In un futuro prossimo, un uomo si allena duramente nella sua stanza, mentre in televisione si susseguono notizie di ogni genere, sempre più drammatiche e pervasive. La stanza è invasa da schermi che opprimono la figura possente, le tolgono spazio vitale, occupandone occhi e mente. Solo uno sguardo si fa strada tra questo rumore di fondo asfissiante. Uno sguardo di sfida. Fine del prologo.
Cambio di scena, sempre un futuro prossimo, molto, troppo simile al contemporaneo. Le corporazioni e i mass media dominano l’economia e la politica. Mentre la maggior parte della popolazione soffre, i potenti si arricchiscono. Il malumore monta sempre più forte e basta l’atto violento di un manifestante sconosciuto a mettere in moto una ribellione inarrestabile.
Un canovaccio narrativo classico di molte opere distopiche, questo, che gli spagnoli Marcos Prior e David Rubìn declinano secondo la loro sensibilità, segnata sicuramente anche dall’esperienza traumatica attraversata dalla Spagna durante la crisi economica di qualche anno fa.
Un futuro già vecchio
Le prime pagine di Grand Hotel Abisso, portato sul mercato italiano da Tunué, mettono subito in chiaro gli intenti dell’opera: mostrare una riflessione politica sul nostro mondo netta e precisa, che sfrutti la potenza della parola e del disegno per far percepire la rabbia e l’insofferenza che rischiano di far esplodere la società occidentale contemporanea, e al tempo stesso che mandi un segnale chiaro alle forze che dovrebbero avere il compito di estinguere le diseguaglianze sociali.
Il titolo stesso dell’opera, tratto da una serie di scritti del filoso marxista Manuel Sacristán, anch’egli spagnolo, è programmatico e sintetizza bene la condizione del mondo contemporaneo, che guarda l’abisso mentre sorseggia un cocktail in un hotel di grandiosa decadenza. E in questo abisso, Prior e Rubìn ci scaraventano con brutale decisione, trascinandoci in un crescendo di tensioni raccontate con ritmo frenetico, in una storia che non ha protagonisti, se non un simbolico ribelle anonimo che incarna la speranza, o l’illusione, di un futuro migliore.
Purtroppo, la spasmodica ed evidente volontà di risvegliare gli animi dei lettori diventa ben presto controproducente, sovraccaricando di retorica l’intero volume, che paradossalmente perde di forza narrativa laddove si ricerchi la soluzione esagerata, dalle statue di Topolino simbolo di una tirannia culturale dell’intrattenimento industriale fino alle discussioni filosofiche di due intellettuali di sinistra in mezzo alle macerie.
Il tema scelto non è fra i più originali, dato che non mancano opere a fumetti che abbiano parlato di dittatura, di crisi politiche, economiche e di ribellione al sistema, soprattutto negli ultimi trent’anni. Anche la trama in alcuni punti appare molto derivativa: si pensi ad esempio al ribelle mascherato che diventa simbolo di libertà, che vede il suo prototipo fumettistico nel più elegante e profondo V per Vendetta di Alan Moore e David Lloyd, oppure alla lotta estrema contro una società totalitaria già viste in serie come Invisibles e Transmetropolitan.
Più interessante è invece l’uso dei mass media come vera e unica voce narrante del racconto; ogni scena è commentata da un intervento televisivo, da un programma di approfondimento giornalistico o da un feed su un social network. Anche questo è un aspetto sicuramente derivativo, basti pensare all’intuizione del peso dei mass media di cui già Frank Miller era conscio a metà degli anni ’80 ne Il ritorno del Cavaliere Oscuro.
Senza dubbio però tale scelta narrativa dona all’opera un carattere estremamente contemporaneo e “giornalistico”, un carattere che appena dieci anni fa avremmo definito fantascientifico o, al più, futuristico. Anzi, se ci fermiamo ad analizzare la situazione attuale, di soli tre anni più vecchia del periodo in cui è stato realizzato il fumetto di Prior e Rubìn, ci accorgiamo che la realtà che si sta rivelando ben peggiore, più incattivita e ben più passiva di fronte a scandali e soprusi di quanto immaginassero gli autori.
Disegni a cento all’ora
La vera marcia in più di Grand Hotel Abisso porta senza dubbio il nome di David Rubìn. Al termine del libro, gli autori offrono un corposo dietro le quinte in cui si vede come le idee di molte scene, che già erano nella penna di Marcos Prior, vengano sviluppate e migliorate da Rubìn grazie alla sua esperienza come narratore e al suo stile esplosivo. Il formato orizzontale, spesso usato con le due pagine affiancate a sviluppare un’unica tavola, oltre a dare spazio al flusso continuo di notizie e a simulare uno schermo televisivo, concede ampia libertà all’artista spagnolo, che si scatena con scene d’azione a perdifiato definite da linee di velocità frenetiche (nella rivolta di apertura si possono riconoscere tutte le lezione di dinamismo e rappresentazione del movimento di Jim Steranko).
All’interno della pagina intera, solitamente con una vignetta unica o due grandi vignette orizzontali, Rubìn, come tipico del suo stile, inserisce vignette più piccole, quadrate o rettangolari, che da un lato restituiscono efficacemente l’idea di una presenza asfissiante di notizie, di assordante rumore di fondo che prevarica sulla vita e il libero pensiero delle persone e, dall’altro, mettono in evidenza agli occhi del lettore come la nostra esistenza quotidiana sia sovrastata ormai da un flusso continuo di input, una cacofonia di dati e informazioni che rischia di trasformarsi in rumore bianco. Il susseguirsi di queste vignette, che si affastellano l’una sull’altra, contribuisce a elevare il ritmo fino alla conclusione, in cui l’inquadratura si libera e si allarga, alleggerendo il clima della storia e donando un senso di speranza, prima di tornare a spezzarsi in maniera più classica e lasciare spazio a una discussione più pacata.
Seguendo il tono dell’opera, Rubìn porta all’estremo il suo stile fortemente espressivo che rifugge il realistico, esaltato nel disegnare corpi enormi o macilenti, che riversano la loro violenza inarrestabile o la subiscono con brutalità, oppure le espressioni dei volti deformati da emozioni forti e traumatiche. In particolare, si veda la sequenza dedicata al politico rapito, in cui la tavola viene suddivisa in otto lunghe vignette verticali che prima si concentrano sul corpo esausto dell’uomo e poi via via sul suo volto provato, impaurito, arrabbiato.
Anche il colore riveste un ben preciso significato narrativo: l’uso di toni accessi, della predominanza dei toni del rosso che si fanno sempre più intensi, sottolinea l’atmosfera di rivolta violenta ed esalta al tempo stesso l’azione dei personaggi e la velocità del racconto. Lo stesso si può dire delle onomatopee, usate come vero e proprio elemento grafico-narrativo che interagisce con l’ambiente circostante come se i suoni, i rumori e le urla fossero materia solida. Unico espediente meno riuscito è l’uso di effetti digitali per simulare l’interferenza tipica delle trasmissioni televisive: se in alcuni casi si ha una interessante effetto di sovrapposizione tra realtà e finzione mass mediatica, in altri il sovraccarico di elementi grafici distrae l’occhio del lettore, diminuendone l’impatto narrativo.
Grand Hotel Abisso è un fumetto d’azione sui generis, che colpisce per la potenza visivo-narrativa dei disegni ma fallisce parzialmente nel suo intento politico, risultando in parte troppo retorico e in parte già eguagliato (e forse surclassato) da una realtà ben più avvilente, in cui il bombardamento di notizie ha anestetizzato una popolazione ipnotizzata e svuotata dall’interconnessione, vuota e acritica.
Abbiamo parlato di:
Grand Hotel Abisso
Marcos Prior, David Rubín
Traduzione di Diego Fiocco
Tunuè, 2019
120 pagine, cartonato, a colori – 19,90 €
ISBN: 9788867902903