Sydney Jordan nasce in Scozia a Dundee nel 1931. Dopo aver studiato ingegneria aeronautica al Miles Aircraft’s experimental college, nel 1951 è a Dundee e lavora come assistente per Bill McCail. Nel 1954 crea il personaggio di Jeff Hawke, un avventuriero spaziale dotato di grande umanità e profondo senso della giustizia. Nel 1956 William Patterson lo affianca occupandosi delle sceneggiature, insieme i due autori conoscono un grande successo e le strisce di Jeff Hawke vengono pubblicate in tutta Europa e in Italia dove appaiono per la prima volta sulle pagine della rivista Linus. Dopo la conclusione delle avventure di Jeff Hawke nel 1974, Sydney Jordan crea il personaggio di Lance McLane, pubblicato dal Daily Record dal 1976 al 1988. Si ricorda anche una sua collaborazione alla realizzazione di alcune avventure di Dan Dare di Frank Hampson nel 1968. Nel 1996 infine UK Sunday ha pubblicato una nuova avventura di Dan Dare, i cui disegni sono opera di Jordan.
Come nacque Jeff Hawke? Quali furono le istanze che portarono alla sua creazione e quali le fonti di ispirazione del personaggio?
Essendo un ragazzino cresciuto durante la guerra, la mia passione per la narrazione di storie fu nutrita dai racconti meravigliosamente colti che la casa editrice D. C. Thomson di Dundee (Scozia) pubblicava nei suoi settimanali fumettistici, come The Wizard, The Skipper, The Rover, The Hotspur – che includevano temi legati all’aviazione e ai primi voli spaziali. Ancora oggi ne ricordo uno in particolare, The last rocket to Venus, nel quale la Terra al collasso provocava il grande esodo degli uomini verso un’ipotetica salvezza su Venere, un pianeta che nel 1936 si pensava ancora simile al nostro. Il vero dramma stava nel fatto che l’eroe dovette rimanere indietro a monitorare il lancio dell’ultimo razzo. Non potete immaginare quanto il pathos e la natura apparentemente ingiusta di questo finale colpirono il mio senso di giustizia infantile! Questa e altre storie acuirono la mia percezione del significato di dramma e coinvolgimento e mi condussero ai racconti fantascientifici di Ray Bradbury, Arthur C. Clarke e degli altri autori della golden age degli anni Cinquanta.
Come nasceva una storia? C’era un collegamento con la realtà sociale e politica del tempo?
Nel periodo che passai al college Miles Aircraft nell’Inghilterra del Sud tra il 1945 e il 1947 acquisii nozioni di ingegneria aeronautica che mi avrebbero aiutato a far apparire autentica l’attrezzatura di Jeff Hawke. La striscia nacque come una specie di versione britannica di Flash Gordon, il cui creatore, Alex Raymond, era già passato al fumetto successivo, Rip Kirby, una striscia magistrale che combinava storie per adulti con una grafica dall’impeccabile cura e perfezione della linea nella rappresentazione delle figure umane. Il suo lavoro influenzò il mio, specialmente da quando abbandonai le trame abbastanza datate del primo Hawke e iniziai ad ambientarle in un futuro più vicino. In questo modo, il mio eroe poteva interagire con le tendenze sociali e tecnologiche del suo tempo avendo, contemporaneamente, l’opportunità di incontrare extraterrestri, la cui esistenza iniziava a essere sostenuta dalla diffusione dei resoconti sui dischi volanti.
Lavorando su base quotidiana, avevate direttamente riscontro di cosa funzionava e cosa no? La storia poteva cambiare in corso d’opera in base a questo?
Quando la striscia si creò un suo pubblico, iniziai a ricevere molte lettere di lettori che confermavano come storie e attrezzatura futuristica di Hawke corrispondessero alle loro idee sull’evoluzione della scienza e della condizione umana. Non sentivo il bisogno di alterare la linea generale delle storie, ma cercavo di variarle, e dopo il 1960 fui notevolmente aiutato da Willie Patterson.
Jeff Hawke è un eroe ancora molto moderno, soprattutto perché rappresenta le qualità migliori dell’essere umano, specialmente quando incontra gli alieni, i “diversi” per eccellenza. Paragonando quest’uomo di un futuro passato agli uomini di oggi, è deluso? Pensa che saremmo più felici e pacifici se gli somigliassimo di più?
L’interrogativo che hai posto va al cuore dell’ethos che è dietro al fumetto. Hawke è effettivamente un uomo d’azione, come dovrebbero esserlo tutti gli eroi, e il suo compagno canadese Mac McLean, sebbene non privo di una forte morale, non è certo da meno. Ma Hawke stesso è un sostenitore dell’egualitarismo da dopoguerra, mentre nella vita reale, dopo la sconfitta del fascismo, si prefigurava l’avvento di un mondo nuovo, più democratico. In questo periodo molti film di fantascienza (con la lodevole eccezione di Ultimatum alla Terra) raffiguravano gli alieni come esseri inumani e sanguinari, mentre nel mio fumetto gli extraterrestri mostrano molte caratteristiche proprie degli uomini. Perfino Chalcedon, nonostante sia l’arcinemico di Hawke, appartiene alla categoria degli “adorabili furfanti” se paragonato ai marziani di H.G. Wells. Insomma, Hawke e gli altri sono scagionati dall’accusa di razzismo! Secondo me, vorremmo tutti vedere un mondo in cui gli esseri umani capiscano di essere solo dei passeggeri su quest’incredibile astronave chiamata Terra, in viaggio verso una destinazione sconosciuta e affascinante, dove scienza e tecnologia aiuteranno a gestire le sfide che l’Universo ci pone innanzi…
Il rapporto con la tecnologia in Jeff Hawke era certamente figlio dell’epoca: quali speranze e quali paure cercava di raccontare e come vede oggi l’uso della tecnologia nella vita di tutti i giorni, per certi versi più fantascientifica di quanto si potesse immaginare?
La striscia “maturò” negli anni in cui sia l’America che la Russia rivaleggiavano per essere la prima potenza a spedire un uomo nello spazio e raggiungere la luna. Con l’evolversi della “corsa allo spazio”, anche le avventure di Jeff Hawke iniziarono a riflettere i graduali progressi nell’astronautica, che a loro volta influenzavano il mercato dei nuovi materiali, dell’elettronica e, infine, il mondo dei microchip. Ma pensiamo al fatto che i bambini di oggi hanno a disposizione dei cellulari svariate volte più sofisticati della strumentazione del Programma Apollo: il futuro è tanto spaventoso per noi quanto il nostro presente lo era per le persone del Medioevo. Ma l’aspetto forse più straordinario di questa nostra realtà è il modo in cui i nostri bambini accettano tutto come naturale e, anzi, lo danno già per scontato. Nel 1904, quando il redattore del quotidiano locale di Dayton venne a sapere dal suo fattorino che i fratelli Wright avevano appena fatto volare il loro aereo a motore, disse: “Beh, figliolo, se mai faranno qualcosa di insolito, fammelo sapere subito!”. No, penso che il genere umano possa sopravvivere a tutto fuorché all’impatto con un asteroide o all’invasione di marziani sanguinari!
La cinematografia fantascientifica oggi ha a disposizione i potenti mezzi della computer grafica e realizzare storie come quelle di Jeff Hawke, così legate alle leggi fisiche dello spazio, oggi non sarebbe più un problema da superare solo grazie al disegno, come fece lei. Secondo Lei, perché il cinema di fantascienza moderno si limita invece al lato più fantastico del genere – penso all’ultimissimo Star Wars – e non esplora le possibilità narrative che invece Lei ha investigato così bene?
Il fumetto in formato striscia giornaliera faceva in modo che un eroe come Jeff Hawke potesse affrontare la sfida dei viaggi nello spazio e della presenza di altri mondi e creature aliene con un ritmo tale da permettere una riflessione sull’uomo e sulle stelle; rappresentava cioè un momento per leggere e assorbire le idee proposte. Questa struttura più contemplativa si ritrovava anche nei film di quel periodo, come 2002: la seconda odissea, Solaris e, ovviamente, 2001: Odissea nello spazio – per nominare solo alcuni tra i film più intellettualmente stimolanti. Perfino Star Trek aveva un tono altamente etico e un’ammirevole mancanza di violenza vera e propria. Ma il pubblico attuale è composto da quegli appassionati cresciuti con il culto di Star Wars e i videogames X-Boxe il genere fantasy è adesso il più popolare, e deve esserlo per recuperare l’enorme budget necessario alla trasposizione sul grande schermo.
Come nascevano le tante e varie razze aliene con cui Jeff entra in contatto?
Chalcedon fu pensato come un supercattivo per creare un contrasto con l’onestà del personaggio di Jeff Hawke, ma diventò subito più simile a una pantomima di un demone, sinistro e spaventoso a prima vista, ma in fondo innocuo, la cui malvagità si manifestava solo nell’umiliare e nel prendere in giro Kolvorok! Dal canto suo, Kolvorok raffigura il tipico burocrate presente in ogni società statalizzata. Pomposo e codardo, fa sfoggio di autorità per mascherare la sua inadeguatezza ma finisce per fare la parte dello stupido in confronto all’aristocratica presenza di Sua Eccellenza. Sua Eccellenza, rampollo di una nobile famiglia, è una creatura dal corpo di lucertola che cerca di mettere in pratica i decreti della Federazione Galattica, ma sa fin troppo bene di combattere una battaglia persa! Dal Giudice della Corte Suprema alle guardie-bruco, gli alieni appaiono grotteschi secondo gli standard degli umani, ma sono a essi accomunati da un fattore importante: tutti soffrono di quei mali di cui Amleto si lamenta nel magistrale soliloquio “Essere, o non essere” di Shakespeare. Nel complesso, la diversità degli alieni stava a indicare che anche in uno scenario galattico la Natura avrebbe prodotto una varietà di forme di vita, esattamente come avviene qui sulla Terra
Che difficoltà incontravate nel dividere la trama in strisce quotidiane, sia a livello pratico che di impostazione?
Sebbene a prima vista l’esiguo spazio dedicato sui quotidiani ai fumetti potesse sembrare limitante, la striscia presentava un grande vantaggio: il lettore era obbligato a memorizzare le precedenti vignette, anche solo per qualche ora, per continuare con gli episodi successivi, e così cercavo sempre di terminare la settimana con un cliffhanger. I racconti a puntate erano incredibilmente popolari ai tempi di Charles Dickens, e fu il suo amico e collega Wilkie Collins a individuare lo spirito di questo tipo di narrazioni: “Falli ridere, falli piangere, falli aspettare!”. È una formula che si usa con successo ancora oggi nelle soap opera.
Il formato a striscia, con cui il fumetto, si può dire, è nato come prodotto di massa, oggi è praticamente in disuso, mantenuto per lo più nel fumetto comico. Qual era la forza di quel formato e perché, secondo lei, lo si è perso?
Quando le immagini in movimento del cinema sono arrivate nei soggiorni del cittadino comune, sotto forma di prodotti sempre più sofisticati, con colori, suoni e un flusso continuo dell’azione, il linguaggio statico delle strisce a fumetti ha gradualmente perso la sua carica innovativa. Al contrario, l’aspetto umoristico è sopravvissuto per l’immediatezza con cui le strisce possono affrontare i temi politici e sociali di un determinato giorno o settimana.
Come era il rapporto con William Patterson, come lavoravate insieme e cosa ha aggiunto al suo personaggio?
Io e Willie Patterson eravamo amici d’infanzia e il nostro amore per la letteratura si sviluppò e crebbe quando frequentammo la Perth Academy nella nostra città natale (Perth, Scozia). La nostra stimolante formazione letteraria ci portò a esplorare sia i classici sia le opere di Conan Doyle, Algernon Blackwood, H. P. Lovecraft, eccetera. Poco dopo il mio trasferimento a Londra per lavoro, anche Willie mi seguì accettando un impiego come editor per The Children’s Encyclopædia della Amalgamated Press (ora Fleetway). Iniziammo subito a collaborare per la parte testuale del fumetto, e così nacque la prima storia di Chalcedon. Willie si godeva la vita londinese e la sua conoscenza degli aspetti editoriali e legali di Fleet Street in quegli anni ci spinse a creare una specie di mondo sociale parallelo per gli alieni, che poi fece la sua apparizione nel fumetto [ndr. Fleet St. è stata la sede dei maggiori quotidiani inglesi fino agli anni ottanta]. L’istruzione letteraria e politica che avevamo fornì alla striscia un’attenzione completamente diversa rispetto a quella di molte brillanti vignette che comparivano sui quotidiani inglesi del tempo. Willie era il partner perfetto e raramente ci trovavamo in disaccordo. Sul piano creativo era la mia metà e ne sento ancora la mancanza [ndr. Patterson morì nel 1986].
Il lavoro di autore di fumetti era molto diverso rispetto a oggi. Ci può raccontare come veniva vista la sua professione al tempo di Jeff Hawke?
Ad essere sinceri, tra il 1950 e il 1980 i giornali più diffusi erano in competizione tra loro per accaparrarsi le strisce a fumetti migliori, e questo contribuì alla fioritura di molti talenti in un settore così ristretto come quello fumettistico. Anche il nostro piccolo studio poteva vantare non meno di cinque artisti le cui vignette erano pubblicate nei quotidiani nazionali. Esisteva poi un club, The Society of Strip Illustrators, e le lettere dei lettori permettevano di capire quanto positivamente le varie strisce erano state accolte. Che giorni esaltanti erano quelli!
Cosa ha significato per lei la pubblicazione dell’ultima striscia nel 1974, dopo venti anni di vita editoriale?
Il fatto che il Daily Express – ora non più sotto il controllo patriarcale di Lord Beaverbrook – mi chiedesse di ultimare Jeff Hawke con un mese di preavviso, fu la spia dell’imminente declino delle strisce giornaliere. Non ci fu tempo per pianificare un finale elegante per la storia in corso, e nessuna preoccupazione per la continuity della trama. Se non altro avevo quasi concluso quella particolare avventura e fui in grado di connettere il canto del cigno di Hawke con le sue origini, attraverso un secondo incontro con gli Esseri Celesti della prima storia. Per me fu la conclusione di un’era emozionante, e comunque alla fine il giornale abbandonò tutte le sue strisce – ma già Lance McLane si mostrava all’orizzonte!
Jeff Hawke è stato pubblicato in Italia per la prima volta dalla rivista linus e poi raccolto in un’edizione cartonata in venti volumi dalla Milano Libri, oggi quasi introvabile, mentre recentemente la fondazione Rosellini ha pubblicato del materiale inedito e la casa editrice 001 ha annunciato la riedizione in 4 volumi di tutte le avventure del suo eroe. La stupisce questo attaccamento dei lettori italiani nei confronti del suo personaggio?
Fino al 1995 non avevo idea di quanto Jeff Hawke fosse diventato popolare in Italia. Non avendo mai ricevuto proventi dalla syndication, ero ignaro del suo successo all’estero. I premi occasionali da parte dei fan club europei erano l’unica cosa che poteva accennare alla sua popolarità, ma quando nel 1995 Silvano e Gabriella Scotto mi invitarono al Cartoomics di Milano mi sorprese davvero scoprire che ero famoso nel mondo del fumetto italiano! Da allora, mi sono divertito a partecipare a diverse convention in Italia, l’ultima delle quali è stata il Lucca Comics. Mi ha commosso, e devo dire piuttosto ridimensionato, l’ondata di ammirazione, di genuino affetto e apprezzamento che i fan e gli editori mi hanno dimostrato.
Segue ancora il mondo del fumetto di oggi? Se dovesse indicare uno o più fumettisti per un ipotetico remake del personaggio, a chi vorrebbe vederlo affidato?
L’arte delle strisce a fumetti mi interessa ancora molto, ma è più probabile per me lavorare alle graphic novel, come ho fatto con Hal Starr, che è adesso promosso in Italia da Allagalla. Credo che sia questo il modo per mantenere la narrazione a fumetti viva e vendibile. Per quanto riguarda un possibile successore che mi aiuti a realizzare un remake di Jeff Hawke, posso solo dire che, con i talenti in mostra nel mondo fumettistico, avrei solo l’imbarazzo della scelta.
Che impressioni ha del mondo del fumetto di oggi, e in che cosa è simile o differente da quello che ha vissuto in prima persona?
L’avvento della graphic novel ha segnato la fine delle strisce quotidiane più serie, che avevano chiaramente avuto origine nei “Funnies” dei settimanali americani, e delle pubblicazioni di D.C. Thompson e Fleetway in Gran Bretagna. La pagina del fumetto offre una tale varietà di layout che farà sempre centro con una generazione che è abituata all’alta qualità artistica dei videogame Xbox e dei film al cinema o sugli schermi televisivi. Le graphic novel di oggi vanno dal bizzarro al fantasy, dal commento politico alla satira rivoluzionaria e rappresentano molto di quell’ethos che caratterizzava la nostra generazione dell’era spaziale.
Intervista realizzata via mail tra il mese di Gennaio e il mese di Aprile 2016
Corrispondenza in inglese a cura di Elisabetta Gatti