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    The dream is mightier than the gravity – Danijel Zezelj

    Quando, anni fa, la gloriosa rivista l Grifo portò in Italia le opere del croato Danijel Zezelj fu subito chiaro che ci trovavamo di fronte ad un artista dalle grandi potenzialità, che aveva tanto da raccontare e con uno stile grafico innovativo nel suo espressionismo. Lo abbiamo camo contattato ed...

    Quando, anni fa, la gloriosa rivista l Grifo portò in Italia le opere del croato Danijel Zezelj fu subito chiaro che ci trovavamo di fronte ad un artista dalle grandi potenzialità, che aveva tanto da raccontare e con uno stile grafico innovativo nel suo espressionismo. Da allora in poi furono in molti a voler lavorare con Zezelj. Gli eventi della vita e quelli della Croazia (siamo nel periodo dell’indipendenza) porteranno l’autore prima in italia ed infine negli USA. Lo abbiamo camo contattato ed e’ stato gentilissimo nel rispondere alle nostre domande.

    Ad ognuno è capitato almeno una volta nella vita di tirare le somme della propria esistenza (forse ipnotizzato dal gorgo formato dal cucchiaino in una tazza di caffé o dallo scrosciare incessante della pioggia sui vetri). Considerando le tue innumerevoli esperienze e le tante situazioni che hanno condizionato la tua vita come definiresti il Danijel Zezelj di oggi?
    Questa sembra una di quelle domande che uno si pone negli ultimi istanti della propria vita, un secondo prima di morire. Non ho ancora una risposta.

    In Italia, tra le produzioni con “Il Grifo” e la parentesi con la “Liberty” di Ade Capone, hai prodotto opere molto potenti, ma intimistiche al tempo stesso. Come ricordi quel periodo?
    L’Italia e tutto il tempo che ci ho passato sono stati molto importanti. Era la prima volta che i miei lavori venivano pubblicati all’estero ed anche la prima volta che venivano pubblicati e stampati in maniera decente, come meritavano (all’interno de “Il Grifo”). Per quanto concerne la mia vita, è stato un periodo molto turbolento: in Croazia c’era la guerra; io non avevo alcun senso di sicurezza, futuro o prospettive; molte delle cose in cui credevo semplicemente scomparvero, crollarono. Sono stato fortunato ad incontrare delle belle persone a Montepulciano, persone che mi hanno aiutato ed accettato. Siamo ancora amici ed una parte del mio cuore apparterrà a loro per sempre.

    In una tua tavola, allegata all’albo “Pagliacci” (Liberty – 1996), si legge “The dream is mightier than the gravity” e nei tuoi fumetti capita spesso, soprattutto in quelli vecchi, di vedere situazioni che vanno oltre le limitanti regole della realtà. Fare fumetti è il tuo modo di sognare?
    Questa domanda risuona molto romantica, ma non credo che il mio lavoro sia un modo di sognare: è un modo di rappresentare chi sono, dove sono, cosa voglio, ad un livello quotidiano molto specifico, pratico. I sogni sono proiezioni dei nostri desideri o riflessi delle nostre sconfitte, paure ecc. Quando siamo svegli, siamo costretti ad occuparci di quei desideri, sconfitte, speranze, frustrazioni. Dobbiamo confrontarci con esse, combatterle, accettarle. È molto più aspro, fisico e brutale che in sogno.

    Nella tua produzione vi sono personaggi molto leggeri, per esempio i protagonisti de “L’Amore” (Edizioni Di – 1999), ma anche personaggi estremamente forti, come il poliziotto “Rex” (Edizioni Di – 2000) la cui storia è ai limiti del supereroistico. In entrambi i casi ciò che colpisce è il senso di innocenza e delicatezza che fa da sfondo alle anime di tuoi personaggi. Secondo te le persone reali sono intimamente buone, nonostante le loro azioni possano essere brutali?
    Questa è una domanda religiosa (se le persone siano fondamentalmente buone o no); non mi vorrei arrischiare a rispondere. Posso solo dire di essere interessato a persone e caratteri fondamentalmente buoni. Perché quando questa bontà riceve una sfida (da circostanze esterne, necessità, influenze…) allora hai il dramma, hai la bellezza, la grazia, la tragedia (domanda religiosa, risposta shakespeariana n.d.i.).

    Ho citato i supereroi e conosco la storia breve che hai disegnato per Batman (in Batman Black and White N 3 – Play Press – 2003). Qual è il tuo rapporto con questo genere fumettistico?
    I supereroi sono una forma molto limitata di comic art. Questi limiti sono anche una ragione del loro successo. Sono semplici, banali e spesso totalmente stupidi. Qualche volta possono essere eccitanti o divertenti; ma sono sempre molto artificiali e superficiali. Sono fantasia, un sogno ad occhi aperti. È senza speranza provare a trasformarli in qualcosa di migliore, più profondo o più complesso. Sono una piccola fetta della grande torta dell’entartainment.

    La tua risposta mi trova molto d’accordo, ma allora come giudichi il lavoro di certi autori, come Alan Moore, Bendis, Busiek, che invece provano a fare qualcosa di nuovo con questo genere?
    Le persone di cui parli sono dei grandi in quello che fanno. I loro lavori usano lo spazio fornito dal genere, aggirandolo o giocandoci ma sempre restando all’interno dei suoi limiti. Io non giudico loro o il loro lavoro o i supereroi. Semplicemente non sono personalmente interessato a quel genere.

    Visto che abbiamo parlato di supereroi non posso non chiederti un giudizio del tuo lavoro per le major americane, anche perché è un lavoro a volte distante dalle tue tematiche preferite.
    Per loro vale quello che ho detto sui supereroi. Quando lavoravo su vari serial per Marvel o DC Comics, era quasi una sfida cercare di creare qualche cosa all’interno di quel genere. Io stavo davvero imparando cose nuove, e quel processo è stato creativo, almeno fino ad un certo stadio. Dopo il periodo dell’apprendimento e dell’esplorazione, lo spazio di lavoro si è limitato e non se ne è potuto aprire un altro più largo perché si sarebbe trattato di attraversare i limiti del genere rompendone le regole. A quel punto il lavoro cominciò a perdere senso per me.

    Nelle tue storie trovano spesso posto gli animali, a volte addirittura in situazioni “umane”. C’é un motivo particolare in questa scelta?
    Non c’é una ragione particolare. Qualche volta gli animali possono essere usati a mo’ di simboli. Inoltre, visto che non sono capace di rappresentarli razionalmente, essi aggiungono un qualcosa di mitico e simbolico. Operano e comunicano ad un livello che, per la maggior parte, mi è inaccessibile, quindi mi piace pensarli come esseri supremi, come se essi sapessero e sentissero più di quanto non possano gli umani.

    Hai disegnato parecchie storie mute, quasi a voler dimostrare che spesso le parole non sono altro che rumore e che ci basterebbe saper interpretare ciò ci sta davanti agli occhi. Da cosa nasce questo particolare modo di raccontare?
    Le parole sono solo uno degli elementi del linguaggio espressivo dei fumetti, così come del linguaggio espressivo in generale. Come ha scritto da qualche parte Artaud, “Non è stato provato che le parole siano il miglior modo di comunicare“. Alcune idee, pensieri, emozioni non possono essere spiegate o tradotte in parole, devi usare altri metodi. Qualche volta l’assenza delle parole può dire più della loro presenza.

    La creazione di “Stazione Topolo'” (Grifo Edizioni – 2002) è quantomeno particolare e romantica. È vero che hai disegnato spinto solamente dall’istinto, senza nemmeno parlare con l’autore della storia?
    I racconti che compongono “Stazione Topolo” sono stati scritti da Moreno Miorelli: sono storie vere, i suoi appunti sugli eventi legati alla cittadina di Topolo, dove adesso Moreno vive (e dove organizza un festival tutte le estati). Conobbi Moreno e ricevetti le sue storie via e-mail: erano meravigliose, nella loro semplicità ed onestà. Non ho mai detto a Moreno che le avrei illustrate. Inoltre l’ho fatto senza esser mai stato a Topolo, senza aver mai visto i luoghi degli avvenimenti. Sono stato a Topolo per la prima volta dopo che le storie erano state terminate ed il libro pubblicato.

    Ti capita spesso di disegnare partendo da qualcosa che hai letto spinto solamente dall’istinto, senza nemmeno un programma?
    I progetti partono spesso da idee casuali o per motivi o necessità irrazionali. Non ci sono regole specifiche, se non l’emozione ed il desiderio di seguire una certa storia. La necessità di esprimere qualcosa è probabilmente la più importante di queste.

    Tu rifiuti sempre l’appellativo di poeta. Eppure ogni tua opera, soprattutto quelle di cui sei autore completo, risultano estremamente poetiche e melanconiche. Come ti definisci allora?
    Il termine “poetico” è spesso usato per qualcosa di vago, bello ed indefinito ed è per questo che lo evito. Non penso che il mio lavoro sia vago o bello – può essere descritto in parole molto semplici, essenziali, chiare e precise.

    Il tuo stile grafico è, a mio parere, abbastanza cambiato evolvendosi verso una maggiore espressività a scapito della verosimiglianza. A ciò si aggiunge un lento abbandono delle tonalità grigie in cui sei maestro. Questa ricerca di essenzialismo è una necessità o si tratta solo di un’evoluzione naturale?
    Non so se è un’evoluzione. Non è stata una decisione conscia, ma è certamente la ricerca di un linguaggio grafico più essenziale. Spero di liberarmi di tutti gli ornamenti e gli elementi decorativi – lasciando solamente quelli semplici e necessari. Ma comunque mantenendo sempre la capacità di comunicare.

    Sempre parlando del tuo stile grafico, nelle prime storie e le tavole pubblicate in Italia su “Il Grifo” utilizzavi anche un peculiare stile di colorazione. Adesso invece le tue storie sono in B/N o colorate da altri. C’é una scelta espressiva precisa alla base di quest’evoluzione oppure ci sono altri motivi come, per esempio, i ritmi produttivi?
    Il bianco e nero è sempre stata la mia prima scelta; non considero i colori altro che una rifinitura ed aggiunta secondaria ai miei disegni. Coloravo le storie perché mi veniva chiesto di farlo, perché gli editori pensavano che i colori rendessero più accessibili le mie storie. Ho sempre pensato che questi calcoli siano insensati – ma qualche volta non avevo scelta, era l’unico modo di veder pubblicate le storie.

    Sempre parlando dei tuoi ultimi lavori, mi riferisco soprattutto a “Nero Boliviano” (Petikat – 2002), mi sembra che tu abbia modificato notevolmente anche lo stile di narrazione. Anzi quest’ultima sembra passata nettamente in secondo piano a favore della ricerca espressiva. Da cosa nasce quest’esigenza sperimentale?
    “Nero Boliviano” e “Reflex” (Petikat – 2003 n.d.i.) sono due libri privi di narrazione nel senso tradizionale del termine. Entrambe le storie si sviluppano seguendo lo stile disorganizzato delle riflessioni emotive registrate giornalmente, sotto forma di disegni. È quasi come una libera improvvisazione con l’inchiostro sulla carta. Non so quanto questi due libri comunichino agli altri, ma significarono molto per me, mentre vi lavoravo: furono il mio diario illustrato in bianco e nero. .

    Preferisci maggiormente disegnare qualcosa di già scritto da altri o preferisci plasmare tutto da te?
    Preferisco lavorare su storie mie. Ho lavorato su cose scritte da altri quando mi è stato chiesto di farlo oppure quando mi piacevano i soggetti. Non ho ancora lavorato su soggetti (scritti da qualcun altro) in cui mi identifico al cento per cento. Ma mi piacerebbe.

    Spesso hai collaborato con altri artisti (Moreno Miorelli, Jessica Lurie, Greiner & Kropilak) provenienti da espressioni diverse come la poesia, il teatro o la canzone. Quali sono i contributi che i tuoi fumetti hanno dato/ricevuto in questi incontri?
    Ogni forma d’arte include elementi di altre forme d’arte, i fumetti sono la combinazione di varie forme e linguaggi. In questo senso lavorare con altri artisti significa espandere il proprio vocabolario, imparando, cercando. è un viaggio attraverso territori sconosciuti. Ti mette inoltre in contatto con persone che altrimenti non avresti mai incontrato prima ed aiuta a rompere l’isolamento in cui pittori ed artisti grafici trascorrono molto tempo. Perché dipingere e disegnare sono un lavoro solitario. In tal senso anch’io sto sperimentando performances che combinano musica e pittura dal vivo.

    Aver partecipato alla produzione di pubblicità ed alla creazione di siti internet è un valore aggiunto per il tuo modo di fare fumetti o si tratta di esperienze fini a sé stesse?
    Dipende, qualche volta sono lavori che ti portano il pane in tavola, qualche volta possono diventare molto creativi ed impegnativi.

    Le tue opere sono pubblicate in molti paesi, tra cui Italia, Francia e USA. Come cambia l’accoglienza nei vari stati?
    Non ne so molto sull’accoglienza del pubblico, non seguo o ricerco i numeri e le differenze culturali e raramente vado alle fiere. Non ho una risposta a questa domanda. Quando parlo direttamente con chi legge i miei fumetti, spesso scopro che trovano nel mio lavoro cose di cui ignoravo l’esistenza. Questo significa che la mia opinione è soggettiva e valutabile tanto quanto l’opinione dei miei lettori. In questo senso è difficile parlare in generale di “risposta del pubblico”.

    Non si può palare con Zezelj e tralasciare di parlare di Croazia. In un’intervista dici di essere solo un immigrante in fuga. Anch’io sono un emigrante, non in fuga, e conosco la morsa della nostalgia. Non ti mancano le tue origini?
    Stiamo tutti perdendo le nostre origini, perché non possiamo tornare indietro nel tempo. La domanda è “come viviamo senza le nostre parti mancanti?”. Non ho mai provato un forte senso di appartenenza a certe culture o paesi ecc. Sono idee vaghe. Ma mi mancano decisamente alcune strade precise, alcuni cortili, i posti dove sono cresciuto ed ho vissuto, gli amici lontani. è naturale, abbiamo tutti bisogno di una casa.

    A Zagabria hai fondato una casa editrice. Qual è la situazione dei comics oggi in Croazia? Cos’é realmente cambiato dal tempo in cui eri li?
    Non so precisamente quale sia la situazione del fumetto in Croazia. Alcuni autori lavorano per la Marvel e la DC in America, pochi realizzano pubblicazioni più sperimentali. Chiunque cerchi di sopravvivere facendo fumetti si rivolge agli Stati Uniti o alla Francia. La Croazia è un paese piccolo e pochissime persone leggono fumetti. Ma c’é qualche chance – un esempio importante è la rivista Stripburger, pubblicata a Ljubliana, in Slovenia. La Slovenia è addirittura più piccola della Croazia con ancora meno lettori ma Stripburger è strettamente collegata al mondo del fumetto alternativo in Europa ed è ben distribuita in tutta Europa e negli Usa. Sono molto attivi nell’organizzare mostre e presentazioni presenziando alle fiere dove possono incontrare il pubblico giusto per recepire il loro lavoro. È un esempio che può servire da ispirazione sul come si possono rompere i confini ed è basato completamente sull’entusiasmo ed il lavoro duro di poche persone dedite a realizzarlo.
    A Zagabria, nel 2001, insieme ad un gruppo di amici, abbiamo fondato una casa editrice e studio grafico chiamata Petikat. È un posto dove poter lavorare e creare all’interno del mondo del design e del fumetto, con al tempo stesso l’intenzione di espandere il lavoro verso un pubblico più vasto, di connettersi con il tessuto sociale. È un esperimento che consiste nel vivere e creare e comunicare con la realtà della Croazia al giorno d’oggi. Da quando vivo a Brooklyn e lavoro sia per gli Usa che per l’Europa, l’idea è anche di fare cose che fluttuino dentro e fuori i confini della Croazia. Ora come ora stiamo incontrando difficoltà e combattiamo, ma la nostra forza di volontà è grande.

    La guerra ha condizionato la tua vita ed oggi ti trovi a vivere nel paese che promuove la guerra preventiva come soluzione ai problemi del mondo. Come vivi questa situazione?
    Sembra che un certo tipo di guerra sia sempre in atto, ovunque, sotto varie forme. C’é un tipo di guerra a casa, un tipo di guerra in ufficio, un tipo di guerra per strada, poi ci sono i politici e le grandi guerre. Tutti questi tipi di guerre sono connessi da impulsi similari. Se li analizzi sino a cercarne la sorgente dovrai cercare dentro te stesso – ai tuoi impulsi distruttivi e violenti, alle tue paure… C’é un vecchio detto che recita “La menzogna di un uomo può distruggere il mondo…”, ma devi capire che quest’“uomo” sei tu.

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    Ringraziamo Danijel per la gentilezza e per la pazienza dimostrata e speriamo di ritrovarlo in Italia al più presto.

    Un ringraziamento speciale va ad Angela per la sua consulenza linguistica.

     

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