monti più impervi e dei pinnacoli isolati.
In storie come queste, nelle quali le mete dei lunghi e perigliosi viaggi del protagonista sono il fulcro di buona parte del racconto, una matita così ispirata e minuziosa è un valore aggiunto non da poco.
Altro merito è la capacità di inserire un gran numero di dettagli nelle vignette senza per questo appesantire la scena: cortili pieni di carabattole, antichi templi con rocce finemente istoriate, laboratori colmi di alambicchi e macchinari particolareggiati, deserti dotati di grande fascino e rappresentati con dune, altipiani sullo sfondo, rocce e l’infinito orizzonte che si staglia in lontananza. Tutto concorre a caratterizzare il contesto attraverso oggetti o elementi naturali, che all’apparenza potrebbero sembrare superflui ma che a conti fatti contribuiscono al risultato vincente.
Due parole sulla griglia, infine: De Vita, pur essendo un disegnatore dall’impianto classico, non ha mai disdegnato la possibilità di rompere la gabbia. Con Le Tops Stories ha avuto spesso buoni pretesti per farlo, ma sempre con intelligenza e sobrietà. Alcune vignette si slanciano rispetto a quelle vicine, le quadruple non mancano mai, i contorni possono proseguire obliqui invece che rigidamente verticali e in sostanza sono ben poche le tavole con una scansione 2×3.
Questa scelta non serve a stupire con effetti speciali o con immagini roboanti, ma contribuisce a dettare il ritmo della lettura, comprimendo o allungando l’incedere della narrazione, oppure accompagna movimenti e azioni di chi è raffigurato. Una regia molto valida che alterna con grande gusto le inquadrature e i giochi di camera, dando risalto di volta in volta ai personaggi o a splendide vedute.
La nuova edizione
Le Tops Stories non hanno avuto una vita semplicissima, dopo l’esordio su Topolino tra il 1999 e il 2002.
Di ristampe le singole storie ne hanno avute molte, anche su volumi di un certo richiamo per i lettori più attenti – Tesori Made in Italy dedicato a Massimo De Vita, Topolino Writers Edition incentrato su Giorgio Pezzin, diversi numeri de I Grandi Classici Disney – ma mai in maniera ordinata, coerente e unitaria. L’unica eccezione furono due albetti economici da edicola usciti nel 2003, che raccolsero tutte insieme le storie del ciclo, ancorché in ordine casuale: da diversi anni erano diventati di difficile reperibilità anche nel settore dell’usato e, quando disponibili, venivano proposti a prezzi piuttosto alti.
Panini Comics rimedia ora creando una nuova collana di cartonati intitolata Le serie imperdibili Disney, i cui primi quattro slot sono occupati proprio dalla riproposta integrale e cronologica della serie di Pezzin e De Vita.
La particolarità di questa edizione è che l’apparato critico/editoriale viene affidato interamente allo sceneggiatore: non si tratta, come in casi analoghi, di interviste al creatore del prodotto che viene ristampato, ma di una vera e propria curatela ben organizzata e ponderata, grazie alla quale i lettori possono sentire dalla viva voce dello sceneggiatore i dietro le quinte e la genesi di ogni episodio.
Nello specifico, per ciascuno di essi si può trovare una breve introduzione nella quale Pezzin spiega da dove ha preso l’idea alla base della storia, la pubblicazione del soggetto originale consegnato a suo tempo in redazione e un commento finale, nel quale l’autore si dedica soprattutto a evidenziare le differenze occorse tra il soggetto stesso e la storia pubblicata.
Se i pregi di questa operazione possono risultare evidenti, arricchendo gli appassionati di informazioni di prima mano, sembra doveroso soffermarsi brevemente anche sui limiti.
Innanzitutto si può osservare un deciso subappalto all’autore stesso degli spazi che un tempo erano di competenza di altre figure, deputate ad analizzare con uno sguardo esterno i fumetti che venivano riproposti. Una mossa che aveva avuto il suo “anno zero” con i quattro volumi Disney d’autore editi da Disney Libri tra il 2011 e il 2014 e che Panini ha perpetrato in altre occasioni, come nella testata omonima pubblicata dal 2019 al 2020 e nei vari Topolino Special Edition.
Demandare ai fumettisti la scrittura dei contenuti extra di queste edizioni è un’arma a doppio taglio, perché va nei fatti ad offrire qualcosa di diverso, nella natura e negli intenti, rispetto agli approfondimenti di giornalisti e redattori che ne davano un’analisi disgiunta e quindi meno parziale.
Inoltre, nel caso in esame, salta immediatamente all’occhio come manchi un “contraddittorio” rispetto alle parole di Pezzin, vale a dire la totale assenza dai giochi di Massimo De Vita.
Una volta deciso di dare la parola agli autori sarebbe sembrato logico sentire anche la sua campana, specie nel ragionare sui passaggi che hanno modificato la storia dalla prima idea presentata dallo sceneggiatore alle tavole disegnate. In quest’ottica, quindi, l’operazione appare meno completa di quanto ambiva ad essere.
Al netto di tali considerazioni, comunque, questi volumi si attestano come uno dei prodotti Disney-Panini meglio realizzati da diversi anni a questa parte, per la cura che vi è stata profusa, la quantità di materiale a corredo delle storie e la volontà di offrire una cornice dettagliata che contestualizzi l’opera nel suo complesso.
La testata permette inoltre di recuperare in maniera coerente un ciclo tra i migliori apparsi su Topolino negli ultimi quarant’anni, caratterizzato da una scrittura ispiratissima e da un disegno sontuoso: un perfetto esempio di fumetto disneyano avventuroso come solo recentemente sembra star tornando sulle pagine del settimanale.
Abbiamo parlato di:
Le serie imperdibili Disney: Le Tops Stories voll. 1-2
Giorgio Pezzin, Massimo De Vita
Disney-Panini, febbraio-marzo 2022
136-128 pagine, cartonati, colori – 10,00 € cadauno
ISSN: 977228385700820001
ISSN: 977228385700820002
Sabrina De Mori
21 Agosto 2022 a 09:11
buongiorno volevo esprimere la mia sorpresa e grande delusione che in una riedizione così bella e curata si escluda in modo così palese e orribile il Maestro De Vita:posso capire la scelta di far vedere il punto di vista dell’autore, ma anche nei suoi commenti sulle tavole il nome del disegnatore non compare MAI!Il suo nome non è citato una sola volta nè sui volumi nè sulla pubblicità degli stessi,inoltre non cè nessuna
SUA tavola originale a matita ad abbellire l’opera, ma solo le varie copertine disegnate da altri.Questo per me suona tanto come una rivalsa della redazione sul Maestro per qualche motivo che non comprendo, come a volerlo cancellare da una delle sue opere migliori e la ritengo una VERGOGNA!
Andrea Bramini
13 Settembre 2022 a 23:19
Ciao Sabrina.
La tua considerazione è legittima e, se hai letto fino in fondo la mia recensione, avrai potuto constatare che ho rilevato anch’io questa anomalia, additandola come un neo importante in un’edizione per il resto molto buona.
L’insistenza con cui il nome di Massimo De Vita non viene mai esplicitato – a parte nei credits del sommario, lo preciso per correttezza di informazione – sembra far pensare a una precisa volontà, ma non abbiamo modo di sapere quali siano i motivi alla base di questa decisione, sempre che si tratti effettivamente di una scelta voluta e che non ci siano invece motivazioni del tutto comprensibili o condivisibili, di cui comunque non siamo a conoscenza.
Possiamo solo rammaricarci di non avere all’interno dei volumi qualche commento di prima mano del disegnatore milanese, quindi, né – come giustamente osservi tu – alcuni suoi bozzetti che avrebbero sicuramente impreziosito l’operazione nel suo complesso.
È un grande peccato, specie per una ristampa che sembrava poter essere la versione definitiva della serie, ma purtroppo più che rilevare la stranezza di questa assenza non abbiamo modo di fare.