Nel mondo di Storto vi è una separazione netta fra due razze: i dominatori della società, gli Omuncoli, creature umanoidi dai corpi sproporzionati e sgraziati, a cui si contrappongono gli Storti, esseri dall’aspetto umano partoriti dagli Omuncoli stessi e considerati dei malformati, degli abomini.
Una delle peculiarità degli Omuncoli, che ne “giustifica” la superiorità rispetto agli storti, è la capacità di avere una comunicazione totalmente trasparente e priva di finzioni o bugie: sin dalla nascita imparano ad esprimersi attraverso un linguaggio che comprende parole, pensieri ed associazioni libere, il che li rende totalmente empatici tra loro.
Sebbene si possano cogliere in limine fascinazioni da autori come Hino Hideshi o Kago Shintaro, le influenze più forti in quest’opera giungono da L’attacco dei Giganti, per le atmosfere e l’aspetto dei personaggi, e da Homunculus di Yamamoto Hideo per la forte importanza della componente psicologica dei personaggi nell’opera.
La potenza formativa del linguaggio
Danilo Manzi lavora soprattutto su due tematiche: quella del linguaggio e quella del cannibalismo.
Sin da subito appare evidente come l’aspetto deforme degli Omuncoli, esattamente come in Homunculus di Yamamoto, sia essenzialmente una proiezione esteriore dell’interiorità dei personaggi. Il linguaggio ipersviluppato dagli Omuncoli si manifesta all’esterno attraverso delle capacità sensoriali e ricettive maggiori, mediante mani e bocche spropositate.
L’esperienza sensibile del mondo da parte del singolo è ciò che determina il mondo stesso, ridotto a una limitata visione personale. Il linguaggio è ciò che permette ai personaggi di rapportarsi con l’esterno, di manifestare la propria interiorità, ed è inoltre la loro chiave di lettura della realtà: come scriveva Wittgenstein “i limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo”.
Coscienza e autocoscienza dietro la finzione della realtà rappresentata
L’impressione dunque è che Manzi non rappresenti una realtà oggettiva, ma un contingente stato mentale dei personaggi.
Durante il racconto emergono infatti soggetti “ibridi” che sembrano padroneggiare tanto la forma e le capacità degli Omuncoli quanto quelle degli Storti. Questo dettaglio fa dubitare del fatto che esista davvero una differenza oggettiva fra le due razze e fa propendere per l’idea che l’Omuncolo sia essenzialmente una proiezione mentale, una forma mentis che, esattamente come l’etichetta di Storto, viene affibbiata agli individui dalla nascita, determinata e imposta da altri soggetti.
Potremmo avvicinare questa idea al concetto hegeliano di Coscienza e Autocoscienza: in estrema sintesi l’individuo assume Coscienza di sé nel momento in cui, relazionandosi con gli oggetti, capisce che le loro qualità non provengono da una sostanza intrinseca ad essi, ma dalla propria mente che unifica tali qualità tramite l’intelletto. L’individuo acquisisce poi Autocoscienza, in senso soprattutto sociale e relazionale, tramite l’incontro con altre coscienze, e questo avviene attraverso la lotta.
C’è bisogno dunque di una percezione esterna dell’altro per far sì che questo altro esista. Tale rapporto è poi necessariamente conflittuale e si estrinseca nel meccanismo della dialettica servo-padrone, che è anche il rapporto che lega Omuncoli e Storti, divenendo ambiguo e ribaltandosi: i padroni diventano servi e i servi padroni; allo stesso modo gli Storti si ribellano, ma anche gli “ibridi” lo fanno e instaurano un nuovo “governo”, che però nulla ha di differente dal precedente. Il risultato è una gattopardesca e amara barzelletta sociale che ricorda gli esiti de La rivolta dei racchi di Guido Buzzelli.
Famiglia e incomunicabilità: il vizio di forma alla base del conflitto
L’esistenza degli Ibridi è poi fondamentale legata alla componente familiare (molto cara all’autore) e a quella dell’incomunicabilità.
Il linguaggio apparentemente perfetto sviluppato dagli Omuncoli si rivela anch’esso parziale: i pensieri e sentimenti restano per la maggior parte ignoti e sommersi nell’inconscio; in questo le associazioni libere degli Omuncoli sono forse quanto più si avvicina al vero Pensiero, che tuttavia è incomunicabile attraverso il linguaggio. Per questo motivo anche nel mondo degli Omuncoli, che dovrebbe essere trasparente e privo di storture, sorgono gli enormi dissidi familiari dei protagonisti.
In questo clima di eterna lotta interpersonale che ritroviamo a tutti i livelli dei nuclei sociali, da quello familiare, sino alla lotta generazionale e a quella tra razze, gli Ibridi appaiono come un passo avanti nell’evoluzione; ma evoluzione nel mondo di Storto significa progresso nel linguaggio.
Come gli Omuncoli rappresentano un passo avanti rispetto agli Storti, allo stesso modo gli Ibridi sono soggetti che hanno abbandonato la propria etichetta razziale a seguito di un importante trauma. Tutti i personaggi che mostrano segni di Ibridazione infatti hanno subito enormi perdite fra le persone care e sono stati costretti a cambiare radicalmente il loro modo di vedere il mondo.
Edipo e l’enorme digestione universale in atto
A questo punto possiamo introdurre il secondo tema portante dell’opera: il cannibalismo. In Storto la conoscenza del mondo mediante il linguaggio avviene figurativamente attraverso il divorare. Il processo di apprendimento degli individui consiste nella fagocitazione simbolica di tutto ciò con cui vengono a contatto, allo scopo di masticare quell’esperienza sensibile e spezzettarla sino a codificarla per renderla commestibile e comprensibile per poi infine metabolizzarla. Manzi sembra suggerire che il rapporto dell’essere umano tra il mondo fenomenico e i propri sensi consista in un’enorme digestione universale.
Da qui il climax ascendente che dà titolo ai tre capitoli dell’opera: “divora i tuoi figli”, “divora il padre e la madre” e “divora il tuo mondo”, che sono poi le tappe per giungere all’evoluzione in Ibrido.
Divora i tuoi figli
Nel descrivere l’infinito processo di cannibalismo familiare (e non solo) Manzi gioca tutto sulla questione psicologica del Complesso di Edipo, rendendolo una sorta di legge universale.
Per timore dell’avverarsi di una profezia che vaticinava l’uccisione del padre da parte di Edipo, Laio (re di Tebe) fece esporre il figlio (Edipo) con le caviglie trafitte sul monte Citerone, esattamente come gli omuncoli divorano i propri figli Storti. Potremmo concretizzare questo mito nel timore dell’invecchiamento e del venir rimpiazzati dalle nuove generazioni.
Divora il padre e la madre
Il complesso di Edipo è nella teoria psicanalitica il primo grande trauma dell’infanzia, e riguarda la fase in cui il bambino prova gelosia verso la madre a discapito del padre. Dalla risoluzione di questo complesso il bambino inizia a conoscere la propria identità sessuale e la propria emotività.
Nella mitologia, Edipo, a causa del Fato (Ate), uccise inconsapevolmente il proprio padre e sposò la propria madre, condannando irrimediabilmente tutta la propria stirpe alla rovina (Ate protarchos). Quello di Edipo era una sorta di peccato originale, che in Storto mina alla base ogni relazione. Soggiogati dal processo di cannibalismo al fine di conoscere il mondo, i genitori misurano la propria autorità sui figli e i figli desiderano rimpiazzare i genitori, in una lotta che non ha possibilità di soluzione: per questo in una delle battute finali il protagonista chiede (vanamente) alla propria figlia adottiva se “c’è mai stato un istante, uno soltanto, in cui io sia riuscito a farmi volere bene da te?”.
Divora il tuo mondo
Questo è ciò che avviene nel rapporto familiare paradigmatico tra Omuncoli e Storti; ma gli Ibridi compiono un ulteriore passo verso l’evoluzione: dopo aver divorato i propri figli e i propri genitori, l’unica soluzione è divorare il mondo stesso, ma l’autore specifica: il “TUO” mondo. Divorare il proprio mondo significa distruggere le convinzioni personali e far propria la realtà acquisendone il linguaggio al fine di padroneggiarla.
Abbiamo già detto che gli Ibridi sono soggetti che hanno subito un enorme trauma che li ha costretti a cambiare radicalmente la loro vita: hanno appunto divorato il loro mondo. Questa mutazione estrema non poteva che avvenire attraverso un processo traumatico, poiché non vi è cosa più dolorosa dello sconvolgere completamente se stessi.
Il risulto è appunto l’Ibrido, un soggetto che ha le sembianze sia dello Storto che dell’Omuncolo, una sorta di Oltreuomo che ha abbandonato una forma fissa e ha iniziato a plasmare attivamente il proprio mondo.
Manzi però non fornisce speranze: gli Ibridi non instaurano un governo illuminato né cambiano davvero il loro modo di vivere e il tutto si risolve nuovamente in dominazione e costante lotta a suon di progresso attraverso il linguaggio.
Segnali di stile
In quest’opera, più che in passato, Manzi ha curato minuziosamente le ambientazioni e in particolare le caratteristiche di ogni razza, i loro usi e persino l’abbigliamento, in un’operazione di world building molto apprezzabile, che rende Storto un universo espandibile in cui ambientare altre storie.
Il suo disegno è in coerente evoluzione, le tavole impregnate di grafite sono densissime di texture che abbiamo visto essere il marchio di fabbrica dell’autore.
Risulta poi peculiare la scelta cromatica: su una base di bianchi e neri, i colori si concentrano esclusivamente sui personaggi e si basano su una contrapposizione bicromatica. Agli Omuncoli viene attribuito il colore viola (che richiama l’emotività e l’interiorità), mentre agli Storti il colore giallo. Questa netta separazione fra le due razze è sottolineata dalla scelta dei colori: il giallo e il viola sono infatti colori complementari, cioè opposti e in forte contrasto.
Anche la costruzione delle tavole è utilizzata in maniera sapiente. Rispetto al passato Manzi taglia di netto la narrazione scritta (didascalie e dialoghi) e utilizza delle vignette più ampie e ariose, dedicando spazio primario all’azione e ai personaggi, sino a giungere a una lunga sequenza muta di ventidue pagine che ha un ritmo narrativo mozzafiato e perfettamente equilibrato.
Una nuova comunicazione
Merita infine menzione il grande lavoro realizzato dall’autore sul linguaggio dei personaggi.
Fra le sperimentazioni più peculiari riguardo le didascalie nel fumetto italiano potremmo menzionare Altan: nei suoi fumetti degli anni Settanta e Ottanta Altan era solito porre delle linee di testo sotto le vignette, che si aggiungevano ai classici dialoghi e didascalie. Tali linee contenevano dei commenti sarcastici non attribuibili al narratore o a una voce extradiegetica, erano insomma una sorta di anticipazione della reazione del lettore al contenuto delle vignette, nonché una parodia dell’opera stessa: un qualcosa che potremmo avvicinare alle risate registrate delle soap opera.1.
Agli antipodi, Manzi opera in una direzione simile e sperimenta con il contenuto dei dialoghi, che tuttavia diventano qualcosa di più di semplici scambi di battute: gli Omuncoli si esprimono nei balloon con una struttura ricorrente a triade: messaggio essenziale; (pensiero) e <associazione libera>. Attraverso parentesi e segni d’interpunzione Manzi crea un nuovo linguaggio complesso e stratificato, mai visto prima, in cui le associazioni libere oltre che frutto della mente dei personaggi sembrano anticipare quei sottotesti e collegamenti imprevedibili che il lettore opera inconsapevolmente durante la lettura, abbozzando un enorme dedalo di ulteriori percorsi interpretativi.
Storto è dunque un’opera in cui Manzi ha lavorato per sottrazione rendendo leggera e fluida la narrazione, mostrando però una cura nella costruzione e ideazione davvero appaganti.
Abbiamo parlato di:
Storto (Storto) <Storto>
Danilo Manzi
Hollow Press, ottobre 2019
192 pagine, brossurato, bianco e nero e bicromia – 19,00 €
cfr. Barbieri in Semiotica del fumetto ↩