La Storia oltre “Yossel”: dal fumetto di Joe Kubert ai libri di storia

La Storia oltre “Yossel”: dal fumetto di Joe Kubert ai libri di storia

Una rapida analisi dello sfondo "reale" della storia "di fantasia" di "Yossel": dal primo Cancellierato di Hitler alla resistenza nel Ghetto di Varsavia.

A gennaio del 1933 (Joe Kubert ha 6 anni e già ama disegnare e leggere fumetti) Hitler in Germania inizia il suo primo Cancellierato; fa promulgare una serie di leggi che, dopo poco, gli permetteranno il controllo pressoché totale della Germania esautorando il Parlamento (e quindi il popolo). Nel volgere di pochi anni le teorie (pseudo) economiche e razziali di Hitler diventano pratica: la Germania instaura una politica autarchica e di riarmo, intesa a conquistare lo spazio vitale per la razza ariana, dell’Uomo del Nord, sottolineando la sua superiorità agli altri con una serie impressionante di leggi, privazioni, esili forzati.
Dal 1938 al 1939 (Joe Kubert nel frattempo frequenta High School of Music and Art) la Germania occupa la Renania, annette (“Anschluss”) l’Austria, assume il Protettorato di Boemia e Moravia e invia ultimatum inaccettabili alla Polonia. Il primo settembre 1939 (Joe Kubert sta per compiere 13 anni) Hitler attacca militarmente la Polonia; sopraffatta dalla potenza militare dei tedeschi, Varsavia capitola il 27 settembre. A ottobre la Polonia è conquistata, in parte annessa, in parte semplicemente controllata: al popolo polacco viene imposto il lavoro coatto ed è negato il diritto all’istruzione. In Germania nel 1938 si era già arrivati a una progressiva cancellazione dei diritti individuali degli ebrei, colpevoli di non essere razza eletta e marchiati da una serie impressionante di divieti, mortificazioni e confische.

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La Polonia (densamente popolata da ebrei) diventa oggetto delle attenzioni xenofobe dei tedeschi; gli ebrei polacchi vengono ghettizzati, deportati e sterminati. Era stata addirittura preventivata la cosiddetta soluzione “finale”, ovvero la deportazione e i lavori forzati fino all’annientamento totale della razza. I numeri fecero capire che le rappresaglie erano un mezzo troppo lento (nell’ottobre del 1941 i militari tedeschi entrarono nel ghetto di Stanislawow nella Galizia Polacca uccidendo immediatamente sul posto 10.000 ebrei) alla pari dello sfinimento per fame e stenti. I posti dove venivano concentrati gli ebrei deportati diventarono luoghi di sterminio di massa. Il termine che abitualmente indica questi luoghi è “campo di concentramento”; nell’immaginario ormai però questo è il nome che ormai associamo al massacro anche se “concentrare” non vuol dire “uccidere” ma solo raggruppare (e un piano prevedeva appunto il raggruppamento per la deportazione di tutti degli ebrei in Madagascar…).

Approfondendo quanto relativo alla vicenda che fa da sfondo al racconto di Joe Kubert, scopriamo che Varsavia da subito fu indicata dagli invasori nazisti come uno dei luoghi dove dovevano raccogliersi tutti gli ebrei polacchi. Fu rapidamente circoscritto un ghetto, dove furono introdotti tutti gli ebrei giunti da ogni parte della Polonia; difficile indovinare i numeri che indichino quante persone fossero state “ghettizzate” ma alcuni riferimenti suggeriscono che nel novembre del 1940 erano circa trecentottantamila con una densità di popolazione pari a 108.000 abitanti per chilometro quadrato1. All’interno del ghetto i Tedeschi applicarono tutti i metodi possibili per fiaccare qualsiasi tipo di resistenza e condurre alla morte il maggior numero di persone nel più breve tempo possibile per fame e stenti e a causa delle carenti condizioni igieniche. Professionisti, impiegati, manovali che fino ad allora avevano vissuto una vita tranquilla o anche agiata furono internati e affamati fino alla morte. I rimanenti vennero rapidamente deportati nei campi, da dove comunque difficilmente sarebbero tornati vivi.

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Adam Czerniaków.

Già nel 1939 iniziarono a organizzarsi i primi gruppi di resistenza, che cercarono in tutti i modi con i pochi mezzi a disposizione di creare problemi allo schiacciante strapotere tedesco che li aveva confinati dietro alte mura nella loro stessa città. Furono in principio addirittura osteggiati dagli stessi ebrei che, increduli dei racconti provenienti dagli scampati ai campi di concentramento, spesso credevano che compiacere gli invasori tedeschi fosse l’unico modo per salvarsi, accecati dalla follia di quanto stava accadendo. A capo del “Judenrat”, il Consiglio Ebraico che “governava” l’ordine nel Ghetto, venne messo un ebreo polacco, Adam Czerniaków, che probabilmente in assoluta buona fede si prestò a organizzare l’assegnazione degli scarsi viveri ai “ghettizzati”, credendo di poter ottenere qualcosa di buono dai tedeschi e salvare il salvabile. Lo stesso Consiglio Ebraico dovette però poi fornire ai tedeschi, dietro pressanti richieste, un quantitativo di ebrei da deportare quando lo sterminio per fame e malattia nel Ghetto sembrò andare troppo per le lunghe. Czerniaków (come tanti altri, del resto) non riuscì per molto tempo2 a rendersi conto delle reali intenzioni dei Tedeschi. Il nucleo di resistenza più forte, la ZOB (Zydowska Organizacja Bojowa)3 creò notevoli problemi all’invasore nazista e scatenò una fortissima rappresaglia che prese il via alle ore 6:00 del mattino del 19 Aprile 1943, una data che ci riporta al volume di Kubert, ovviamente.


  1. Per dare un termine di paragone potremmo indicare (dati del 2000) la città di Calcutta (31.000 abitanti per chilometro quadrato, che è fra le prime in assoluto nella relativa classifica) e quella di New York (9.590). 

  2. Non appena realizzato con piena coscienza cosa stesse accadendo si tolse la vita (Luglio del 1942). 

  3. Organizzazione ebraica di combattimento. 

1 Commento

1 Commento

  1. Alessandro Olivo

    1 Febbraio 2013 a 17:46

    Czerniakow si tolse la vita ingoiando la capsula di cianuro che portava sempre con sé: “Worthoff è venuto – scrive in un ultimo messaggio indirizzato al Consiglio ebraico il 23 luglio del 1942 – e ha ordinato per domani la preparazione del trasporto dei bambini. E’ la goccia che fa debordare il vaso. Io non posso consegnare alla morte dei bambini indifesi. Ho deciso di andarmene. Non lo considerate un atto di vigliaccheria, né una fuga. Non ho più la forza, il mio cuore si spezza per il dolore e la pietà, non posso più soffrire oltre[…]. Sono cosciente di lasciarvi una pesante eredità.”
    Da “Storia della Shoah” di Georges Bensoussan, Giuntina

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