Bigger than life
Leggere una storia di supereroi è aprire una porta su un universo: nei casi migliori, l’effetto è vertigine e disorientamento; nei casi ordinari, conforto e intrattenimento; nei casi peggiori, deja-vu e irritazione.
Gli universi supereroici mainstream sono vasti, perché contengono tanti personaggi e tante storie, e densi, perché ogni vicenda contiene riferimenti ad altri racconti. Uno sterminato numero di elementi in relazione fra loro: questo è ciò che affascina, cattura e sgomenta o magari scoraggia.
La natura (pretestuosa, citazionale, critica, ludica, ecc) della relazione fra la singola storia e l’universo entro il quale si svolge, determina di fatto gran parte della presa della storia stessa sul lettore e la sua rilevanza all’interno del genere, della testata o della vicenda, narrativa o editoriale, del personaggio coinvolto.
Nell’ottica che proponiamo, quindi, il fatto di trattare simboli deve essere considerato non tanto un limite quanto la condizione narrativa base del racconto supereroico. Di fatto, anzi, è proprio la natura di simbolo a rendere possibile raccontare storie “diverse” su uno stesso personaggio, poiché allo stesso referente (il personaggio), possiamo agganciare più significati1.
Nessuna storia esiste isolata: valida in generale, per il genere supereroico questa condizione ha una valenza particolare, che ne manifesta in forme estreme le possibilità e i rischi e che esploreremo tramite il concetto di immaginario di riferimento.
Un’idea semplice
L’immaginario di riferimento è un deposito di referenti, un mediatore che fornisce un insieme di simboli condivisi da un gruppo di lettori. Per i nostri ragionamenti, possiamo considerarlo come un sottoinsieme dell’enciclopedia del lettore, composto da elementi appartenenti a universi finzionali. Sono riferimenti intertestuali che consentono di agganciare catene referenziali preesistenti, quelle associate al testo/significato puntato, e, di conseguenza, di puntare ai significati collegati a quelle catene (processo detto metalessi, oppure transitività dei referenti).
L’effetto risultante è quello di importare nel testo che li utilizza un insieme di significati, idee e suggestioni, ovvero una o più euristiche (qui intese come modalità sintetiche di interpretazione, basate sul riconoscimento di schemi e strutture ricorrenti) legate ad altri testi, non necessariamente coerenti né fra loro né con quella/quelle del testo ospitante.
Intuitivamente, le dissonanze e non grammaticalità fra le euristiche costituiscono i punti di partenza ideali per la partecipazione del lettore e l’uso dei riferimenti genera livelli di lettura distinti. L’insieme dei riferimenti utilizzati e il loro ruolo nel godimento o addirittura nella lettura dell’opera delineano quindi l’ambito e il lettore ideale presupposto dall’opera stessa, cioè quello in grado di coglierli e di sfruttarli nella propria interpretazione dell’opera.
L’utilizzo di riferimenti intertestuali ha conseguenze a vari livelli. Innanzitutto, è il percorso tipico di associazione a un genere e dell’ibridizzazione di generi: questa funzione si realizza utilizzando in un racconto stilemi tipici del genere o dei generi di interesse.
In questo modo, fra l’altro, si influenzano le aspettative del lettore, che tende a utilizzare schemi di lettura coerenti a quelli dei generi che individua nel testo (contiamo di tornare su questo punto in un prossimo specifico approfondimento).
A livello della narrazione, gli elementi dell’immaginario di riferimento facilitano ellissi e sintesi narrative: l’autore non ha bisogno di esplicitare tutti i livelli di significato, ma può utilizzare riferimenti, che richiedono un minimo ingombro dello spazio del racconto e suscitano nel lettore ideale specifici collegamenti ad altre storie.
In caso di successo, questo espediente porta il lettore a un’intuizione che risulta in un’espansione istantanea dello scenario del racconto stesso e offre (può offrire) la visione di una vera e propria “espansione di cose infinite”, alla base del fascino degli universi supereroici.
Potendo sfruttare di fatto personaggi e relazioni già definiti, gli autori hanno la possibilità di concentrarsi sugli intrecci: il rischio associato è che si finiscano per portare e far muovere sulla scena personaggi e relazioni che sono semplici copie conformi di modelli noti, cioè, in senso stretto, degli stereotipi.
Per fare un esempio molto semplice, pensiamo alla comparsa di una manifestazione particolare di un personaggio, quale quella di Ben Grimm “umano” e non come “La Cosa”, come avviene nel Secret Wars di Jim Shooter. Una simile scelta innesca nel lettore avvertito una serie di collegamenti, che riguardano il dramma esistenziale di Grimm. Non servono didascalie o flashback: la sola comparsa in scena consente (meglio: avrebbe consentito, visto che lo spunto non viene valorizzato) agli autori e ai lettori di accedere a una storia e a un passato disturbante e ricco di pathos.
Il caso di Thor
Un caso particolarmente interessante di questo processo di messa in relazione fra elementi narrativi è quello dell’utilizzo del personaggio di Thor.
Quando nel 1962 Stan Lee e Jack Kirby introducono il personaggio del “Mitico Thor” nell’universo Marvel, aprono un canale di comunicazione fra due universi narrativi: quello supereroico e quello delle leggende norrene.
Le figure della tradizione antica sono cariche di storie, cioè, nella prospettiva che stiamo usando, sono dei referenti a quelle storie e l’importazione di quei personaggi implica l’importazione delle storie a essi collegate.
I racconti moderni possono allora sfruttare quelli della tradizione: non solo come fonte di fabulae e personaggi, ma anche per mettere in tensione i valori, etici, sociali, culturali, vigenti nelle comunità che hanno generato quelle storie, poiché Thor e gli altri personaggi della tradizione offrono un potenziale sguardo alieno sulla contemporaneità che nel caso specifico, al livello base, si manifesta con il richiamo a valori assoluti di onore e dignità individuale spesso non in sintonia con il nostro presente.
Va da sé che questo sguardo è una proiezione della contemporaneità, quindi, in un certo senso, una attualizzazione o distorsione strumentale della tradizione, che rischia di spegnersi in mero stereotipo nella misura in cui i contrasti morali restino a livello di proclama retorico. Nella pratica, molto spesso la diversità di Thor si limita all’uso di un linguaggio che si vorrebbe aulico, ma che, svuotato di senso dalla narrazione stessa, finisce per essere poco più che un tormentone.
Di passaggio, notiamo che un Thor era apparso verso la fine degli anni 1950 in un paio di albi DC senza particolare seguito, ma è invece nel 1991 che accade una cosa interessante: nell’albo The Sandman #23, compaiono Thor, Odino e Loki.
Nella nostra prospettiva, abbiamo due gruppi di referenti distinti, i personaggi Marvel e quelli di Sandman, che puntano a uno stesso patrimonio di storie tradizionali. In Sandman, Thor è raffigurato come uno smargiasso, facile al bere e alla molestia, non particolarmente dotato dal punto di vista intellettuale (in sintesi: ingenuo, ubriacone e molestatore).
Ebbene: questo Thor è in relazione sia con il dio norreno sia con il supereroe.
Ora, mentre la comunicazione dalla tradizione antica al presente è a senso unico (questo non è del tutto vero, ma la misura in cui può non esserlo esula dal ristretto campo del presente articolo), non così è per quella fra le storie del mondo Marvel e quelle di Sandman. I personaggi di Sandman, che, ricordiamolo, è parte dell’universo DC, sono a pieno titolo referenti che puntano contemporaneamente sia alla tradizione antica e stabilizzata sia a quella moderna e in fieri.
Questa doppia referenzialità crea la possibilità di un doppio livello di lettura, un vero e proprio effetto di rifrazione, a seconda che il lettore scelga di focalizzarsi sul personaggio del dio norreno o del supereroe, apprezzando, come secondo livello, l’ironia, l’omaggio o addirittura la parodia dell’antico o del contemporaneo. Va notato che alcuni racconti recenti dell’universo Marvel presentano un Thor che in qualche modo possiamo pensare raccolga alcune suggestioni di e citi ironicamente quello sandmaniano, come ad esempio nel caso recente del Thor di Jason Aaron, che flirta in maniera un po’ grossolana con l’agente dello SHIELD Rosalind “Roz” Solomon (“Ti va di accompagnarmi alla taverna più vicina, agente Solomon? Offro io.” – in Thor #3, Panini, dicembre 2015).
Autoreferenzialità
In generale, i riferimenti intertestuali costituiscono aperture del testo ospitante verso altri testi: la gamma di relazioni così create può andare dal parodico al critico, dal ludico al satirico e può arrivare a mettere in crisi i testi riferiti o addirittura quello ospitante (si pensi al Multiversity di Grant Morrison, dove il testo ospitante partecipa al racconto come elemento motore dell’intreccio dalla natura non definita).
In generale, l’apertura di simili canali di comunicazione offre la possibilità di contaminare e variare schemi canonici e svincolarsi dagli stereotipi introducendo tematiche, suggestioni e stilemi esterni (in genere da altri generi o campi narrativi: approfondiremo questo punto in un articolo specifico).
È interessante collegare questa osservazione allo schema di un ciclo secondo il modello delle ere di Randy Duncan e Matthew J. Smith. Secondo quello schema, un ciclo ha tre fasi: una iniziale di raccolta di stimoli, che scardina le convenzioni correnti; una fase di esplorazione delle potenzialità offerte dal nuovo approccio che conduce all’affermazione di un paradigma e di una serie di convenzioni che regolano la leggibilità e la modalità di scrittura delle opere. Infine, quando le potenzialità sono state realizzate, si entra in una fase di reiterazione di soluzioni già proposte.
Ebbene: nelle prime due fasi abbiamo una variazione dell’immaginario di riferimento: si aggiungono nuovi referenti e nuovi significati, mentre altri possono divenire obsoleti: si pensi alla dominanza che in cicli diversi hanno la fantascienza o il fantasy o narrazioni afferenti alla fisica, all’informatica o alla biologia. Nella fase di chiusura, l’immaginario rimane invece sostanzialmente stabile.
In questa fase terminale, i referenti delle storie tendono a puntare a elementi dello stesso universo finzionale: l’universo narrativo è diventato chiuso e autoreferenziale. Da notare che l’autoreferenzialità non è da considerarsi esclusivamente in senso negativo, quando si muti in riflessione sulle convenzioni narrative comunemente utilizzate, può offrire fertile terreno per la messa in crisi del paradigma vigente e il modello di Duncan e Smith, che sovrappone il declino di una fase e lo sviluppo della successiva, mette in evidenza proprio questo aspetto.
L’apertura offerta dall’utilizzo di riferimenti intertestuali è una fonte potenziale di complessità narrativa e di coinvolgimento del lettore, che è chiamato a un ruolo attivo di ricomposizione del racconto, una sorta di riscrittura necessaria al pieno godimento.
Abbiamo tuttavia due tipologie di riferimenti, a seconda che puntino a elementi (e significati) interni o esterni all’universo narrativo cui appartiene la storia: per le vicende supereroiche, siamo spesso in presenza di riferimenti interni, che mirano, più che a importare nuovi significati o prospettive, a connettere gli eventi della storia corrente con quelli già narrati: è l’osservanza della continuity, che, in questo senso, corrisponde a trovare/proporre la collocazione di un nuovo pezzo nel puzzle composto dallo scenario generale. Il bisogno soddisfatto, in questi casi, è quello del conforto, della padronanza degli eventi e sostanzialmente è una forma di whodunit, dove il problema da risolvere è la coerenza con gli eventi noti.
Eventi, crossover e reboot
L’immaginario di riferimento offre una prospettiva di lettura particolarmente interessante per quelle iniziative in cui vengono fatti interagire personaggi che appartengono a testate diverse, che hanno, per così dire, un proprio scenario di azione privilegiato, nel quale si dispiega ed evolve la loro identità.
Eventi editoriali quali crossover e reboot, intersecano quegli scenari nel tentativo di innescare storie e aspettative dei lettori (tipicamente degli appassionati) mettendo a frutto le tensioni fra le caratteristiche di ciascun elemento della combinazione.
È intuitivo che l’esperimento sia potenzialmente tanto più stimolante quanto più gli scenari combinati siano in origine separati, ovvero quanto più siano separati gli immaginari di riferimento delle testate originarie. In caso contrario, infatti si ricade (si rischia di ricadere) in quella che finisce per essere una variazione meramente quantitativa degli elementi già presenti nelle serie ordinarie: una storia o uno scenario che differiscono poco da quelli abituali.
Tuttavia queste iniziative, in particolare i reboot, meritano un’analisi a parte che, sfruttando i concetti sin qui introdotti, proporremo nel prossimo articolo di questa serie, secondo una prospettiva che ne metta in luce una potenzialità che va al di là di quella meramente commerciale su cui fa invece generalmente leva la politica editoriale.
Una visione diversa è quella proposta da Andrea Fiamma in un interessante articolo che fa il punto sul raccontare Superman. Nella prospettiva qui proposta, l’impasse evidenziata da Fiamma, cioè che alla luce delle opere sembri sempre più difficile raccontare storie “nuove” su Superman, segnala il fatto che si sono esauriti i significati a cui far puntare il “simbolo Superman”. Siamo cioè in una situazione di “saturazione” dei riferimenti. Cfr. Andrea Fiamma: Il super-problema di raccontare Superman, oggi. ↩