The Book of Boba Fett, il cowboy e gli Indiani

The Book of Boba Fett, il cowboy e gli Indiani

Il secondo episodio di The Book of Boba Fett, disponibile su Disney+, regala alcuni spunti che rimandano al genere western.

The Book of Boba Fett è la seconda serie televisiva in live action prodotta da Lucasfilm e resa disponibile sulla piattaforma Disney+. La prima, The Mandalorian (di cui sono visibili le prime due stagioni), ha avuto enorme successo ed è stata il trampolino di lancio per lo stesso Boba Fett, il protagonista del nuovo serial.

Forse, piuttosto che di “lancio”, è opportuno parlare di “rilancio”, visto che il cacciatore di taglie, sparito per un po’ dai radar, è uno dei personaggi più amati dagli appassionati della saga di Star Wars, pur essendo apparso nella trilogia originale per soli sei minuti e una trentina di secondi, tra L’Impero colpisce ancora e Il ritorno dello Jedi.

ATTENZIONE: SPOILER! L’ARTICOLO PRENDE IN CONSIDERAZIONE LE PREMESSE DEL PRIMO EPISODIO DI THE BOOK OF BOBA FETT E GLI SVILUPPI DEL SECONDO.


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La serie si dipana fin da subito lungo due linee temporali: il passato, sviluppato attraverso flashback innescati durante il sonno curativo di Boba, e il presente in cui egli è il daimyō di Mos Espa, un porto spaziale piuttosto trafficato, situato sull’iconico pianeta desertico Tatooine. Il termine giapponese indica una carica importante del Giappone feudale e, per semplificare, potremmo paragonarla alla figura dei missi dominici inviati da Carlo Magno per sorvegliare i conti e i marchesi e per dar loro manforte, con la differenza che spesso un daimyō finiva per spodestare il governatore civile che, invece, avrebbe dovuto aiutare.

Nel racconto ambientato nella galassia lontana lontana, dopo essere scappato dal ventre del Sarlacc nel quale era ridicolmente finito in Episodio VI, ed essere sopravvissuto alla dura vita presso i predoni Tusken, Fett si stabilisce sul trono di Jabba the Hutt come suo successore, dopo l’interregno di Bib Fortuna. Pertanto domina sul luogo, che possiamo definire il suo feudo, esercitando il controllo e riscuotendo un tributo. Almeno queste sono le sue intenzioni che, però, si scontrano con una realtà ben diversa.

Il personaggio interpretato da Temuera Morrison non è avvezzo al comando, essendo stato per anni un cacciatore di taglie al soldo di qualcuno e, quindi, un sottoposto – carismatico, abile, badass, ma pur sempre un sottoposto. È nuovo all’ambiente e alle sue regole, non è imponente come Jabba e, soprattutto, non rispetta il cerimoniale. Niente lettiga né cortigiani, il kaminoano ama agire da solo ed è già tanto che si accompagni all’assassina Fennec Shand (Ming-Na Wen) e a un paio di gamorreani. Da un lato sembra quasi una sorta di sovrano illuminato che cerca di introdurre delle riforme per governare con strumenti che non siano per forza la violenza e la paura. Dall’altro, forse, è semplicemente inesperto e, addirittura, inadatto al ruolo.


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In attesa di scoprire se Boba riuscirà a farsi rispettare dai diffidenti politici di Mos Espa, completando così il percorso di formazione che, eventualmente, lo porterà a diventare un daimyō competente, già nella seconda puntata di The Book, attraverso un lungo flashback, si notano i progressi lungo un altro percorso, quello della riabilitazione dopo la presunta morte e il ritorno alla civiltà.

Ma quale civiltà?
Quello dei Tusken, o Sabbipodi, è un popolo umanoide organizzato in una società a carattere tribale, che vive prevalentemente nel Mare delle Dune di Tatooine, perpetrando razzie ai danni dei visitatori e dei locali. Insieme ai piccoli Jawa, i predoni sono tra gli elementi che immergono immediatamente gli spettatori nella saga poiché appaiono fin da Una nuova speranza e godono di un aspetto subito riconoscibile.

Fett si ritrova prima prigioniero e poi ospite di un clan. In breve tempo riesce a farsi accettare dal gruppo e a integrarsi riconfermandosi guerriero astuto, leale e propenso a imparare nuove tecniche di combattimento, con spirito di adattamento e di sacrificio. Da preda a primus inter pares il passo è breve, come dimostrano alcune sequenze di The tribes of Tatooine (questo il titolo della seconda puntata), e viene compiuto con una scrittura e una messa in scena che ricordano il western.

Fin da Episodio IV è evidente il fascino che la Trilogia del Dollaro di Sergio Leone ha esercitato su George Lucas e si è riverberato sull’intero franchise fino a The Mandalorian compreso, per rinnovarsi in TBoBF. Strizzando l’occhio a una certa narrazione western, i Tusken sono assimilabili agli Indiani: sono grezzi, genuini, attenti alle tradizioni, ai rituali e piuttosto chiusi in loro stessi. Allora Boba diventa automaticamente l’uomo bianco che attraverso un varco entra nella società, partendo da una posizione di svantaggio e finendo poi per portare la fiamma di una civiltà diversa. In alcune scene il mercenario ricorda Robinson Crusoe o, più facilmente, gli eroi che ne I magnifici sette insegnano ai contadini a difendersi dai criminali di Calvera (un omaggio al film di John Sturges si nota anche nella prima stagione di The Mandalorian).


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Nello sviluppo della puntata, Fett prima irrompe in un locale come se fosse un cowboy alla ricerca della zuffa in un saloon, successivamente, dopo aver addestrato i Sabbipodi, guida quello che è a tutti gli effetti un attacco alla diligenza. Anzi, a essere più precisi, un attacco al treno, altro elemento tipicamente western e leoniano che, come ricorda C’era una volta il West, segna la fine dell’epoca della conquista dell’Ovest per aprire la corsa alla seconda frontiera americana, quella industriale1.

Gli Indiani assediano il convoglio guidati dal viso pallido, la missione va a buon fine, i sopravvissuti tornano ai loro tipì e fumano tutti insieme attorno al fuoco il calumè. Fuor di metafora, Boba (che in realtà non è un viso pallido, dato che l’attore Temuera Morrison ha origini maori) dimostra il proprio valore, entra a tutti gli effetti a far parte della tribù dei Tusken e agisce come uno di loro, trasmettendo loro alcuni insegnamenti.

Giunti alla conclusione della puntata, resta la curiosità di vedere come l’esperienza formativa vissuta presso gli aggressivi abitanti del deserto tornerà utile al protagonista per scalare la piramide sociale di Mos Espa, confermandosi de facto e de iure il daimyō del territorio.


  1. Christian Uva, Sergio Leone – Il cinema come favola politica, Edizioni Fondazione Ente dello Spettacolo, 2013 

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