La casa editrice Argo Libri recupera The Coffin, una miniserie in quattro numeri realizzata e pubblicata in originale dai suoi stessi autori, Phil Hester e Mike Huddleston, nel 2000 e ristampata nel 2010 da IDW Publishing. Poco dopo quest’opera in cui si è cimentato come autore dei testi, Hester diventerà il disegnatore di Freccia Verde per il ciclo con cui il regista Kevin Smith – i due avevano già collaborato per una miniserie a fumetti dedicata al film d’esordio del regista: Clerks – aveva rilanciato il personaggio con grande successo, ciclo recentemente ristampato in un lussuoso omnibus da Panini Comics.
L’opera mescola tra loro meccaniche supereroistiche e al fumetto horror, con una fortissima venatura pulp. È una ghost story che sfiora Lovecraft inserita in una specie di What if? che pare ispirarsi agli esordi del personaggio di Iron Man. Il dottor Ashar Ahmad sta sviluppando un’armatura, un “coffin” (il termine inglese coffin significa bara), il cui obiettivo non è quello di contenere un essere umano, ma il suo spirito, aspirando all’immortalità.
La sua dedizione al progetto è tale da essere una vera e propria ossessione, che lo aliena dalla moglie e dalla figlia e che gli impedisce di rendersi conto che il suo finanziatore, Mr. Heller, è un uomo ben più ossessionato di lui e decisamente pericoloso. Quando Heller cerca di farlo uccidere, il dottor Ahmad finisce per diventare la cavia umana del proprio esperimento . Vero e proprio “spirito nella macchina”, ora che ha perso il suo guscio umano, Ahmad si ritrova a dover riscoprire e recuperare proprio il suo lato più umano e l’amore per gli affetti – soprattutto quello per sua figlia – per poter fermare i piani di Heller e forse anche qualcosa di molto peggio.
Il fumetto in bianco e nero sposa un’estetica e un’atmosfera gotica e pulp. Anche se non mancano momenti apparentemente più canonici per il fumetto supereroistico, come lo scontro tra diverse armature, anche queste sequenze di azione risultano rilette attraverso un filtro di ispirazione più orrorifico. I neri sono pieni, netti, come le linee e i tratteggi che finiscono per farli dominare con frequenza sui bianchi. Soprattutto quando sono in scena le casse, i “coffin”, questi sono definiti e costruiti più dalle ombre che dalle luci. Non siamo ai picchi di Mignola o di un Frank Miller in Sin City – i personaggi qui, seppure non manchino di alcune sintesi grafiche, possiedono più rotondità – ma la direzione è quella. Ulteriore rifinitura viene aggiunta con il grigio dei retini, con piccoli tocchi su sfondi e per qualche pennellata materica.
Il tratto di Huddleston è realistico, un realismo che mantiene solido anche nei passaggi più onirici e nelle numerose creature che ne sono protagoniste, caricando ancora di più l’effetto grottesco. Anche la gabbia libera cerca di seguire l’atmosfera della storia, con un montaggio estremamente vario che cambia tavola dopo tavola e cerca spesso l’uso di vignette verticali. Le pagine sono estremamente dense, cariche di immagini o di vignette – ogni tavola sembra cercare a tutti i costi di ridurre al minimo possibile il bianco e gli spazi vuoti – ma nessuna delle soluzioni risulta mai essere alla sola ricerca della spettacolarizzazione o dell’effetto fine a sé stesso. A volte si rischia l’eccesso, ma resta comunque sempre visivamente interessante.
Diversi elementi giocano su topoi e in diversi casi su cliché, rendendo prevedibile la linea narrativa sulla sfera più terrena, ovvero il tradimento del finanziatore, le battaglie conseguenti e la vendetta. La componente più interessante e che conferisce tocchi originali al fumetto è invece quella più astratta e filosofica – la stessa che permette a Huddleston di realizzare alcune delle tavole più interessanti – dove le componenti più fantastiche del confronto con l’aldilà permettono di esprimere al meglio derive metafisiche che portano la storia a porsi domande quali: cosa rende un essere umano quello che è? Cosa succede dopo la morte?
Se l’esplorazione messa in piedi dai due autori intriga, non sono però riusciti a smarcarsi del tutto da meccaniche e strutture che, oltre a una certa prevedibilità, non permettono di esplodere del tutto il potenziale del progetto, che evidentemente aspirava a svilupparsi in successive miniserie che non sono poi state prodotte.
A proposito di canoni e di ispirazioni, c’è una sequenza all’inizio della storia che evoca una possibile ispirazione degli autori. Uno dei primi esperimenti del dr. Ashar viene realizzato su di un cane. Il coffin dell’animale, che ha un aspetto vagamente robotico, non può che far venire immediatamente in mente uno dei primi personaggi seriali con protagonista un androide, ovvero un uomo la cui mente è stata trasferita in un corpo robotico: Kyashan il ragazzo androide. Anime prodotto dalla Tatsunoko nel 1973 in cui il protagonista combatteva contro robot ribelli e tirannici, lo vedeva infatti in compagnia del suo cane, Flender, la cui coscienza era stata trasferita in un corpo meccanico – capace di diventare più veicoli – come il suo padrone.
Il volume è corredato da una breve introduzione del regista Guillermo del Toro, una serie di studi e schizzi preparatori, nonché il testo del progetto che i due autori hanno proposto agli editori, comprensivo di alcune ipotesi di possibili nuove storie.
Abbiamo parlato di:
The Coffin
Phil Hester, Mike Huddleston
Traduzione di Chiara Grilli
Argo Libri, 2023
130 pagine, brossurato, bianco e nero – 24,00 €
ISBN: 9788831225359