The Surface di Kot: basta cazzate!

The Surface di Kot: basta cazzate!

Eris Edizioni porta in Italia un altro fumetto dello sceneggiatore Ales Kot, "The Surface", disegnato da Langdon Foss.

surface-coverLa vostra fonte #1 di informazione priva di cazzate (ci proviamo): una delle prime pagine di The Surface, volume pubblicato da Eris Edizioni, è interamente in prosa e si apre con questo slogan che è anche una dichiarazione di intenti. Eppure, viene facile pensare che qualcuno, leggendo per la prima volta il fumetto di Ales Kot, abbia esclamato proprio: “Cazzate!”. Sì, perché quella disegnata da Langdon Foss e colorata da Jordie Bellaire non è un’opera facile, non è lineare, a un certo punto è piuttosto involuta, forse gira persino a vuoto. Del resto, lo stesso sceneggiatore, nel racconto, dice che l’aveva concepito come il seguito del suo Change, ma che poi ne ha perso il controllo, finendo per ritrovarsi con tutt’altro tra le mani.

Sembra, però, che l’autore chieda al lettore lo sforzo di scavare oltre la superficie, oltre “the surface”, appunto. Ipotesi: conviene pensare alla superficie non tanto come a un elemento statico che separa un “sopra” da un “sotto”, ma come a un fiume che separa un “qua” da un “là”. Per giunta, un fiume in continuo mutamento; per dirla con Eraclito, un fiume nel quale non possiamo entrare due volte, nel quale “scendiamo e non scendiamo, siamo e non siamo”.

Quindi, nell’opera, in cui viene spesso menzionata questa fantomatica superficie, si trovano un “qua” e un “là”, che non sono per forza un “prima” e un “dopo” perché, sebbene Kot dia l’impressione di essere giunto in un vicolo cieco e di esserne uscito semplicemente per mezzo di un arcano deus ex machina, tuttavia le indicazioni per seguire un sentiero sono sparse nel corso dell’intera narrazione.

Sono segnali di natura prevalentemente metanarrativa, che culminano in una sequenza molto vicina all’atto finale di Animal Man di Grant Morrison, nel quale Buddy Baker incontra il fumettista scozzese. Nel caso del comic book di Kot uscito negli USA per Image, l’autore prima si nasconde dietro uno pseudonimo, poi esce allo scoperto, apre il proprio cuore al lettore, gli racconta la propria vita, mentre le pareti della sua casa spariscono perché si possa osservare cosa accade all’interno. Lo sceneggiatore-personaggio comunica con il disegnatore-personaggio, proprio Langdon Foss, e gli dà i suggerimenti utili per portare le vicende nelle tavole. La narrazione si svela, si dispiega a mano a mano, mentre si crea e si sviluppa: un altro grado di metafumetto, dunque.

Ed è possibile aggiungere un terzo livello, quello più significativo. Si fa ancora riferimento a Morrison, ma è bene citare anche Alan Moore, visto che entrambi si sono autodichiarati “maghi”. Come loro, Kot decide di considerare una sua opera un sigillo: nel suo caso afferma che la scrittura gli consente di creare un sigillo magico/scientifico, ossia un sistema che – dice – “mi ha praticamente permesso di avere una vita molto più vicina a quel che sognavo”. Tradotto? Catarsi, indagine dentro di sé, squarcio del velo di Maya (nome del locale in cui avviene la svolta nella trama)1. Ecco il significato di The Surface, o forse “un” significato. Il narratore di Days of hate ha scritto l’opera più per se stesso che per il pubblico, per analizzare il rapporto con il padre e di rimando con il medium-fumetto: inizialmente voleva farsi notare dal genitore e dagli altri, essere riconosciuto per il suo valore o semplicemente trovare uno spazio, sgomitando tra più di sette miliardi persone, e fare fumetto era il mezzo per raggiungere la meta; successivamente qualcosa è cambiato e da lì la natura cangiante, in divenire, del libro.

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Ovviamente, prendere per buono tutto quello che viene raccontato sarebbe un errore, perché non è detto che tutto ciò sia la verità e nient’altro che la verità, cosa un po’ paradossale per una graphic novel in cui la ricerca del vero è motore e fine. Certo, se si accetta che Kot abbia sceneggiato più per se stesso che per il pubblico, allora è ipotizzabile che sia stato onesto. D’altro canto, affermare che l’obiettivo sia stato la cura dell’Io mostra il fianco a più di una domanda: perché, Ales, hai voluto pubblicare il volume? E anche: la storia funziona? Sì, funziona, perché l’autore si dimostra pienamente consapevole delle potenzialità del mezzo espressivo e cerca in tutti i modi di farle passare dalla potenza all’atto.

Ciò è possibile grazie all’apporto di Foss. L’artista, che pecca nella raffigurazione di qualche sguardo un po’ vacuo, disegna tavole che assecondano la continua mutevolezza di una realtà in cui tutto viene condiviso tecnologicamente e istantaneamente, in cui al di qua e al di là della superficie gli eventi si susseguono: i protagonisti incontrano scimmie, superano un crepaccio, viaggiano attraverso una foresta di alberi grigi disseminati di volti umani, mentre spermatozoi rosa e sorridenti fluttuano nell’aria. In un’altra sequenza un comprimario cammina, ma è più importante prestare attenzione agli sfondi: il personaggio in primo piano si muove in scenari di volta in volta diversi, si sposta da uno all’altro rapidamente. È un labirinto metaforico e non solo, visto che a p. 76 le vignette e lo spazio bianco tra esse ne riproducono le forme e, più avanti, a p. 81 è necessario percorrere un dedalo che ricorda quello presente nella copertina de La macchina umanaDylan Dog #356 di Alessandro Bilotta, altro fumettista interessato alla ricerca della verità.
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Il disegnatore è in sintonia con lo sceneggiatore anche quando riproduce in modo sintetico le copertine di Zero, una serie di Kot edita da Image e portata in Italia da saldaPress. Una citazione interessante, non l’unica se si fa caso al fatto che, oltre a rimandare a se stesso, lo scrittore ceco-statunitense nomina Spider Jerusalem, lo stravagante giornalista del Transmetropolitan di Warren Ellis e Darick Robertson. Un altro individuo assetato di verità, non è certo un caso.

Infine, una menzione spetta a Jordie Bellaire, la colorista, e Tom Muller, il grafico del volume. Bellaire è una veterana del comicdom americano e anche in The Surface offre il suo contributo con tinte talvolta fredde, talaltra acide, nel passaggio repentino ma non traumatico dalle une alle altre e, nel caso di una sequenza in particolare, dal bianco e nero al colore, lavorando sui singoli elementi e non sulla totalità della composizione.
Muller, che ha collaborato con Kot in altre occasioni e dal 2019 si occupa del rilancio degli X-Men gestito da Jonathan Hickman, partecipa alla creazione di un brossurato che vuole garantire un’esperienza di lettura a 360 gradi, un’immersione nel racconto che passa attraverso le pagine di prosa, le scritte psichedeliche e quelle rigorose, le forme dolci e quelle asettiche.

Abbiamo parlato di:
The Surface
Ales Kot, Langdon Foss, Jordie Bellaire
Traduzione di Valerio Stivè
Eris Edizioni, 2020
130 pagine, brossurato, colori – 16,00 €
ISBN: 9788898644698


  1. Ne Il mondo come volontà e rappresentazione I, 3, il filosofo Arthur Schopenhauer scrive: “È Maya, il velo ingannatore, che avvolge gli occhi dei mortali e fa loro vedere un mondo del quale non può dirsi né che esista, né che non esista; perché ella rassomiglia al sogno, rassomiglia al riflesso del sole sulla sabbia, che il pellegrino da lontano scambia per acqua; o anche rassomiglia alla corda gettata a terra, che egli prende per un serpente“. 

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