Superman Returns

Superman Returns

Seguendo l'onda lunga dei successi cinematografici dei supereroi Marvel, dopo Batman Begins la DC Comics torna all'assalto dei botteghini con Superman Returns. Effettuando un'operazione inversa a quella del film di Nolan, Singer non tenta di rinarrare le origini del personaggio ma anzi riprende la storia dove si era interrotta alla...

L'icona del filmDopo aver visto il film le sensazioni sono contrastanti. Si è in bilico tra la ragione, che dice che l’opera ha numerose pecche e il sentimento che fa percepire molto amore e rispetto per il personaggio. Forse si possono far confluire ragione e sentimento con questo eccesso d’amore come punto d’incontro. Infatti la maggior parte dei difetti del film risiedono in una ricerca di rendere epica per forza la figura di Superman, con il conseguente rischio di cadere nell’umorismo involontario in più di un’occasione.

Ad esempio, sequenze come quella in cui Superman evita una sciagura salvando un aereoplano sono di grande impatto spettacolare, benissimo realizzate dal punto di viste della regia e degli effetti speciali, tutta l’azione fila via liscia come l’olio. L’epilogo è però sconcertante: il supereroe spiega ai passeggeri terrorizzati come « statisticamente viaggiare in aereo è il modo di viaggiare più sicuro» e l’ovazione della folla che applaude appare francamente enfatica. E lo stesso si potrebbe dire di molte altre parti del film. Ciò malgrado il film nella sua lunghezza (quasi 3 ore) non annoia. Ma le prove di Bryan Singer con i mutanti Marvel apparvero decisamente più convincenti, probabilmente anche perché viziate da meno aspettative e da confronti con opere precedenti.

L’idea di fondo che pervade tutta l’opera è che il regista, e con lui la produzione tutta, abbia perseguito l’intento di realizzare il film definitivo sul supereroe. A parere di chi scrive non c’è riuscito: inseguendo i due film di Richard Donner (anche se il secondo fu accreditato esclusivamente a Richard Lester c’è molto lavoro del primo anche nel sequel) e ripetendone di fatto una buona parte, ha fallito nel creare qualcosa di originale e adatto ai tempi contemporanei. Se sul finire degli anni ’70 e nei primi anni ’80 la psicologia del Superman cinematorafico era abbastanza coincidente con quella descritta nei fumetti, oggi gli sceneggiatori si sforzano di far sembrare meno ingenuo e boy-scout l’azzurrone. Certo resta il più idealista fra le icone DC, ma non è più quellodi un tempo e ciò non emerge dalla sceneggiatura di Superman Returns, dove soprattutto si recupera l’interpretazione di Christopher Reeve e degli scrittori sia fumettistici sia cinematografici del tempo.

Tutta la trama in generale è una ripresa del primo film: piano malefico di Luthor e super-sforzo del nostro per sventarlo. L’altra volta era la faglia di Sant’Andrea, questa volta è un’emersione di un continente (!) ottenuta con tecnologia kryptoniana carpita dalla Fortezza della solitudine, ma la sostanza è la medesima, adeguata alle maggiori possibilità odierne degli effetti speciali.

Restando in tema di effetti speciali, come accennato più sopra, entriamo in uno degli aspetti assolutamente positivi del film: qui la mano registica è felicissima nell’usare la tecnologia a disposizione per rendere la potenza e la velocità di Superman senza che il trucco sia preponderante sulla rappresentazione, rendendo naturali le imprese impossibili del kryptoniano.

Venendo al cast, piace l’interpretazione di Brendon Routh che non cerca di scimmiottare Reeve, sebbene si noti una certa ispirazione all’interpretazione dell’attore scomparso, il quale non si distingueva per particolari doti recitative ma ha lasciato la sua impronta indelebilmente per una sorta di osmosi col personaggio. Si può considerare un omaggio al miglior interprete che abbia avuto Superman fino ad oggi, rispetto al quale il giovane attore americano non sfigura. Questo malgrado visibili make-up per renderlo più somigliante al compianto e sfortunato predecessore.

Sorprendentemente deludente è invece il Lex Luthor di Kevin Spacey che fa rimpiangere il Gene Hackman dei due kolossal degli anni ’80. La colpa non è solo sua, in ogni modo, ma anche di un sceneggiatura che gli impone dialoghi più petulanti che convincenti e di una scelta discutibile di abbigliamento. Inoltre una piccola nota a margine: gli anfibi da rock-star anni ’80 poco si addicono col personaggio.

Kate Bosworth è una Lois Lane grintosa e avvenente, di gran lunga preferibile alla Margot Kidder dei kolossal anni ’80.

Sono buone anche le altre caratterizzazioni dei vari comprimari: Frank “Dracula” Langella (Perry White), James “Ciclope” Marsden (il figlio di White, compagno di Lois Lane), il piccolo Tristan Lake Leabu (Jason White, presunto figlio di Superman) e molti altri validi caratteristi tra cui merita menzione Eva Marie Saint nella parte di un’anziana Martha Kent.

Riassumendo il film non è certamente una completa delusione: sono apprezzabili le interpretazioni, gli effetti speciali, la musica (con la ripresa del riuscitissimo tema di Superman di John Williams) e la regia, molto meno trama, sceneggiatura e gli eccessi di retorica, sebbene la scena di Superman che cade stremato dallo sforzo e dalla kryptonite con la gente che ne segue con muta apprensione la traiettoria sia toccante. Ma da Singer ci si aspettava qualcosa di più, soprattutto nella caratterizzazione psicologica dei personaggi in generale e di Luthor in particolare.

Superman Returns
USA, 2006
regia di Bryan Singer
con: Brandon Routh (Superman/Clark Kent), Kate Bosworth (Lois Lane), Kevin Spacey (Lex Luthor)

Riferimenti::
Sito ufficiale: supermanreturns.warnerbros.com
Scheda del film su wikipedia in italiano: Superman Returns
Intervista a Bryan Singer: www.fantascienza.com
Intervista a Brandon Routh: www.glamouronline.it

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