Lontano, oltre le nebbie del dubbio,
al di là degli abissi senza fondo di ciò che non conosciamo,
si trova l'estremo limite della realtà …
Incipit de L'uomo che aveva perso la faccia, (Will Eisner, The Spirit, 17 maggio 1942).
Uscito in Italia il giorno di natale, contemporaneamente agli USA, per una qualche oscura strategia commerciale, The Spirit, tratto dal capolavoro di William Erwin Eisner (morto il 3 gennaio 2005), si è conquistato gli appellativi più denigratori e rancorosi che un cinecomix abbia mai attirato su di sé ancor prima di essere visto. Oltre i prevedibili attacchi e le inferocite rimostranze a cui i puristi e i fan dell'originale hanno dato libero sfogo nel web, le critiche più severe, e forse quelle più attendibili, provengono dai recensori specializzati: canto del cigno di un autore che non ha più nulla da dire, ultimo residuo di una fiamma creativa ormai spenta, autoreferenziale e narcisistico delirio di onnipotenza. Si tratta in realtà dell'impossibile proseguimento di quel dibattito iniziato con il libro intervista Frank Miller e Will Eisner: Conversazione sul fumetto.
Nato negli anni ”40 come una sorta di parodia dei personaggi in costume della Golden Age (quando la definizione “supereroe” non esisteva ancora), a lungo andare è diventato una satira del fumetto stesso di cui erano palesati le figure retoriche e le tecniche narrative. Spirit permetteva ad Eisner una struttura fissa, composta da sette tavole più la splash page, su cui improvvisare forme di racconto, variazioni linguistiche e generi narrativi riproposti nei loro tipici luoghi comuni e, allo stesso tempo, rinnovati. Le trame brevi erano storie uniche e originali, in cui raramente l'eroe era il protagonista, ed esprimevano un”amara poetica sulla condizione umana, il tutto rappresentato attraverso tecniche modernissime. Le ardite soggettive che ci mostrano il punto di vista di un personaggio addirittura da dentro il suo cranio, le inquadrature a plongé, oblique, dal basso comprendenti anche i soffitti di una stanza, che hanno suscitato frettolosi accostamenti con Orson Welles, l'utilizzo maniacale della mise en abyme, nel tentativo di rappresentare ed evidenziare l'origine della vignetta, in un gioco tra azione e gabbia della pagina, sono tutti espedienti che hanno fatto scuola, marchi stilistici e caratteristiche di un fumetto d”autore in tempi non sospetti che testimoniano l'importanza pionieristica di Eisner. Il suo sforzo maggiore, nonché il suo peccato originale, è stato il tentativo di rappresentare il tempo del racconto in relazione a quello della storia e a quello interiore del lettore. La stessa questione è il tema fondamentale del suo saggio più famoso Il fumetto come arte sequenziale. Operazioni contraddittorie in una forma espressiva che ha nella staticità e nella simultaneità il principale potenziale mitopoietico, ma che hanno donato quella dinamicità impossibile alle tavole, tanto da renderle decisamente cinematografiche.
Bisogna tenere presente una regola aurea ormai accettata anche nelle conversazioni da aperitivo: il film non si deve mai confrontare con il testo da cui è tratto. Fumetto e cinema sono due linguaggi (se si accetta questa espressione) sicuramente influenzati reciprocamente ma assolutamente autonomi. Trasgredire tale legge critica equivale a peccare mortalmente.
Ma questo paradigma qualunquista è stato messo in crisi di recente proprio a causa di Miller: Sin City di Robert Rodriguez (2005) e 300 di Zack Snyder (2007) sono adattamenti mimetici dai suoi fumetti, pellicole che riproducono pedissequamente le storie su carta, ricreando veri e propri tableaux vivants e in cui instaurando un rapporto di sudditanza nei confronti dell'origine. Il film di Rodriguez è un caso esemplare nel suo parassitare letteralmente sul fumetto nel tentativo di ricrearne lo spirito, compensando l'assenza creativa del regista con velleità concettuali. Ma lo stesso contrastato bianco e nero con sporadici schizzi di colore che davano ritmo, atmosfera e tensione nel fumetto, ne determina l'assenza dei medesimi nel film.
The Spirit sembrerebbe appartenere però ad un”altra tipologia di adattamento, la trasfigurazione. Popeye di Robert Altman (1980) dalle strip di E. C. Segar, Hulk di Ang Lee (2003) dal personaggio di Stan Lee e Jack Kirby, Old Boy di Park Chan-wook (2003) dal manga di Tsujiya Garone Minegishi Nobuaki, A History of Violence di David Cronenberg (2005) dalla graphic novel di John Wagner e Vince Lock, sono opere in cui il fumetto viene piegato alle esigenze del regista e inserito all'interno del suo universo poetico. Ribadiscono con amara consapevolezza la premessa ontologica argomentata da André Bazin in Per un cinema impuro (André Bazin, Che cosa è il cinema?, Milano, Garzanti, 1986). Il critico scrittore sottolineava l'importanza dell'autonomia della settima arte rispetto alla letteratura attaccando quella che definiva “Una certa tendenza del cinema francese” (André Bazin, Un certain tendance du cinéma français, «Cahiers du Cinéma», n. 31, gennaio 1954). Quando ci si trova davanti ad un testo sacro l'unico modo per adattarlo in un altro medium è tradendolo, snaturandolo forse.
L'attacco del film ci introduce subito in un mondo ben riconoscibile: il bianco e nero radicale, lo skyline della metropoli in cui una sagoma scura si muove saltando di palazzo in palazzo, il tutto commentato dalla voce off del protagonista che snocciola frasi di matrice chandleriana, imponendoci da subito il suo punto di vista. L'eroe viene aggiornato: il suo completo si fa totalmente nero; ai piedi calza un paio di giovanilistiche Converse; si serve di telefonini cellulari; Ebony White, la spalla di colore che riassumeva alcuni vergognosi stereotipi razzisti, è totalmente assente (se si esclude una fugace comparsata). Ma la cravatta conserva il suo colore rosso.
La vicenda si arricchisce di flashback in cui viene mostrata l'infanzia di Danny Colt con richiami alle graphic novel dell'ultimo fervido periodo artistico di Eisner, per poi intersecarsi con la mitologia classica: il vaso di pandora e il vello d”oro costituiscono un simbolico MacGuffin della storia, permettendo una riflessione sulla continuità letteraria che le avventure dei supereroi hanno con le saghe epiche della letteratura. L'intreccio non vuole essere sintesi e antologia delle situazioni più tipiche delle avventure raccontate da Eisner, ma una loro possibile variante, e il tema centrale di questa nuova avventura è il potere vampiresco del cinema, quel desiderio di morte che è ontologia dell'immagine fotografica. Spirit, come il film stesso, è un non-morto, simulacro di se stesso, uno zombie che parla, pensa e immagina. Questa condizione di confine in cui si trova è simboleggiata proprio dalla cravatta rossa, colore che caratterizza l'elettrocardiogramma della prima sequenza e il titolo stesso. La sua città non è altro che una proiezione plastica del suo io, una visione onirica governata dalla tensione tra eros e thanatos. La morte, insistentemente evocata nei dialghi e nelle motivazioni dei personaggi, si contrappone costantemente con il desiderio, ma l'atto sessuale è sempre interrotto. Spirit subisce addirittura una simbolica castrazione da parte di una delle donne che incontra.
Ma il fulcro espressivo di questo adattamento è l'ironia camp il che lo trascina in altre categorie dell'intertestualità: quelle del rifacimento e della parodia. Parodia dello Spirit di Eisner, ma soprattutto di Sin City e di Miller stesso, o di quello che ne è rimasto. La voce fuori campo si fa stucchevole, il manierismo stilistico eccessivo e le scenografie al limite del grottesco in un masochismo autodenigratorio, Più sono esposti gli elementi milleriani e più vengono derisi, affinché ciò che emerga sia, paradossalmente, lo Spirit di Will Eisner, in cui l'atteggiamento parodistico era una costante.
Tutte le complesse acrobazie figurative di Eisner e i suoi giochi faustiani con il tempo si perdono nel film le cui sequenze si susseguono come episodi autonomi, intrappolati in quella staticità astratta e atemporale imposto dal green screen. La stessa staticità che sanciva il fallimento del film di Rodriguez è il maggior pregio in The Spirit. Miller non ha architettato un adattamento e neanche una reintepretazione personale dell'(anti)eroe, come sembrava già dal trailer, egli ha ribaltato i due specifici, il tempo nel cinema e lo spazio del fumetto, realizzando una graphic novel servendosi della settima arte. I manifesti stessi del film, con le font che caratterizzano l'autore di Ronin, costituiscono una variante della splash page, un altro celebre campo di esplorazione grafica per Eisner. A sostegno di tale teoria sono i disegni realizzati da Miller che accompagnano i titoli di coda, espressione di quanto viene enunciato nel corso di questa storia a fumetti della durata di 102 minuti. In definitiva Miller, come già aveva fatto con Batman in The Dark Knight Retourn, riscrive le origini di The Spirit, senza tradire il personaggio, ma il linguaggio cinematografico.
Riferimenti:
Sito ufficiale: www.mycityscreams.com
Letture:
Hulk di Ang Lee
A history of violence di David Cronenberg
300 di Zack Snyder