Sputa tre volte: lo scontro quotidiano tra “perdenti”

Sputa tre volte: lo scontro quotidiano tra “perdenti”

Davide Reviati ci immerge nella realtà provinciale italiana sullo sfondo dell’integrazione delle popolazioni nomadi.

sputa00Guido, Grisù e i loro amici sono i protagonisti di Sputa tre volte, racconto sulla crescita di ragazzi di provincia e sulla loro realtà locale, intrecciato a quello di una comunità di nomadi slavi giunti in Italia da poco meno di una generazione.

Davide Reviati dimostra nuovamente di essere un gran fumettista e soprattutto un gran narratore. Questo libro di vita, un fiume in piena di quasi 600 pagine, scorre facilmente fra le mani avide del lettore in cerca di una storia vera e genuina.
Il racconto è uno spaccato fedele della vita provinciale, di un contesto rurale intessuto di memorie d’infanzia, credenze popolari e fatterelli paesani.

Reviati ha fin da Morti di sonno dimostrato forte vicinanza con un certo tipo di letteratura localistica a mezza via fra realismo e influenze di autori più recenti e sensibili a simili realtà, uno su tutti il Niccolò Ammaniti di Io non ho paura, a cui Sputa tre volte si avvicina molto per atmosfere, lessico e tono del racconto.

La narrazione procede seguendo la maturazione dei protagonisti con frequenti salti temporali che restituiscono una sorta di collezione di memorie e rendono più credibile la finzione di racconto di ricordi da parte di Guido. Reviati si focalizza sulla crescita, sull’amicizia, la bellezza e lo stupore dell’infanzia, i luoghi e gli usi della provincia italiana. L’opera è incentrata su quelle fasi della vita nelle quali stare insieme agli altri è fondamentale per crescere e capire se stessi, ed è in questo girotondo di fughe e consapevolezze che gli amici di Guido cominciano ad approcciarsi ai problemi della vita legati all’approssimarsi dell’età adulta e a evitarli ciecamente, proprio come i loro genitori e compaesani.

Al microcosmo sociale descritto Reviati innesta una piccola sottocomunità di nomadi slavi, mostrando la loro esistenza quotidiana attraverso la lente deformante degli occhi dei protagonisti e del loro modo di percepirla attraverso quanto i più grandi hanno loro inculcato.
Sin da subito affiorano i primi dissapori, i pregiudizi, la paura del diverso e di un vivere così differente.

Senza titolo-1L’autore sembra suggerire una sorta di parallelo fra chi non si interroga, i “vincenti” che non hanno mai dubbi, coloro che fuggono dalla riflessione, e alcune delle motivazioni che sono alla base del nomadismo: entrambe espressioni differenti di un medesimo impulso genuinamente umano di fuga, che accomuna i due modelli sociali in apparenza così distanti e antitetici.

All’interno del racconto Reviati inserisce inoltre precise informazioni storiche riguardanti le persecuzioni subite dagli zingari nel periodo totalitario.

Duecento, almeno uno per ogni Regione, i campi di concentramento in cui furono internati gli zingari in Italia, marchiati con numeri sulla pelle, uccisi dalla fame e dal freddo, vittime dimenticate di second’ordine e cancellate dalla Storia. Tutto questo però Reviati lo fa con discrezione, senza mai risultare didascalico, senza mai sfociare nel vittimismo nei confronti delle popolazioni nomadi; ciò che sembra interessare l’autore è documentare un palcoscenico umano e ricordare ciò che è stato perso, con una certa abilità (bisogna dirlo), a giudicare dalla corposa bibliografia citata alla fine del volume, che denota uno studio approfondito.

In coda al racconto è inserita una graditissima appendice dedicata a Papusza, zingara di origini galiziane che apprese la scrittura e la lettura barattandole per dei polli. Fu così che, nel suo viaggio senza sosta sui carri, Papusza iniziò a comporre poesie e canzoni fino a quando non fu scoperta e resa nota da Jerzy Ficowski.

Papusza si interrogava sul significato del linguaggio e sulla bellezza del convivere con la natura, incarnando forse l’esempio più calzante che Reviati potesse scegliere per il suo fumetto: la sua figura rappresentava una sorta di compromesso, un punto d’incontro fra due culture. Aver imparato ad esprimersi attraverso la parola scritta le permise di essere conosciuta e apprezzata anche al di fuori delle comunità rom e di condividere i frammenti interiori dei suoi viaggi, ma al tempo stesso le causò l’odio del suo popolo. Le sue opere trasudavano il dissidio interiore che la rodeva, la lotta fra nomadismo e riflessione, sugli aspetti positivi di una vita stabile, fra istinto puro e necessità d’istruzione. I suoi scritti furono strumentalizzati da ambo le parti e lei stessa ostracizzata dalla sua gente.

Papusza dunque incarna il simbolo di questa difficile e irrisolta coesistenza, dell’incontro/scontro fra popoli, del tentativo di mediazione fra culture e dei tanti fallimenti cui ancora dovremo assistere prima di giungere ad una vera integrazione che non snaturi o sminuisca nessuna realtà.

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Il tono del racconto, a volte pacato e altre ruggente, è sostenuto dai graffi a biro e china di Reviati, un tratto semplice, fitto e fortemente evocativo che indugia sui volti e sui gesti, ponendo spesso le figure sulla nuda pagina bianca e priva di sfondi, a sottolineare l’importanza dei caratteri, delle persone umane, vere protagoniste di questo fumetto.

Quel che forse manca è però un maggior collante di fondo: la struttura del memoriale, un intreccio di ricordi legati flebilmente fra loro, fa la forza di questi episodi presi singolarmente, ma non crea una vera e propria unità soddisfacente. L’impressione è quella di trovarsi di fronte ad un arcipelago poetico, sicuramente coerente col senso di verosimiglianza del racconto personale del protagonista, e per ciò stesso necessariamente puntiforme, ma che nella totalità non raggiunge un’individualità autonoma, restando una somma di situazioni.

Senza titolo-1Anche la scelta di raffigurare la popolazione slava in maniera marginale e dal punto di vista univoco delle vite dei protagonisti, finisce per dipingere questo scontro di autocoscienze etniche, che avrebbe comunque meritato maggior spazio, solo in superficie.

L’intento principale dell’autore era certamente quello di raccontare una storia umana che avesse una vera anima, e la sua volontà era ben lontana dal realizzare una sorta di cronaca storica della vita delle popolazioni nomadi in Italia.
Non a caso la storia di Papusza, dal carattere prettamente documentaristico, è stata inserita solo in appendice; tuttavia, alla luce dei suoi toni e soprattutto dei vasti studi condotti dall’autore, si intravede in potenza una ricca fonte di interesse e di storie da cui attingere, che Reviati ha sfruttato solo in parte.

Sarebbe forse stata preferibile una mediazione fra i toni tipici del giornalismo grafico (evidenti nella storia di Papusza, e nel breve racconto dello sterminio dei rom) e la necessità troppo pressante (che percorre l’intera opera) di narrare con totale empatia e realismo esclusivamente il percorso di Guido e dei suoi amici .

Quel che non è chiaro alla fine del volume è l’anima stessa del racconto e dunque la sua consistenza. Resta in dubbio se a essersi appena conclusa è una storia di crescita in provincia come tante, seppur sostenuta dalla guida e dalla poetica di un grande scrittore, o un tentativo non del tutto riuscito di scavare davvero nell’essenza di un popolo partendo dalle differenze etniche e dalle problematiche sull’integrazione.

Sputa tre volte sembra restare sospeso in superficie fra queste due anime: uno scontro assai delicato in cui l’autore stesso non ha saputo trovare del tutto la via.

Abbiamo parlato di:
Sputa tre volte
Davide Reviati
Coconino Press, febbraio 2016
562 pagine, brossurato, bianco e nero – 25,00 €
ISBN: 9788876181399

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