Le relazioni tra persone sono complicate. Da raccontare, da vivere. Ancor più difficile è superare una relazione che finisce: lungo o breve che sia stato, un legame interrotto lascia un vuoto nel cuore, più o meno grande.
Ognuno di noi l’affronta in maniera diversa e con un tempo diverso, ma i vuoti sono difficili da combattere e riempire. E quando è l’amore ad andarsene dalle nostre vite, questi vuoti diventano voragini profondissime e oscure, insormontabili.
Eppure, come spesso succede, ogni fine può diventare un inizio, un percorso più complesso, quello attraverso noi stessi, che ci porta ad affrontare la parte di noi che conosciamo meno, che non guardiamo mai. E alla fine di questo percorso si arriva irrimediabilmente cambiati, un po’ più grandi e consapevoli.
Ma il cammino non è mai semplice, perché le relazioni non sono semplici da vivere, men che meno quella con se stessi. Un viaggio senza durata prestabilita, diverso per ognuno di noi.
Per il protagonista dell’opera di Luca Vanzella e Giopota sono necessari dodici mesi per arrivare al termine di questo pellegrinaggio nelle strade del cuore.
Le vie del cuore sono ricche di ostacoli
Antonio ha 25 anni, vive in un’ucronica Bologna ed è all’ultimo anno di università, corso di storia medievale e tesi in preparazione sui santi dimenticati. Un ragazzo molto riservato e tranquillo, non molto sociale ma comunque circondato da una ristretta cerchia di affetti profondi. Soprattutto, Antonio ha il cuore spezzato.
Il suo ragazzo, Tancredi, lo ha lasciato, e lui non sa bene cosa fare. Gli amici di sempre cercano di tirarlo su, perché è questo che fanno gli amici, ognuno a modo proprio, usando sarcasmo e maniere brusche come il coinquilino Zeno, o spensieratezza e vivacità, come la compagna di corso Anita, o sensibilità, come l’amico di lunga data Tobia. Ma solo Antonio può superare questo evento, tra mille dubbi e incertezze, errori e cadute, tra un messaggio di troppo mandato di nascosto al proprio ex e feste con livelli eccessivi di alcool e tante lacrime.
Dodici mesi che diventano altrettante tappe della maturazione di un giovane uomo che rimette a fuoco la propria vita. In ognuno dei capitoli di Un anno senza te, Vanzella e Giopota ricostruiscono con onestà e tenerezza il viaggio di chi si trova a riprendersi e ritrovarsi dopo un’esperienza profonda e importante, usando un taglio narrativo che riesce a coniugare la leggerezza delle situazioni rappresentate con una tematica intensa e complessa.
Gli autori costruiscono un piccolo mondo fatto di pochi rapporti importanti che si inseriscono nel flusso della routine scandita da lavoro, studio, feste e chiacchierate: da questo universo dell’intimità selezionano episodi ben precisi che esemplificano le varie tappe del superamento di un amore, in cui il dolore deve essere affrontato, assimilato e usato per sopravvivere e crescere nei complessi anni della formazione di se stessi.
Grazie a queste scelte e all’interazione tra i personaggi, fatta di dialoghi schietti e genuini, le varie storie si intrecciano e si rafforzano l’una con l’altra, soffermandosi sia sui sentimenti del protagonista che sulle esperienze degli altri personaggi.
Tutto questo crea un grande arazzo capace di rappresentare l’universo intimo dell’essere umano, descrivendo le piccole e molteplici emozioni individuali legate alla fine di una storia importante, ma al tempo stesso riesce anche a creare un ritratto reale ma non depresso (e depressivo) o scontato di una generazione in cerca di un senso, una generazione un po’ perduta e un po’ romantica che sta provando a costruire la propria storia.
Ucronia dei sentimenti
Eppure fino a qui, abbiamo parlato della storia della fine di un amore integrata in un contesto generazionale. Una vicenda che non suona nuova, essendo già stata ampiamente sviscerata nel corso di centinaia di anni da letteratura, musica, teatro e cinema.
Il rischio di un racconto banale e retorico viene sapientemente evitato da Vanzella e Giopota grazie alla scelta di una ambientazione geografico-temporale sospesa tra sogno e realtà, tra presente e futuro. Ecco quindi che Bologna diventa la protagonista silenziosa ed essenziale del racconto, sfondo delle vicende e osservatrice discreta dei protagonisti.
Una Bologna simile a quella della realtà, ma che si arricchisce di elementi fantastici, poetici e onirici, come una statua di Lady Oscar vicino alle arcate o una nevicata di bianchi conigli. Un paesaggio sognante in cui i sentimenti dei personaggi prendono forme inaspettate, un mondo dove realtà e fantasia si mescolano, in cui i ricordi sono letteralmente trasportati dal vento e la musica e la rabbia si trasformano in un gigante che distrugge le torri degli Asinelli: intriganti soluzioni narrative per ribadire il concetto che il nostro mondo interiore influenza costantemente la nostra percezione del mondo esteriore.
Luca Vanzella lascia libero sfogo a idee ed intuizioni stimolanti e ricercate, come l’invenzione dei neologismi del “Dizionario dei sentimenti misconosciuti e delle azioni minime”, che dona ai capitoli dedicati ai mesi di giugno soprattutto luglio (forse il più intenso di tutti) una poetica bizzarra e intensa, una tenerezza coinvolgente e struggente.
Lo stesso si può dire per le alterazioni temporali, che rendono la storia più ricca e inaspettata, alleggerendo efficacemente la tradizionale e rigida impostazione in capitoli: i flashback non interrompono il ritmo narrativo ma si fanno parte integrante della progressione di Antonio verso una nuova fase della sua vita e le sovrapposizioni temporali del capitolo di luglio diventano esempio tangibile di accettazione e riconciliazione con se stessi.
Un anno senza te è quindi non solo racconto della fine dell’amore e della ricerca del proprio io, ma anche una riflessione più generale sul modo in cui si racconta agli altri e soprattutto a se stessi un sentimento, sulla temporalità soggettiva che si sovrappone a quella oggettiva, su come viviamo rapporti e relazioni, lunghe o brevi che siano, intense o lievi che siano.
Tra lacrime e carezze: uno stile attento e gentile
Il connubio tra Vanzella e Giopota è totale e completo. L’artista casertano infonde all’opera una atmosfera intima e positiva, grazie a uno stile gentile e morbido, figlio dell’incontro tra tradizione europea e suggestioni tipicamente nipponiche, che definisce i volumi in maniera delicata e al tempo stesso corposa: ogni oggetto, ogni espressione, ogni lacrima e ogni carezza hanno una presenza scenica e una tenera intensità che catalizza l’attenzione del lettore.
Giopota è bravo a caratterizzare ogni personaggio grazie a pochi tratti distintivi, in particolare il protagonista, sulle cui espressioni l’artista si concentra maggiormente: Antonio ha un volto rotondo e delicato, una barba appena accennata e grosse sopracciglia, un volto che tradisce ogni minima emozioni, dolore e fragilità che si manifestano in lacrime voluminose, pesanti e dense di passione, timidezza e mancanza di fiducia in se stesso, perfettamente esemplificati dallo sguardo che sfugge ad alcune inquadrature per scappare altrove, per poi esplodere in lacrime di fronte al lettore.
Ed è soprattutto lo sguardo che Giopota usa per raccontare la crescita di Antonio, la presa di coscienza e coraggio che lo portano ad affrontare Tancredi e a guardare con fiducia al futuro nell’ultima vignetta della storia.
Tutti questi piccoli dettagli sono frutto del maturo senso di storytelling dell’artista e dalla grande capacità di impostazione del ritmo, che cambia a seconda delle situazioni: ora lento e attento, concentrato su piccoli gesti, sguardi, mani che si sfiorano e corpi che si toccano, fino a diventare vera e propria infografica nel capitolo della festa di capodanno, in cui il lettore può muoversi a piacimento tra i numerosi elementi delle doppie splash page, per poi velocizzarsi quando la situazione diventa tesa, come nell’episodio della festa in discoteca in cui la suddivisione delle vignette si fa più fitta e frenetica, passando da cinque a sei e poi nove vignette.
Le inquadrature scelte da Giopota sono sempre attente a valorizzare al massimo queste “azioni minime”, come il distacco dei due amanti delle prime due pagine, o il risveglio di gennaio, perfetti esempi delle scelte di ritmo per focalizzare l’occhio su un particolare momento.
Il gioco registico si estende anche alla gestione degli sfondi, che scompaiono quasi completamente quando l’obiettivo si concentra sui personaggi, per poi tornare a inquadrare le meravigliose architetture bolognesi e le sue bizzarrie, come i fari per dirigibili da crociera sulle colline intorno alla città.
Giopota si dimostra inoltre versatile nel rappresentare l’irruzione delle stranezze che sconvolgono la normale quotidianità, siano esse violente come la “distruzione di Bologna” che delicate come le note musicali che cadono dagli auricolari di un disperato Antonio: grazie a uno stile non realistico ma attento a dettagli anatomici e architettonici, l’artista riesce a introdurre con delicatezza elementi fantastici, che quindi non sembrano mai fuori posto, ma anzi parte integrante del paesaggio.
Il layout delle tavole, minimale e arioso grazie alla suddivisione delle vignette lasciata unicamente agli spazi bianchi, conferisce alla storia una leggerezza onirica che è rafforzato dall’uso dei colori accesi e piatti, che riempiono ogni pagina e sono sempre presenti, anche nei momenti più cupi: un monito costante a ricordare che anche dal fondo del burrone più profondo si riesce a vedere la luce.
Ed è questa luce il messaggio più prezioso di questa opera, per chi come Antonio si ritrova a cercare di capire cosa sia successo, a ripartire faticosamente e dolorosamente, cercando di ricostruire la fiducia in se stessi. Non per tutti il cammino è lo stesso, e non è facile per nessuno.
La storia onesta, dolce, poetica di Luca Vanzella e Giopota è lì per ricordarcelo: va bene cadere e avere dubbi e paure, ma alla fine ci si deve rialzare, prendersi per mano e andare avanti, verso quel drago che ci fa paura ma che, “se non lo affrontiamo, non saremo mai noi stessi”.
Serve solo tempo. Per imparare a rivedere i colori del mondo.
Abbiamo parlato di:
Un anno senza te
Luca Vanzella, Giopota
Bao Publishing, maggio 2017
220 pagine, brossurato, colori – 20,00 €
ISBN: 9788865438787