“Stacy”, non una storia semplice

“Stacy”, non una storia semplice

Gipi racconta attraverso una storia fittizia, intrisa di riferimenti autobiografici, come ha vissuto e affrontato una difficile fase personale a causa di una polemica sui social.

Stacy Cover400Un’opera che nasce dal dolore e dalla sofferenza e che di dolore e sofferenza è intrisa, seppur stemperata dall’ironia malinconica di Gipi. Il protagonista, Gianni (non è casuale l’omonimia con l’autore), è uno sceneggiatore di serie TV che un bel giorno rilascia un’intervista che considera irrilevante, e invece gli causerà enormi problemi. Da qui parte Gipi nel rievocare momenti per lui terribili, che riesce a imprimere con forza nelle pagine, addirittura fisicamente opprimenti grazie a sapienti artifici narrativi. Questo fumetto infatti, come buona parte dell’opera di Gipi, nasce da un’esperienza legata alla biografia dell’autore. Qualche tempo fa l’artista ha pubblicato sul web una vignetta che gli ha causato attacchi anche molto aggressivi e offensivi, che lo hanno colpito duramente e al tempo stesso, incredibilmente, isolato. Non esprimiamo commenti o giudizi, infatti nemmeno accenniamo al tema della vignetta oggetto della “shitstorm” di cui è stato oggetto Pacinotti, ma crediamo doveroso sintetizzare una premessa fondamentale per parlare dell’opera più recente di uno dei più grandi fumettisti italiani.

I disegni appartengono alla miglior tradizione del segno di Gipi: nervoso ed essenziale, una graffiante stilizzazione, intrisa di angoscia che, anche quando rappresenta un sorriso, lo permea di inquietudine. Le tavole di solo testo che quasi esce dalle pagine, prive di margini anche in quelle dei ricchi disegni, opprimono a tal punto da trasmettere l’ansia vissuta dall’autore. L’arte che si fa espressione delle esigenze interiori e dei moti d’animo dell’artista, come nella grande letteratura e o nella miglior pittura: questo è il punto. Si potrà anche discutere del Gipi uomo e delle sue opinioni, ma è veramente difficile oppugnare che porti il fumetto a livelli espressivi altissimi.

La narrazione è straziante, soprattutto pensando da cosa scaturisce, ma capace di strappare anche un sorriso (amaro). Ci sono almeno due piani narrativi fondamentali: quello della realtà vissuta dallo sceneggiatore televisivo, con tutti i personaggi che lo circondano e che concorrono a delineare la postura tenuta nell’opera, e quello delle fantasie dell’autore, che servono a spiegare e chiarire i suoi stati d’animo, le sue reazioni autentiche e non quelle ostentate con i suoi colleghi e amici. Il parallelo con la realtà è sin troppo evidente. C’è una precisa presa di posizione, condivisibile o meno ma onesta intellettualmente, contro il pregiudizio qualunque esso sia. Non importa in che direzione vada, per chi parteggi, o quale sia l’orrore che vuole sconfiggere, se è un pregiudizio è sbagliato a prescindere, per quanto si possa ammantarlo di motivazioni in apparenza giuste, in realtà tendenziose quando non faziose. Assistiamo quasi ogni giorno a quale possa essere l’influenza di un “bias”, viziato magari da ipocrita buonismo, sulla considerazione di fatti e affermazioni che hanno il solo difetto di non seguire dettami prestabiliti e dominanti. Ci sia consentito un esempio importante, per chiarire: i variegati schieramenti di commentatori riguardo alle diverse guerre in corso – non scendiamo in dettaglio perché non è il caso in questa sede – che tendono spesso, anche in buona fede, a tenere conto di una sola posizione, assurgendola quasi a dogma, che non può essere messo in discussione mai, in nessun caso. Gipi è forse arroccato allo stesso modo sulle sue posizioni, può essere, tuttavia dimostra una lucidità di esposizione e una capacità di analisi fuori dal comune.

Stacy7Va detto che, a parere di chi scrive, Gipi non cerca di avere ragione, pur con tutta la sua sferzante e polemica veemenza, ma tenta di spiegare le sue ragioni e che dissentire da visioni unilaterali e porsi domande è forse il modo più giusto per valutare il mondo che ci circonda. Insomma: non è vendicativo anche se è arrabbiato, piuttosto argomenta il perché delle sue posizioni. Forse è eccessivo dire che questo è il miglior lavoro di Gipi, anche se è assolutamente uno dei più riusciti, ma è certamente quello che più colpisce per la sua origine: sempre autobiografica, certamente, ma – e qui sta la novità – figlia della tremenda potenza dei social media che possono creare e distruggere nel corso di una giornata. Lo abbiamo provato tutti: una discussione social dura poche ore, un paio di giorni tutt’al più, ma può arrivare a segnare la vita di una persona per molto tempo. Non sempre, intendiamoci, sta anche alla sensibilità dei soggetti coinvolti. Ciò premesso, possiamo dire che stavolta c’è stato un risvolto positivo perché, pur nella apparente scarsa rilevanza della vicenda, ci ha donato un altro gioiello di un artista figlio di una terra di artisti. Non auguriamo altri momenti come quello passato a Gianni Pacinotti in arte Gipi ma l’auspicio è che continui a regalarci opere di questo valore, figlie del tormento.

Abbiamo parlato di:
Stacy
Gipi
Coconino Press, 2023
264 pagine, cartonato, bianco e nero – 23,00 €
ISBN: 9788876187049

 

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